Luigi Calabresi: differenze tra le versioni
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Nel 1972 Luigi Calabresi fu assassinato a colpi di pistola mentre andava al lavoro. I colpevoli dell'assassinio Calabresi furono individuati solo nel 1988: [[Ovidio Bompressi]] e [[Leonardo Marino]] come esecutori materiali, [[Giorgio Pietrostefani]] e [[Adriano Sofri]] come mandanti. Tutti erano leader o esponenti passati di [[Lotta Continua]]. Gli imputati furono condannati in via definitiva nel 1997. Successivamente i condannati ottennero una revisione del processo, ma nel 2000 la Corte d'Appello di [[Venezia]] e poi la [[Corte suprema di cassazione|Corte Suprema di Cassazione]] confermarono le condanne. Nel 2003 la [[Corte europea dei diritti dell'uomo|Corte Europea dei Diritti dell'Uomo]] sentenziò che avevano ricevuto un processo equo e rifiutò un'ulteriore revisione.<ref name=":0" /><ref>{{Cita news|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,11/articleid,1109_01_1975_0250_0011_21477257/|titolo=Né omicidio né suicidio: Pinelli cadde perché colto da malore|pubblicazione=La Stampa|data=29 ottobre 1975|citazione=Secondo la sentenza istruttoria, l'anarchico ebbe il fatale capogiro mentre era appoggiato al bassissimo davanzale della finestra della Questura perché "in stato ansioso e stressante" dopo tre giorni di interrogatori - Nessuna responsabilità tra i funzionari e i sottufficiali presenti (Nostro servizio particolare) Milano, 28 ottobre. (m.f. ) L'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra del quarto piano della Questura milanese, dov'era interrogato sulla strage di piazza Fontana, il 15 dicembre 1969, non si è ucciso, ma nessuno dei funzionari e dei sottufficiali dell'ufficio politico della Questura è responsabile della sua caduta. Questa la conclusione cui è giunta, dopo quasi sei anni d'inchiesta, la magistratura. Il giudice istruttore, dottor Gerardo D'Ambrosio, lo stesso che ha condotto l'inchiesta sulle «piste nere», ha depositato oggi in cancelleria la sua sentenza, che assolve con formula piena tutti gli indiziati. Secondo la ricostruzione che al magistrato pare la più attendibile, Giuseppe Pinelli, stremato dai pressanti interrogatori cui era sottoposto, si avvicinò alla finestra per prendere una boccata d'aria, ebbe un capogiro e cadde nel vuoto (anche perché il davanzale era bassissimo), senza che nessuno dei presenti riuscisse a salvarlo. Il procedimento concluso oggi era stato aperto dalla vedova del ferroviere, Licia Rognini, con una denuncia per omicidio volontario contro il commissario capo dott. Luigi Calabresi (successivamente assassinato il 17 maggio 1972), il capitano dei carabinieri Savino Lo Grano e i sottufficiali di p.s. Pietro Mucilli, Carlo Mainardi, Vito Panessa e Giuseppe Caracuta; (settimo implicato, il dottor Antonino Allegra, allora dirigente della squadra politica: assente dall'ufficio quando il Pinelli precipitò, doveva rispondere di abuso di potere per avere trattenuto l'anarchico nei locali della Questura, senza l'autorizzazione del magistrato, dal 12 al 15 dicembre; il suo reato è estinto dall'amnistia). Nei confronti degli altri sei indiziati, il dottor D'Ambrosio ha dichiarato di non doversi procedere perché il fatto non sussiste. La sentenza assolve anche l'avvocato Carlo Smuraglia, già legale della famiglia Pinelli, che era stato indiziato di calunnia nei confronti dei rappresentanti della forza pubblica per averli accusati di omicidio volontario, violenza privata, sequestro dì persona, abuso d'ufficio e di autorità. A sostegno della tesi del malore che avrebbe causato la caduta di Pinelli dalla finestra, il dottor D'Ambrosio ricorda che il ferroviere «dalle 18,30 del 12 dicembre fino a pochi minuti prima delle 24 del 15 dicembre, fu sottoposto a una serie di ''stress'', non consumò pasti regolari e dormì solo poche ore, una sola volta steso su una branda. Il fatto che venissero man mano rilasciati tutti i compagni anarchici fermati dopo di lui, non dovette poi certo tranquillizzarlo». La sera del 15, quando fu chiamato per un altro interrogatorio, Pinelli si sentì dire che Valpreda aveva confessato di aver messo la bomba della strage di piazza Fontana: certo una manovra ad effetto della polizia per indurlo a parlare. Un dubbio sfiorò comunque Pinelli che, rivolto a un amico, disse: «Se è stato un compagno lo uccido con le mie stesse mani». «Ogni tanto palesava momenti di assenza», scrive ancora il magistrato, aggiungendo che sovente «lamentava amnesie». Nella sentenza si esclude