Secessione dell'Aventino: differenze tra le versioni

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L'8 novembre 1924, su impulso di Amendola, un gruppo di "aventiniani" costituì una nuova formazione politica in rappresentanza dei principi di libertà e di democrazia, "fondamento dell'Unità d'Italia e delle lotte risorgimentali, prevaricati e perseguitati dall'insorgente regime fascista" come asserito nel documento sottoscritto dagli aderenti<ref>''Il Mondo'', 18 novembre 1924.</ref>. Al nuovo partito politico, denominato [[Unione Nazionale (Italia)|Unione nazionale delle forze liberali e democratiche]], aderirono undici deputati, sedici ex deputati e undici senatori, che si costituirono in gruppo politico<ref>Manifesto dell'Unione Nazionale di Giovanni Amendola {{cita web|url=http://www.repubblicanidemocratici.it/opinioni_condivise/manifesto_unione_nazionale.htm|titolo=Copia archiviata|accesso=19 novembre 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20121106022930/http://www.repubblicanidemocratici.it/opinioni_condivise/manifesto_unione_nazionale.htm|dataarchivio=6 novembre 2012|urlmorto=sì}}, e: Francesco Bartolotta, ''Parlamenti e Governi d'Italia'', Vito Bianco Editore, Roma, 1970.</ref>. Ciò favorì il consolidamento della componente "amendoliana" della secessione e il suo allargamento a personalità di diversa estrazione politica quali i liberal-democratici [[Nello Rosselli]] e [[Luigi Einaudi]], i radicali come [[Giulio Alessio]], i socialdemocratici come [[Ivanoe Bonomi]], [[Meuccio Ruini]] e [[Luigi Salvatorelli]], indipendenti come [[Carlo Sforza]] e, in seguito, repubblicani come il giovane [[Ugo La Malfa]]<ref>{{cita libro | cognome=Galante Garrone| nome=Alessandro| titolo=I radicali in Italia (1849-1925)| città=Milano | editore=Garzanti |anno=1973|pagine=405-406}}</ref>.
 
Nonostante l'invito a non rientrare in aula - contenuto in un telegramma del 22 ottobre 1924<ref>Elio d’Auria, ''Il liberalismo di fronte al fascismo: il problema della società civile e della società di massa'', Cercles. Revista d’Història Cultural, {{ISSN: |1139-0158}}, n. 15/2012, p. 65.</ref> proveniente dal Comitato esecutivo dell'[[Internazionale comunista]] - la presenza comunista a [[Montecitorio]], il 12 novembre 1924, segnò una frattura nell'esperienza aventiniana: il deputato comunista [[Luigi Repossi]] rientrò alla Camera dei deputati per commemorare in Assemblea Matteotti a nome del suo partito; il successivo 26 novembre vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista.
 
Il 27 dicembre 1924 il quotidiano ''[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]'', diretto da Giovanni Amendola, pubblicò il memoriale difensivo del Rossi, composto da 18 cartelle di appunti, in cui si leggeva: «voglio subito dire che tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità del Duce»<ref>[[Archivio storico del Senato della Repubblica]], [https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/ufficio-alta-corte-giustizia-e-degli-studi-legislativi/IT-SEN-002-002295/memoriale-cesare-rossi ASSR, Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi, 2.257.4.25.14.1, Manoscritto 1, Memoriale di Cesare Rossi (s.d.)].</ref>. Rossi così accusava direttamente Mussolini per l'omicidio del ''leader'' socialista, in seguito all'intervento parlamentare di Matteotti del 30 maggio 1924, nel quale si denunciavano i brogli elettorali e le violenze del 6 aprile. Il memoriale Filippelli apparve invece sulla rivista antifascista fiorentina ''[[Non mollare]]'', diretta da [[Carlo Rosselli]], nel febbraio 1925.
 
== La reazione di Mussolini ==
Il timore che [[Vittorio Emanuele III]] potesse prendere in considerazione il suo licenziamento, alla luce delle prime votazioni sul bilancio nel novembre-dicembre 1924 e delle posizioni critiche espresse da [[Giolitti]] e Salandra, spinse [[Benito Mussolini|Mussolini]] a pronunciare il [[Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925|discorso del 3 gennaio 1925]]. In esso il capo del fascismo si assunse la responsabilità politica, morale e storica dei fatti: ricordando l'articolo 47 dello Statuto della Camera, che prevedeva la possibilità d'accusa per i Ministri del Re da parte dei deputati, Mussolini chiese formalmente al Parlamento un atto d'accusa nei suoi confronti. Peraltro, ciò non poteva avvenire senza il rientro alla Camera dei deputati degli "aventiniani" e, comunque, il voto favorevole di almeno parte dei fascisti che costituivano la maggioranza di governo. Va osservato, però, che anche all'interno dello stesso [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF) si stavano tenendo accese discussioni, che vedevano contrapposti gli intransigenti e la frangia più moderata.