Storia del Regno d'Italia (1861-1946): differenze tra le versioni
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La '''storia del Regno d'Italia''' ha inizio nel 1861 con [[proclamazione del Regno d'Italia|la sua proclamazione]] e termina nel 1946 con la nascita della [[Repubblica Italiana]].
== L'unificazione italiana (1848-1861) ==
=== Il risorgimento ===
{{vedi anche|Risorgimento}}
Alla [[Rivoluzione francese]] e agli eventi occorsi nel contesto dell'[[Età napoleonica]] vanno attribuiti gli inizi della questione nazionale italiana e il risveglio politico che fu premessa alla sua discussione. Nel periodo della [[Restaurazione]], le inquietudini degli intellettuali e di una certa parte della nobiltà e della borghesia non erano dirette all'impostazione di un programma di unificazione nazionale, quanto piuttosto ad una serie di istanze liberali e costituzionali. La classe dirigente italiana, che aveva attraversato l'età napoleonica e le sue riforme, era ormai piuttosto sensibile ai temi dell'organizzazione dello Stato, della selezione della pubblica amministrazione, alla codificazione della giustizia. Queste esperienze si sommavano a quelle dell'[[assolutismo illuminato]].<ref>{{cita|Villani|p. 128}}.</ref> Le nuove generazioni, cresciute nella sensibilità [[Romanticismo|romantica]] e in qualche caso aderenti a [[società segrete]], come la [[Carboneria]], erano latrici di istanze più radicali, di stampo democratico. Tali istanze, però, erano poco circostanziate, perché provenivano da sezioni della società con scarsa disponibilità economica e quindi minore capacità di aggiornamento culturale. Tale radicalismo riusciva a penetrare la piccola e media borghesia dei centri urbani, mentre nelle campagne era assai attivo il filtro operato dal [[clero]] e dai notabili.<ref>{{cita|Villani|pp. 128-129}}.</ref>
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Con la prima convocazione del [[Parlamento del Regno d'Italia|Parlamento italiano]] il 18 febbraio [[1861]] e la successiva proclamazione del [[Regno d'Italia]] il 17 marzo [[1861]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele di Savoia]] divenne il primo [[re d'Italia]]. Diversi passaggi istituzionali destarono però sconcerto: il nuovo regno non si dotò di una propria costituzione, ma ereditò quella del Regno di Sardegna, cioè lo [[Statuto albertino]]; la nuova legislatura apertasi il 18 febbraio non fu la I, ma l'VIII, seguendo la numerazione del Regno di Sardegna; il nuovo re mantenne la numerazione dinastica dei Savoia del tempo del Regno di Sardegna, quindi Vittorio Emanuele continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II. Il tenore di questi atti è da imputare alla volontà dei liberali piemontesi di cancellare il contributo dei radicali all'avvenuta unificazione. Ciò avvenne anche attraverso lo scioglimento dell'[[Esercito meridionale]], la forza armata costituita da Garibaldi tra Sicilia e Calabria a partire dai Mille originari. Tale forza armata, fu deciso, non sarebbe stata integrata nel nuovo esercito nazionale, per evitare che vi accedessero elementi democratici e repubblicani. Non solo: diversi garibaldini, negli anni successivi, rimarranno osservati speciali dalla polizia.<ref name=treccani.italia/><ref name=treccani.unificazione>{{treccani|l-unificazione-italiana_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/|L'unificazione italiana|autore=[[Alberto Mario Banti]]|anno=2014|accesso=23 febbraio 2023}}</ref>
=== Le condizioni dell'Italia all'unità ===
{{Doppia immagine|right|Italia 1861 03 17.JPG|240|Italia 1870 09 20 Unificazione.JPG|240|Regno d'Italia il 17 marzo 1861, data di proclamazione del regno|Il Regno d'Italia dopo la [[Presa di Roma]], avvenuta il 20 settembre 1870, fino alla [[Prima guerra mondiale]]}}