come «assolutamente inconsistente» l'ipotesi del lancio dalla finestra del corpo inanimato, sia per la mancanza di qualsiasi movente, sia perché essa è stata smentita dagli accertamenti tecnici svolti. Da escludere, per il giudice, anche la possibilità che il corpo inanimato sia stato appoggiato alla ringhiera e fatto ruotare intorno ad essa. «In tal caso — dice la sentenza — l'apice del corpo avrebbe urtato con estrema violenza il cornicione quattro metri più sotto, sporgente di ben 5O centimetri dal filo della ringhiera stessa. Avrebbero dovuto ri-scontrarsi, di conseguenza, da una parte una notevole deformazione del rivestimento in lamiera del cornicione (simile se non pari a quella lasciata dal manichino durante gli esperimenti), e dall'altra notevoli lesioni al capo del Pinelli: deformazione e lesioni che invece non sussistevano dopo i fatti». Il dottor D'Ambrosio assolve il dottor Calabresi anche dall'accusa di «omicidio colposo» nell'eventualità che non avesse impedito il suicidio del fermato. In primo luogo perché le contestazioni ad effetto della polizia non potevano creare in Pinelli la convinzione che nei suoi confronti ci fossero elementi di accusa; in secondo luogo non è verosimile che Pinelli si sia ucciso. Comunque, se anche fosse, la caduta dalla finestra «non fu preceduta da alcun segno che potesse lasciare prevedere ciò che stava per accadere, e il passaggio del corpo oltre la ringhiera si esaurì nel volgere di frazioni di secondo». Alcuni giorni or sono un gruppo di tredici docenti di alcune università italiane aveva presentato al magistrato una documentazione di 33 cartelle in cui si confutava la tesi del suicidio e si affermava che una serie di esperimenti "svolti portava a non escludere responsabilità dirette o indirette delle persone che si trovavano nella stanza al momento della caduta di Pinelli dalla finestra. Giuseppe Pinelli|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20220424124022/http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,11/articleid,1109_01_1975_0250_0011_21477257/}}</ref><ref>{{Cita libro|autore=[[Mario Calabresi]]|titolo=Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo|url=https://www.google.it/books/edition/Spingendo_la_notte_pi%C3%B9_in_l%C3%A0/vRiQZc0FR0sC?hl=en|anno=2007|ISBN=9788804568421|accesso=15 gennaio 2023|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20230115200939/https://www.google.it/books/edition/Spingendo_la_notte_pi%C3%B9_in_l%C3%A0/vRiQZc0FR0sC?hl=en|urlmorto=sì}}</ref><ref>{{Cita libro|autore=Leonardo Marino|titolo=Così uccidemmo il commissario Calabresi.|url=https://www.google.it/books/edition/Cos%C3%AC_uccidemmo_il_commissario_Calabresi/YlfuDwAAQBAJ?hl=en|edizione=Seconda edizione con post-fazione di Gemma Capra Calabresi|anno=2018|citazione=L'autore ricostruisce gli avvenimenti giudiziari fino all'ottavo e definitivo processo, rispondendo alla formidabile campagna di aggressione a mezzo stampa di cui era stato oggetto. Il lettore scoprirà la grazia di un pentimento anche religioso, il ruolo determinante dei cosiddetti «grandi intellettuali» nello spingere alla rovina tanti ingenui giovani rivoluzionari, la figura di un martire, Luigi Calabresi, e le parole di perdono di Gemma, la moglie del commissario, che ha scritto la postfazione di questo fondamentale libro di storia.|ISBN=9788881558025|accesso=25 aprile 2023|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20230115201423/https://www.google.it/books/edition/Cos%C3%AC_uccidemmo_il_commissario_Calabresi/YlfuDwAAQBAJ?hl=en|urlmorto=sì}}</ref>
L'assassinio di Calabresi è considerato il primo e uno dei più importanti omicidi degli [[Anni di piombo]]. Per questo motivo e per il processo articolato che ne è seguito, ha influenzato il dibattito pubblico per molti anni. Nel 2019 l'Enciclopedia Treccani ha dedicato a Calabresi una biografia nella propria raccolta ''Dizionario Biografico degli italiani''. Viene raccontato in modo approfondito il clima culturale che portò alla sua emarginazione a [[Milano]] prima dell'assassinio: le indagini sulla "Strage di piazza Fontana" e poi sulla morte di Giuseppe Pinelli
La moglie Gemma Capra si risposò dopo alcuni anni dal decesso del primo marito con un artista chiamato Tonino Milite. In ricordo del primo marito mantenne il suo cognome, firmandosi sempre "Maria Calabresi Milite". Ha rilasciato varie interviste e scritto libri sulla propria fede cattolica e sul percorso di perdono degli assassini del marito.
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