Luigi Capello: differenze tra le versioni
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Fu in seguito tra i primi ad aderire ai [[Fasci italiani di combattimento]] e venne chiamato a presiederne il Congresso di [[Roma]] nel novembre [[1921]]<ref name=Storia_illustrata_p._5>"Il Generale Capello appartenne alla massoneria", Storia illustrata n° 188, luglio 1973, pag. 5</ref>. Ma in seguito al voto del [[Gran consiglio del fascismo]] del 13 febbraio [[1923]] che dichiarava incompatibile l'adesione al [[Fascismo]] e alla [[Massoneria in Italia|Massoneria]], Capello dichiarò apertamente la propria appartenenza massonica<ref name=Storia_illustrata_p._5/> e abbandonò il [[Partito Nazionale Fascista|PNF]]<ref>Anna Maria Isastia, "Massoneria e fascismo: la grande repressione", in: ''La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee'', a cura di [[Zeffiro Ciuffoletti]] e [[Sergio Moravia]], Mondadori, Milano, 2019, p. 176.</ref>; e nel [[1924]] difese fisicamente dagli attacchi fascisti la sede centrale del [[Grande Oriente d'Italia]], [[Palazzo Giustiniani (Roma)|Palazzo Giustiniani]]<ref>Nicoletta Casano, ''Libres et persécutés. Francs-maçons et laïques italiens en exil pendant le fascisme'', Paris, Garnier, 2015, p. 55, n. 2.</ref>. La sua aperta attività di opposizione al regime gli precluse la possibilità di veder riconosciute pubblicamente le vere responsabilità circa la sconfitta del 24 ottobre 1917 alle quali era giunta la Commissione Senatoriale<ref name=":0" /> nominata con Decreto del 12 aprile 1922: "Papà rispose in mia presenza al senatore: "Mi spiace conte, ma io desidero che la verità mi venga per la via maestra, ossia per quella diritta e del diritto e non per quella tortuosa del mercimonio". E a noi dopo disse: "Hanno sperato di togliermi di mezzo con l' allettamento di qualche biglietto da mille. Non rinuncio alla mia libertà di pensiero e non vengo a patti perché mi si faccia giustizia. Non ho premura; a questo, caso mai, penserà la storia"<ref>{{Cita libro|titolo=Laura Capello, N. 3264 (Generale Capello), Milano, Garzanti, 1946, pp. 210 - 211}}</ref>.
Secondo alcuni storici militari, come Rochat e Schindler, mentre i comandanti italiani della Grande guerra come [[Armando Diaz|Diaz]] e [[Pietro Badoglio|Badoglio]] furono fatti oggetto di onori da parte del regime, Capello fu emarginato, soprattutto a causa della propria appartenenza alla Massoneria (essendo stato iniziato il 15 aprile [[1910]] nella loggia "Fides" di [[Torino]]<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi Muratori. Brevi biografie di Massoni famosi'', Roma-Milano, Erasmo Edizioni-Mimesis, 2005, p. 56.</ref>, avendo poi conseguito il 33° e massimo grado del [[Rito scozzese antico ed accettato]]<ref>Aldo A. Mola, ''Storia della Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri'', Milano, 1972, pag. 506.</ref>). Anche la sete di verità, incurante degli equilibri che avrebbe infranto, congiurò a suo sfavore: "Ma Capello parla e scrive troppo. [...] lasci passare il tempo in silenzio"<ref>{{Cita libro|titolo=Intervista di Enzo Saini ad Ardengo Soffici, in <<Settimo Giorno>>, 26 marzo 1959}}</ref> ebbe a suggerire [[Benito Mussolini]]. Ma il Generale ritenne impensabile seguire
====L'attentato a Mussolini====
[[File:Luigi capello durante la detenzione a Formia.jpg|thumb|upright|Luigi Capello durante la detenzione nel giardino della clinica di [[Formia]].]]
Il 5 novembre 1925 Capello fu arrestato a [[Torino]] con l'accusa di aver preso parte all'organizzazione del fallito [[Attentati a Benito Mussolini|attentato]] contro [[Benito Mussolini|Mussolini]] organizzato dal deputato [[Partito Socialista Unitario (1922)|social-unitario]] [[Tito Zaniboni]] ed attuato il giorno precedente, IV novembre. Capello respinse tutte le accuse e dichiarò di aver avuto solo un incontro, il 2 novembre, con Carlo Quaglia (collaboratore di Zaniboni rivelatosi poi essere
Secondo le informative di polizia la somma di cui fu trovato in possesso Zaniboni, giunta da [[Praga]] e consegnatagli da Quaglia, era stata elargita da un importante massone, il che fece prendere corpo all'idea che nella vicenda vi fosse uno
Zaniboni cercò inutilmente di scagionare il Generale dal fallito attentato;<ref name="Biagi" /><ref>Da una cronaca dell'epoca: "In seguito, molto cavallerescamente scagiona il coinputato Capello da ogni responsabilità nel suo progettato gesto"</ref>: "Sarei altamente onorato di poter avere al mio fianco, per la stessa imputazione, quello che fu il più grande generale, dall' Armata in su, della nostra guerra. La mia posizione assurgerebbe a più chiaro significato. Malauguratamente devo avere solo l'amarezza di aver condotto, contro la mia volontà, questo uomo, vecchio e malfermo in salute, alla quale tutta l' Italia dovrebbe essere grata, alla mortificazione del carcere. [...] - e aggiunse - Io non avevo però informato il Capello dei miei intendimenti"<ref>{{Cita libro|titolo=D. Ascolano, Luigi Capello. Biografia militare e politica, Ravenna, Longo Editore, 1999, p. 251}}</ref>. Dal canto suo, Capello sostenne che se avesse realmente partecipato all'organizzazione dell' attentato non avrebbe avuto alcuna remora ad ammetterlo, ma il piano di Zaniboni (definito 'bestiale' da Capello) denotava un' imperizia tale da non poter essergli attribuito<ref>{{Cita libro|titolo=Laura Capello, N. 3264 (Generale Capello), Milano, Garzanti, 1946, pp. 118 - 119}}</ref>. Le uniche 'prove' del coinvolgimento del Generale consistettero nelle parole del collaboratore della Polizia Quaglia: "lo guardai negli occhi. Egli capì che ne sapevo quanto lui"<ref>{{Cita libro|titolo=D. Ascolano, Luigi Capello. Biografia militare e politica, Ravenna, Longo Editore, 1999, p. 256}}</ref>.
Nel [[1927]] fu condannato a trent'anni di carcere, di cui i primi anni scontati in isolamento, ma venne rimesso in libertà il 22 gennaio [[1936]]<ref name=Biagi />. Secondo [[Guido Leto]] la condanna abbreviata fu dovuta alla convinzione di Mussolini che, nonostante le prove, in realtà il generale fosse estraneo all'attentato, nonché per il riconoscimento degli importanti meriti di Capello acquisiti nella Grande Guerra<ref name="cita-Guido-Leto-p21">{{Cita|Guido Leto|p. 21}}.</ref>; inoltre Mussolini dispose la requisizione di alcuni locali della clinica del dottor Cusumano a Formia, all'interno dei quali (e dell'annesso giardino) Capello ebbe libera circolazione durante la detenzione, seppur sotto vigilanza da parte dei [[carabinieri]]<ref name="cita-Guido-Leto-p21"/>.
Scarcerato, trascorse gli ultimi anni di vita in un appartamento in via Stazione San Pietro a [[Roma]] e le estati a [[Grottaferrata]]<ref>Angelo Mangone, "Luigi Capello", Mursia Editore, Milano, 1994, pag. 159.</ref>.
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