Nel complesso, il passaggio dal periodo preunitario a quello unitario fu nel segno della continuità. Fatta eccezione per la spinta modernizzatrice di parte della classe dirigente, le divisioni regionali preunitarie, un tempo individuate da confini tra Stato e Stato, continuarono all'interno del nuovo regno. Oltre alla tipica opposizione socio-culturale tra città e campagna, il nuovo regno patì divisioni tra differenti culture territorialmente radicate e in diretta opposizione alle istanze unitarie; tali divisioni furono sempre a rischio di irrigidirsi in divisioni politico-ideologiche. L'Italia visse insomma un cambiamento politico radicale che si innestò su un generale immobilismo delle realtà statuali preunitarie.<ref>{{cita|Cento Bull|p. 37}}.</ref> La classe dirigente liberale dei primi anni del regno, ideologicamente assai omogenea, si trovò ad inseguire la costruzione di un'identità nazionale in una realtà territoriale fortemente disomogenea. Tale costruzione era peraltro ostacolata dal fatto di essere perpetrata da una ristretta minoranza, protagonista del processo politico e dell'elezione dei rappresentanti: le classi medie e gli artigiani dei centri urbani parteciparono solo in parte a tale processo, mentre il contributo delle masse rurali, per quanto sporadico, non era nemmeno gradito dalla classe dirigente.<ref name=cento38>{{cita|Cento Bull|p. 38}}.</ref>
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Nel complesso, non è possibile parlare di un'unica classe contadina e di un'unica classe fondiaria per l'Italia del 1860, tante e tali erano le differenze al livello regionale e subregionale. La classe dirigente dovette affrontare il divario tra il "paese reale", cioè la gran massa di popolo escluso dall'esercizio attivo dei diritti di cittadinanza, e il "paese legale", cioè il sistema di Stato che una sparuta minoranza aveva concepito da sé e per sé. In ogni caso, le differenze socio-culturali tra le masse non ebbero espressione politica nei primi decenni del regno, fase in cui la divisione più lacerante era quella tra Stato e Chiesa.<ref name=cento40>{{cita|Cento Bull|p. 40}}.</ref> La Chiesa, che aveva un forte ascendente in tutti i gruppi sociali, avrebbe potuto decidere di organizzare una forza politica alternativa ai liberali, ma optò invece, con la disposizione ''[[Non expedit]]'', per l'isolazionismo politico dei cattolici. Peraltro, il conflitto tra Stato e Chiesa nell'Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento privò il processo costitutivo della nazione di un importante fattore unificante (al contrario di quanto accaduto con la [[Chiesa protestante]] nel nord Europa).<ref name=cento40/>
{{Vedi anche|Destra storica}}Nei primi decenni del nuovo regno, i liberali al governo godettero di una preminenza politica incontrastata, basata su un suffragio estremamente ridotto (solo il 2% della popolazione, circa {{formatnum:600000}} persone, aveva diritto al voto). Si formarono comunque due ali del raggruppamento liberale, la [[Destra storica]] e la [[Sinistra storica]], eredi del confronto politico preunitario tra chi era di orientamento recisamente monarchico e chi era più sensibile alle istanze democratico-repubblicane. Dato il limitato suffragio, i membri delle due ali vantavano le stesse origini in termini di classe e vanno intesi come partiti "di notabilato", cioè partiti privi di un'[[ideologia]], di un programma preciso, di un'organizzazione e di un rapporto con un base.<ref name="cento40.41">{{cita|Cento Bull|pp. 40-41}}.</ref><ref name="treccani.sinistra">{{treccani|sinistra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|sinistra storica italiana}}</ref> Esse, semmai, esprimevano una divisione territoriale, con la Destra a rappresentare le classi proprietarie del Nord e del Centro e la Sinistra (o "Nuova Sinistra", per distinguerla dai democratici mazziniani) a rappresentare i proprietari fondiari del Sud e i professionisti.<ref name="cento40.41" />
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La caduta della Destra storica, comunque ormai impopolare tra le masse,<ref name=treccani.destra/> fu dovuta ad una frattura tra i parlamentari piemontesi e quelli toscani (capeggiati da [[Ubaldino Peruzzi]]<ref name=treccani.sinistra/>), che si consumò a partire dal 1874.<ref name=cento41/> Nel [[1876]] il governo, presieduto da Marco Minghetti, venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento. Ebbe così inizio l'epoca della [[Sinistra storica]], guidata da [[Agostino Depretis]]. Nel [[1878]], [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele II]] morì e sul trono gli succedette [[Umberto I d'Italia|Umberto I]].
