Gran Zebrù: differenze tra le versioni

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Il Gran Zebrù è il secondo punto più elevato, dopo l'Ortles stesso, della regione [[Trentino-Alto Adige]]. Il confine tra quest'ultima e la [[Lombardia]] ([[provincia di Sondrio]] per essere precisi) passa esattamente per la cima, facendo di essa la più elevata vetta "lombarda" del massiccio, e tra le più alte della regione, superata solo da alcuni picchi del [[Massiccio del Bernina|gruppo del Bernina]].
 
Rispetto alla vetta dell'Ortles, cima principale del gruppo, il Gran Zebrù si innalza circa quattro chilometri a sud-est, lungo la dorsale principale del massiccio che dal [[Monte Cristallo]] (3434 m) conduce sino al [[Cevedale]] (3769 m).
 
Il suo profilo affilato domina due [[valle|valli]] di alta quota: la [[Val Zebrù]] sul versante [[valtellina|valtellinese]], tributaria della bassa [[Valfurva]] in cui confluisce a est di [[Bormio]], e la Valle di [[Solda (Stelvio)|Solda]] (''Suldental'') sul versante tirolese, tributaria della [[Val Venosta]].
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=== Morfologia del rilievo e note geologiche ===
[[File:Konigsspitze.png|upright=1.2|thumb|La cima del Gran Zebrù dal versante altoatesino]]
La vetta del Gran Zebrù è costituita, come peraltro le vicine vette dell'Ortles e del Monte Zebrù, da una roccia molto resistente all'[[erosione]], la [[Dolomia Principale]], lievemente [[roccia metamorfica|metamorfosata]]. Essa poggia su un [[basamento cristallino]], costituito prevalentemente da [[fillade|filladi]]. Piuttosto compatta, la dolomia dà origine a formazioni ardite e rilievi scoscesi: la cima del Gran Zebrù è una piramide piuttosto regolare i cui spigoli hanno un'inclinazione superiore ai 45 gradi<ref>AA. VV., ''Conoscere le Alpi'' vol. 3, [[De Agostini]], [[Novara]] 1991</ref>.
 
== Storia ==
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In realtà, non fu mai chiarito se effettivamente Tuckett e compagni furono i primi a mettere piede sulla vetta della montagna. Sei anni prima, comparve su un giornale cattolico un articolo dal titolo ''Über das Stilfser Joch auf den Zebru oder die Königsspitze'' (che suonerebbe in italiano come ''dallo Stelvio al Gran Zebrù'') il cui autore si firmava con lo pseudonimo di Traunius. In questo articolo egli raccontava di essere partito da [[Monaco di Baviera|Monaco]] e aver raggiunto, ''a piedi'' e da solo, il paese di [[Trafoi]] il 2 agosto del 1854, alla base della montagna. Proseguiva poi dicendo di essersi accampato allo [[Passo dello Stelvio|Stelvio]] e da lì aver attraversato i ghiacciai del versante occidentale del massiccio sino ai piedi del Gran Zebrù, per poi arrampicarsi su pendii ripidissimi sino a guadagnare la vetta. Nello stesso racconto, il misterioso alpinista affermò di aver accusato disturbi alla vista durante la discesa (i sintomi da lui descritti possono far pensare a una forma di [[mal di montagna]]) ma di essere giunto comunque a una [[casa cantoniera]] della [[Strada statale 38 dello Stelvio|strada dello Stelvio]] dove si riposò.
 
Traunius in realtà si chiamava Stephan Steinberger ed era un [[seminario|seminarista]] di [[Ruhpolding]] ([[Alta Baviera]]), poi ordinato [[sacerdote]] ed entrato nell'ordine dei [[cappuccini]] nel 1864 con il nome di Padre Corbinian. La veridicità del racconto di Steinberger e la sua buona fede non furono messe in discussione, ma i più eminenti alpinisti del tempo e le guide locali gli contestarono di aver confuso la vetta del Gran Zebrù con qualche altra cima del massiccio, in quanto - secondo le loro dichiarazioni - la denominazione delle cime era all'epoca ancora molto imprecisa e differente a seconda del posto, e sarebbe stato comunque impossibile scalare il versante sud del Gran Zebrù da solo e senza attrezzatura, fuorché un bastone da montagna. La critica alpinistica assegnò quindi alla squadra di Tuckett, dei Buxton, di Biener e Michel la [[prima ascensione]] storicamente accertata, come ricorda [[Bruno Credaro]] in ''Storie di guide, alpinisti, cacciatori''.
 
Dopo la salita degli inglesi, le prime ripetizioni furono effettuate da [[Douglas William Freshfield|Freshfield]] e compagni, e successivamente da [[Julius Payer|Payer]] con [[Hans Pinggera|Pinggera]]. Molti altri alpinisti approcciarono la montagna dai vari versanti: Meurer e Pallavicini giunsero in vetta salendo lungo la difficile cresta del ''Suldengrat'', il professor Minnigerode scalando la parete nord senza ramponi e senza l'uso di chiodi, nel 1881. [[Leslie Stephen]], padre di [[Virginia Woolf]], salì anch'egli sulla vetta, ma si lamentò della nebbia che gli impediva di ammirare il panorama, come scrisse in ''[[The play-ground of Europe]]''.