Biennio rosso in Europa: differenze tra le versioni

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[[File:Bela.Kun.Revolution.1919.jpg|thumb|[[Béla Kun]] parla alla folla ([[Ungheria]]-, 1919)]]
 
Il '''biennio rosso''' è la [[locuzione]] con cui alcuni storici<ref>AA. VV., ''Il biennio rosso 1919-1920 della Terza Internazionale'', a cura di [[Silverio Corvisieri]], Milano 1970; citato in [[Massimo L. Salvadori]], ''Rivoluzione e conservazione nella crisi del 1919-20'', in: Id., ''Dopo Marx. Saggi su socialdemocrazia e comunismo'', Einaudi, Torino 1981, p. 245.</ref><ref name="sconfitte">AA. VV., ''Le rivoluzioni sconfitte, 1919/20'', a cura di Eliana Bouchard, Rina Gagliardi, Gabriele Polo, supplemento a "[[il manifesto]]", Roma, s.d. (ma 1993), pp. 20-24.</ref> indicano il periodo di agitazioni sociali avvenuto in alcuni paesi [[Europa|europei]] immediatamente dopo la fine della [[prima guerra mondiale]] (1919-1920).
 
[[File:Bela.Kun.Revolution.1919.jpg|thumb|[[Béla Kun]] parla alla folla ([[Ungheria]]-1919)]]
== Antefatti e quadro generale ==
Gli esiti del conflitto condussero al crollo delle monarchie nell'[[Impero tedesco]], nell'[[Impero austro-ungarico]], nell'[[Impero ottomano]] e nel [[Regno di Bulgaria]]. In questi paesi, e nel [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] (che pure uscì vincitore dalla guerra), lo sforzo bellico acuì fortemente le tensioni sociali. Specialmente a partire dal 1917, sentimenti di stanchezza e di ostilità alla guerra, oltre a [[Rivoluzioni del 1917-1923|propositi di rivolta]], crebbero nelle masse popolari.
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{{citazione|Se, nel 1918, la socialdemocrazia tedesca avesse utilizzato il potere che gli operai le imponevano di prendere per compiere la rivoluzione socialista e non per salvare il capitalismo, non è difficile immaginare, sulla base dell'esempio russo, quale invincibile forza economica potrebbe rappresentare oggi un blocco socialista dell'Europa centrale e orientale e di una parte considerevole dell'Asia. I popoli del mondo dovranno pagare con nuove guerre e nuove rivoluzioni i crimini storici del riformismo.|[[Lev Trockij]]<ref>Lev Trockij, ''La rivoluzione tradita'' (1936), a cura di Livio Maitan, Mondadori, Milano 1990, p. 10.</ref>}}
 
Altri autori sottolineano invece la capacità di tenuta dimostrata dai sistemi capitalistici nella crisi del 1919-20 e l'immaturità delle forze rivoluzionarie, le quali non seppero, per limiti propri oltre che per le circostanze meno propizie, ripetere l{{'}}''exploit'' dei bolscevichi russi nel 1917. Sulla scorta di simili considerazioni, questi storici negano che, nel biennio rosso, vi siano state reali possibilità di una rivoluzione di tipo bolscevico in Europa occidentale<ref>Giorgio Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna. Volume ottavo. La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo'', Feltrinelli, Milano 1996 (sesta edizione), pp. 334-5.</ref><ref>M.L. Salvadori, ''Rivoluzione e conservazione'' cit., pp. 242-4.</ref><ref>Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche. Settembre 1920'', Einaudi, Torino 1973 (quarta edizione), pp. 176-8.</ref>. A tale conclusione giunse lo stesso [[Iosif Stalin|Stalin]] nel 1939, secondo quanto riportato nel diario del segretario generale del Comintern, [[Georgi Dimitrov]]:
 
{{citazione|Io ritengo che la parola d'ordine della trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile (ai tempi della prima Guerra mondiale) era adatta solo alla Russia, dove gli operai erano legati ai contadini e nelle condizioni date dallo zarismo potevano muovere all'assalto della borghesia.
 
Questa parola d'ordine non era adatta ai paesi europei, in quanto lì gli operai avevano ottenuto dalla borghesia alcune riforme democratiche alle quali si erano aggrappati, non erano preparati per andare verso una guerra civile (una rivoluzione) contro la borghesia. (Sarebbe stato necessario un altro approccio nei confronti degli operai europei)<ref>{{cita|Dimitrov 2002|p. 203 (7 novembre 1939).}}</ref>}}
 
Un'ulteriore linea interpretativa è costituita da quegli storici i quali intravedono, nel biennio 1919-20, la possibilità di una "terza via" fra conservazione del capitalismo e rivoluzione bolscevica. Questi autori sottolineano l'elemento di novità costituito dai Consigli e opinano che, sul fondamento di questa istituzione operaia, avrebbe potuto nascere e consolidarsi in Europa, in quegli anni, un nuovo tipo di [[democrazia diretta]] a base popolare. Secondo questi storici, l'opportunità non fu colta perché i socialdemocratici non vollero, e i comunisti non seppero, valorizzare appieno l'istituzione consiliare<ref>M. L. Salvadori, ''La socialdemocrazia tedesca dalla fondazione all'avvento del nazismo'' cit., pp. 190-2, richiama in proposito le opere di E. Kolb, ''Die Arbeiterräte in der deutschen Innenpolitik 1918-1919'', Düsseldorf 1962; E. Matthias, ''Zwischen Räten und Geheimräten. Die deutsche Revolutionsregierung 1918-19'', Düsseldorf 1970; S. Miller, ''Die Bürde der Macht. Die deutsche Sozialdemokratie 1918-1920'', Düsseldorf 1978.</ref><ref>[[Marco Revelli]], ''Introduzione'' a AA.VV., ''Le rivoluzioni sconfitte'' cit., pp. 3-8.</ref>.
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* Christophe Charle, ''La crise des sociétés impériales. Allemagne, France, Grande-Bretagne 1900-1940. Essai d'histoire sociale comparée'', Parigi, Seuil, 2001
* Roberto Bianchi, ''Bocci-Bocci. I tumulti annonari nella Toscana del 1919'', Firenze, Olschki, 2001
* {{cita libro|Georgi|Dimitrov|wkautore=Georgi Dimitrov|Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945)|curatore=[[Silvio Pons]]|2002|annooriginale=2000|Einaudi|Torino|ISBN=88-06-16340-X|cid=Dimitrov 2002}}
* [[Claudia Salaris]], ''Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume'', [[Bologna]], [[Il Mulino]], 2002
* Roberto Bianchi, ''Les mouvements contre la vie chère en Europe au lendemain de la Grande Guerre'', in ''Le XXe siècle des guerres'', Parigi, Les Editions de l'Atelier, 2004, pp.&nbsp;237–245