{{vedi anche|Sinistra storica|Colonialismo italiano}}{{Tripla immagine|right|Agostino Depretis.jpg|139|Umberto I di Savoia.jpg|118|Francesco Crispi (ritratto).jpg|130|[[Agostino Depretis]], più volte Presidente del Consiglio negli anni settanta e ottanta dell'Ottocento|[[Umberto I d'Italia|Umberto I]], re d'Italia dal 1878 al 1900, quando fu assassinato dall'anarchico [[Gaetano Bresci]]|[[Francesco Crispi]], figura cardine della politica italiana dal 1887 al 1896|||}}La cosiddetta "Sinistra storica" sorse dall'unione tra membri della sinistra del [[Parlamento subalpino]] e membri del [[Partito d'Azione (1853-1867)|Partito d'Azione]], cui si aggiunse la cosiddetta "Sinistra giovane", formata soprattutto da meridionali dopo l'Unità. I più importanti esponenti della Sinistra storica furono [[Agostino Depretis]], [[Benedetto Cairoli]], [[Francesco Crispi]], [[Giovanni Nicotera]] e [[Giuseppe Zanardelli]].<ref name="treccani.sinistra2">{{treccani|sinistra-storica-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/|sinistra storica italiana}}</ref>
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L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di [[Francesco Crispi]]. Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di [[Aden]] con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su [[Migiurtinia]]. Nel 1892 il [[Sultano]] di [[Zanzibar]] concesse in affitto i porti del [[Benadir]] (fra cui [[Mogadiscio]] e [[Brava (Somalia)|Brava]]) alla società commerciale "Filonardi". Il [[Benadir]], sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'[[Omo]], e per ottenere il protettorato sulla città di [[Lugh (Somalia)|Lugh]]. A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i [[Derviscio|dervisci]] sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di [[Asmara]], sulla base di precedenti accordi fatti con [[Menelik II]] il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere [[Negus]] Neghesti, cioè “Re dei Re” (“Imperatore”). Con il trattato che seguì, [[Menelik II]] accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un [[protettorato]] e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi. La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la [[guerra di Abissinia]] (1895-1896) e terminò con la [[Battaglia di Adua|sconfitta di Adua]] (1º marzo [[1896]]). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al [[colonialismo]] europeo del [[XIX secolo]].
Le forze che avevano sostenuto Crispi desideravano il proseguimento della politica autoritaria<ref>"Le norme dello Stato liberale in materia di libertà di associazione erano ancor più esili di quelle in materia di stampa. Il codice penale sardo del 1839 assoggettava tutte le associazioni ad autorizzazioni. Lo Statuto albertino non menzionava la libertà di associazione, secondo i contemporanei perché lo Stato liberale aveva sempre guardato l'associazionismo con sospetto. In mancanza di un'espressa menzione, la libertà di [[Associazione (diritto)|associazione]] si traeva per alcuni dai principi, discendeva, per altri, da norma consuetudinaria. Era prevalente, comunque, l'idea che ci si potesse associare senza bisogno di comunicazione all'autorità o di autorizzazione di quest'ultima. In queste condizioni, la libertà di associazione era molto fragile. Essa era un fatto, e poteva essere limitata. Si ammetteva che potessero essere sciolte le associazioni pericolose per la sicurezza dello Stato. Molte associazioni «sovversive» furono effettivamente sciolte. Il r.d. (Pelloux) del 22 giugno 1899, n. 227, consentiva al ministro dell'interno di sciogliere le associazioni «dirette a sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali o la costituzione dello Stato» (art. 3)": [[Sabino Cassese]], ''Lo Stato fascista'', Bologna, [[Il Mulino]], 2016, pp. 52-53.</ref>. Lo stesso [[Sidney Sonnino|Sonnino]] voleva che il regime liberale spostasse il proprio baricentro dal [[parlamentarismo]] ad un rafforzamento dell'esecutivo e del ruolo regio, secondo l'esempio [[Impero tedesco|prussiano]]. Il successo conseguito dai socialisti e dall'opposizione radicale e repubblicana nelle [[Elezioni politiche in Italia del 1897|elezioni del marzo 1897]] non fece che accrescere l'irritazione dei conservatori. La situazione precipitò nel corso del 1898, quando scoppiarono agitazioni nel Sud, a [[Milano]], [[Parma]], [[Firenze]] e in altre località. Furono operati centinaia di arresti, le organizzazioni sindacali e socialiste vennero sciolte, si ebbe, a Milano, l'[[Moti di Milano|eccidio di dimostranti]] ad opera delle truppe comandate dal generale [[Fiorenzo Bava Beccaris|Bava Beccaris]] tra il 6 e il 7 maggio 1898. La situazione si era talmente deteriorata che all'interno del Ministero scoppiarono sempre nuovi contrasti. Di Rudinì chiese al re [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] di sciogliere la [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera dei deputati]] ed indire nuove elezioni, ma il re rifiutò, determinando le dimissioni del di Rudinì nel giugno 1898, ed incaricò il generale [[Luigi Pelloux]] di formare il governo.
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Il Re Umberto I diede l'incarico del governo al vecchio Senatore Giuseppe Saracco e questo fu il suo ultimo atto, poiché un [[anarchico]], [[Gaetano Bresci]], lo [[Regicidio di Umberto I|assassinò a Monza]], il 29 luglio 1900, per vendicare i morti causati dalla repressione di [[Bava Beccaris]] durante i [[moti di Milano]]. L'episodio più rilevante del ministero Saracco fu uno sciopero generale proclamato a [[Genova]] dopo che il [[prefetto]] aveva decretato, nel dicembre 1900, lo scioglimento della Camera del Lavoro. Saracco, fra molte incertezze, finì per revocare tale scioglimento e dare le dimissioni. Il nuovo Re, [[Vittorio Emanuele III]], nominò Presidente del Consiglio [[Giuseppe Zanardelli]], il quale scelse come [[Ministri dell'interno del Regno d'Italia|Ministro dell'interno]] [[Giovanni Giolitti]].
{{vedi anche|Età giolittiana}}
[[File:Giolitti_ritratto.jpg|miniatura|[[Giovanni Giolitti]].]]Il periodo compreso tra il 1901 e il 1914 fu dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti: la modernizzazione dello Stato liberale, insieme con le prime riforme di carattere sociale, nate in un clima di positivo rapporto tra governo e settori moderati del [[socialismo]], ne fu il tratto caratterizzante. Importanti furono le posizioni riformistiche prevalse tra le file del partito socialista, che posero in minoranza l'ala [[Massimalismo (politica)|massimalista]], fautrice di uno scontro sociale e politico senza mediazioni. La svolta nel partito socialista trovò giustificazione nella linea politica tenuta da Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, lasciando che fossero risolti dalle parti in causa: industriali e operai.
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L'Italia, alleata con la Germania, le cui ambizioni coloniali erano osteggiate da Gran Bretagna e Francia, trovò il pretesto per agire al di fuori dei vincoli della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice Alleanza]] (Germania, Italia, Austria-Ungheria) per avvicinarsi alla [[Triplice intesa]] di [[Francia]], [[Regno Unito]] e [[Russia]]. Favorevoli alla campagna furono i grandi gruppi finanziari, come il [[Banco di Roma]] e la Banca Commerciale, ed esponenti della corrente nazionalista. Contrari erano i socialisti e alcuni rappresentanti del movimento democratico. Avanzata, il 29 settembre 1911, la dichiarazione di guerra alla [[Impero ottomano|Turchia]], i {{formatnum:100000}} uomini del generale [[Carlo Caneva]] occuparono [[Cirenaica]] e [[Tripolitania]] in ottobre, dichiarandole territorio italiano il 5 novembre. Nel maggio 1912 truppe italiane agli ordini del generale [[Giovanni Ameglio]] occuparono [[Rodi]] e il [[Dodecaneso]]. La Turchia, incapace di rispondere efficacemente alle manovre italiane, accettò i termini stabiliti nella [[Trattato di Losanna (1912)|pace di Losanna]] (18 ottobre [[1912]]), in cui si stabiliva che l'Italia doveva ritirare le truppe dalle isole egee, mentre la Turchia cedeva la Libia al Governo italiano. Dato che la Turchia si rifiutava di cedere la Libia, l'Italia non ritirò il contingente dal [[Dodecaneso]], dove rimase invece per tutta la durata della prima guerra mondiale. A seguito della partecipazione italiana nella repressione della [[ribellione dei Boxer]] con l'invio di un [[corpo di spedizione italiano in Cina]], il 7 settembre 1901 venne istituita la [[concessione italiana di Tientsin]]: la superficie concessa misurava {{M|458000|u=m²}} ed era una delle più piccole concessioni territoriali cinesi alle potenze straniere ottenute al termine della rivolta: la zona consisteva nell'immediata [[Concessione italiana di Tientsin|periferia orientale di Tientsin]] (dalla quale prende il nome) e da un terreno lungo la riva sinistra del fiume [[Hai He|Hai-He]] (conosciuto precedentemente con il nome di Pei Ho), ricco di saline, comprensivo di un villaggio e di un'ampia area paludosa adibita a cimitero.<ref>{{Cita web|url=http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=185|titolo=Tientsin e dintorni|sito=trentoincina.it|accesso=11 giugno 2018}}</ref><ref name=":12">{{Cita news|nome=Alberto Alpozzi|url=https://italiacoloniale.com/2015/03/19/cina-la-concessione-italiana-dimenticata-a-tien-tsin-seconda-parte/|titolo=Cina, la concessione italiana dimenticata a Tien-Tsin – Seconda parte|pubblicazione=L'Italia coloniale|data=19 marzo 2015|accesso=18 settembre 2017}}</ref>
== La prima guerra mondiale (1914-1918) ==
{{Vedi anche|Italia nella prima guerra mondiale|fronte italiano (1915-1918)}}
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L'ultimo caduto italiano è stato il [[sottotenente]] [[Alberto Riva Villa Santa]] di 19 anni, appartenente all'[[8º Reggimento bersaglieri]], caduto poco prima delle ore 15 del 4 novembre 1918 a [[Paradiso (Pocenia)|Paradiso]] poco distante da [[Udine]].
== Il primo dopoguerra (1918-1922) ==
{{Vedi anche|Movimenti rivoluzionari nell'Italia del Primo Novecento}}
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Il 12 novembre 1921 il movimento fascista fu trasformato nel [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF), accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il [[Partito Socialista Italiano|PSI]] aveva superato di poco i 270.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti [[Emilia-Romagna|emiliani]] e [[Toscana|toscani]]. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ''ras'' furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del [[manganello]] e dell'[[olio di ricino]], o addirittura commettendo [[Omicidio|omicidi]] che restavano il più delle volte impuniti. Nel frattempo il fronte socialista andava sfaldandosi, nel 1921 a Livorno con una [[XVII Congresso del Partito Socialista Italiano|scissione]] in seno al PSI [[I Congresso del Partito Comunista d'Italia|nacque]] il [[Partito Comunista d'Italia]] (PCd'I) con [[Antonio Gramsci]] come leader. Di fronte alla situazione politica mutata Giolitti convocò nuove elezioni alleandosi con i fascisti. Alle [[Elezioni politiche in Italia del 1921|elezioni politiche del 1921]] ci fu un lieve arretramento dei socialisti, mentre i fascisti ottennero 35 seggi.
== Il regime fascista (1922-1943) ==
{{Vedi anche|Storia del fascismo italiano}}
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Nell'aprile del 1939 l'Albania fu [[Invasione italiana dell'Albania|occupata militarmente]] e fu imposto come sovrano [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]], che assunse anche il titolo di [[Re d'Albania]].
=== Il fascismo nella seconda guerra mondiale ===
==== La non belligeranza ====
{{Vedi anche|Entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale|Italia nella seconda guerra mondiale}}L'Italia non navigava in buone acque, non c'era stato il tempo per recuperare e riorganizzare dalle campagne d'Etiopia e di Spagna, nonché dalla Grande Guerra; i fucili erano vecchi, logori e antiquati, così come l'Aviazione, mentre la marina disponeva di navi moderne. Il dislivello con le altre potenze europee (e più in là extra europee) non era ignorabile, così si decise per non intervenire, una decisione di non belligeranza, comunicata alla Germania il 26 Giugno 1939. Anche Vittorio Emanuele III era personalmente contrario all'entrata in guerra al fianco della Germania.
Ciò non durò molto, innanzitutto perché la non belligeranza non era in linea con l'ideologia e la propaganda fascista, fortemente bellica e nazionalista. Altro motivo fu che Mussolini, viste le vittorie rapide ottenute dai nazisti, che avevano già conquistato Lussemburgo, Belgio, Olanda, Francia e Polonia grazie alla tattica della [[guerra lampo]] (''blitzkrieg''), valutò che la guerra sarebbe giunta rapidamente alla vittoria dei nazisti, e non poteva lasciare la gloria e l'egemonia dell'Europa ai tedeschi, doveva esserne partecipe da alleato di [[Adolf Hitler|Hitler]]. Inoltre diversi territori del bacino mediterraneo e dei Balcani, che non interessavano ai nazisti, erano d'interesse del regime fascista e per citare una dichiarazione di Mussolini "un pungo di morti da usare al tavolo delle trattative" avrebbe fatto da aiuto per perseguire gli obbiettivi dell'espansionismo fascista. Ricordiamo inoltre che l'economia italiana era strettamente legata alla Germania (il 60 % del carbone combustibile arrivava dalla Germania nazista).
==== La "guerra parallela" ====
[[File:Nave_Conte_di_Cavour_Taranto.jpg|miniatura|La corazzata Cavour parzialmente affondata nella [[Notte di Taranto]] dall'aviazione inglese]]
Così nel 10 Giugno 1940 l'Italia entrò in guerra ufficialmente e già tra il 21 e il 24 Giugno le truppe italiane si scontrarono contro l'esercito francese sulle Alpi occidentali (la Francia si arrese il 22 ai nazisti, Parigi conquistata il 14). Ciò portò allo Stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di [[Nizza]]. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni in [[Africa]]. Il 3 agosto venne attaccata la [[Somalia Britannica]], che venne conquistata il 19 agosto.
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Nel marzo ripresero poi le operazioni in [[Grecia]], ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della ''Guerra parallela'', così chiamata da [[Benito Mussolini|Mussolini]].<ref name="Repubblica">{{Cita libro|titolo=La seconda guerra mondiale e il dopoguerra|data=2004|editore=La biblioteca di Repubblica|p=147}}</ref>
==== La "guerra subalterna" ====
[[File:Kingdom_of_Italy_1942_with_provinces.svg|miniatura|Il Regno d'Italia tra il 1941 e il 1943, con la [[Provincia di Lubiana]], la [[Provincia di Cattaro]] e il [[Governatorato di Dalmazia]]]]
[[File:Bundesarchiv_Bild_183-B27180,_Russland,_italienische_Soldaten_mit_Mauleseln.jpg|sinistra|miniatura|Soldati dell'ARMIR in [[Unione Sovietica|URSS]] nel 1942]]
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Le difficoltà militari colpirono anche [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Il 24 luglio si riunì il [[Gran consiglio del fascismo]] e il mattino seguente, con la votazione dell'[[ordine del giorno Grandi]], il duce venne sfiduciato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con [[Pietro Badoglio]]. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini fu arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il 26 luglio il duce venne portato a [[Ponza]], in carcere. Successivamente fu trasferito a [[La Maddalena]] e quindi il 27 agosto sul [[Gran Sasso]] a [[Campo Imperatore]]. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio, il cui mandato iniziò ufficialmente il 26 luglio 1943, annunciò la continuazione della guerra al fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente cominciò a trattare l'[[armistizio]] con gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]], che venne firmato a [[Armistizio di Cassibile|Cassibile]] il 3 settembre 1943.
== Il crollo dello Stato monarchico (1943-1946) ==
=== Il Regno del Sud e la Repubblica Sociale Italiana ===
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