Giuseppe d'Arimatea: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Annullata la modifica 142685361 di 78.211.86.163 (discussione): inutile, tutte le date sono d.C.
Etichetta: Annulla
Quindi è inutile toglierlo
Etichette: Ripristino manuale Annullato Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
Riga 79:
Diversi studiosi mettono in dubbio la storicità della tradizione relativa alla deposizione e sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe di Arimatea.
 
Secondo le consuetudini [[storia romana|romane]] i cadaveri dei giustiziati erano lasciati decomporre sulla croce alla mercé degli animali – e poi sepolti senza cerimonie pubbliche e in una fossa comune<ref group=Nota>Questo anche per evitare che la tomba potesse diventare meta di pellegrinaggi da parte di eventuali seguaci del condannato.</ref> – come deterrente per chi osava sfidare Roma; non vi è neppure una prova documentale di un'eccezione da parte di un governatore romano<ref group=Nota>Ma ve ne sono molteplici in senso opposto, sulla spietata crudeltà dei Romani in merito ai crocifissi, per esempio in Orazio (Satire ed epistole), Giovenale (Satire), Artemidoro da Efeso, Petronio (Satyricon).</ref> e tantomeno [[Ponzio Pilato]], noto per la sua fermezza e crudeltà. Questo, in particolare, nel caso di crocifissioni di rivoltosi; il cadavere, in situazioni del tutto eccezionali, poteva essere richiesto solo da un familiare, che doveva avere una certa influenza presso i Romani.<ref name="ref_A">Bart Ehrman, ''Jesus apocalyptic prophet of the new millennium'', Oxford University Press, 1999, pp. 224-225,229-232, ISBN 978-0-19-512474-3.</ref><ref>{{cita|Ehrman 2017|pp. 132-143}}.</ref> Anche lo studioso [[John Dominic Crossan]], tra i cofondatori del [[Jesus Seminar]], rileva come l'episodio riportato dallo storico [[Flavio Giuseppe]] – che descrive il suo intervento direttamente presso il generale romano, e futuro imperatore, [[Tito (imperatore)|Tito]] per potere deporre tre suoi parenti che aveva scoperto essere stati crocifissi durante le guerre romano-giudaiche – dimostri che solo se molto influenti si poteva ottenere la sepoltura di un cadavere di un parente crocifisso. Flavio Giuseppe, che aveva frequentato anche l'imperatore [[Vespasiano]], era infatti al servizio dei romani come interprete e godeva di una certa influenza; quindi la regola era che «se uno era influente, non veniva crocifisso, e se veniva crocifisso, non aveva influenza sufficiente per ottenere la sepoltura».<ref>{{cita|Crossan 1994|pp. 156–159, 188–194, 196}}; {{cita|Crossan 1995|pp. 160–176,187–188}}; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, p. 179, 1976.</ref> Diversi studiosi rilevano tuttavia che le norme religiose ebraiche prevedevano che i condannati a morte, per motivi di purità, venissero sepolti nel giorno stesso dell’esecuzione<ref>Vedi [[Deuteronomio]] 21, 22-23</ref>, pertanto i Romani, che rispettavano le usanze locali, lasciavano che ciò avvenisse, tranne nei casi di esecuzioni di massa effettuate in seguito alla repressione di rivolte popolari, che tuttavia rappresentavano l’eccezione e non la norma. La sepoltura dei giustiziati doveva essere effettuata in fretta e senza i consueti riti funebri (corteo, lamenti, ecc.).<ref name=Grasso>Santi Grasso, ''Il Vangelo di Giovanni'', Città Nuova, 2008, pp. 746–748; Antonio Lombatti, ''Inchiesta sulla Bibbia'', pp. 226–228.</ref> Secondo la legge ebraica, i condannati a morte da un tribunale giudaico non potevano essere sepolti nelle tombe di famiglia, ma dovevano essere tumulati in una tomba predisposta dalla corte di giustizia. Nel caso dei condannati a morte dai Romani, i familiari potevano invece richiedere il corpo. La consegna della salma non era però un diritto, ma una concessione che poteva avvenire di volta in volta a discrezione dell'autorità romana; in alternativa, il cadavere era portato nel luogo destinato alle sepolture dei criminali. La possibilità di ottenere il corpo del condannato sembra attestata dal ritrovamento archeologico di una tomba di famiglia sul [[monte Scopus]], vicino a Gerusalemme, in cui sono stati rinvenuti i resti dello scheletro di un uomo crocifisso; secondo vari studiosi, è plausibile che la richiesta del corpo di Gesù, proveniente da un giudeo autorevole come Giuseppe di Arimatea, sia stata accolta favorevolmente.<ref name=Grasso /><ref>Charles Perrot, ''Jesus'', PUF, Paris, 1998, p. 115.</ref> Altri storici, come [[John Dominic Crossan|Crossan]], sottolineano, però, come sia stato rinvenuto un solo cadavere di un crocifisso sepolto in Palestina, nonostante le migliaia di crocifissioni di ribelli durante le varie rivolte ebraiche e le tre maggiori rivolte messianiche (per esempio il solo legato romano [[Publio Quintilio Varo|Varo]], dopo la morte di [[Erode il Grande|Erode]], crocifisse oltre duemila ribelli e il governatore [[Gessio Floro|Floro]], nel 66 d.C. altri tremilaseicento<ref group="Nota">Anche durante l'[[Assedio di Gerusalemme (70)|assedio e la distruzione di Gerusalemme]], nel 70, Flavio Giuseppe annota come gli ebrei venissero «crocifissi di fronte alle mura» e «ogni giorno erano cinquecento, e talvolta anche di più [...] e tale era il loro numero che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime».</ref>); questo unico rinvenimento, stante anche l'attività degli archeologi israeliani, dimostra come la sepoltura di un crocifisso fosse un'assoluta eccezione.<ref>{{cita|Crossan 1994|pp. 156-159}}; {{cita|Crossan 1995|pp. 167-168, 188}}.</ref>
 
La figura di Giuseppe di Arimatea non compare negli ''[[Atti degli Apostoli]]'', che sostengono, invece, come la deposizione dalla croce e la sepoltura di Gesù furono effettuate dalle autorità giudaiche e tutti i membri del Sinedrio: «Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l'hanno riconosciuto e condannandolo [...] chiesero a Pilato che fosse ucciso. [...] lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro».<ref>{{Cita passo biblico|At13,27-30}}.</ref>. Secondo Albert Barnes, invece, il soggetto di «lo deposero dalla croce» è «i Giudei», e Giuseppe e Nicodemo erano essi stessi Giudei; secondo Charles Ellicott, non era necessario affermare che Gesù fosse stato deposto da coloro che erano «discepoli in segreto, come Giuseppe e Nicodemo. Bastava il fatto che anche loro erano fra i capi dei Giudei, e che anche loro facevano ciò che facevano senza alcuna aspettativa di una risurrezione».<ref>[http://biblehub.com/commentaries/acts/13-29.htm Bible Hub]</ref> Secondo il biblista [[Carlo Maria Martini]], il racconto degli ''Atti'' sembra frutto di un'abbreviazione e non è da considerarsi necessariamente in opposizione ai vangeli.<ref>Carlo Maria Martini, ''Il problema storico della risurrezione negli studi recenti'', Università Gregoriana Editrice, Roma, 1980</ref> Secondo invece altri storici come [[John Dominic Crossan]] e [[Bart Ehrman]] il ''Vangelo secondo Marco'' conferma la versione degli ''Atti degli Apostoli'' sopra citata: tutto il sinedrio cercava una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte e «non quindi alcuni suoi membri, e nemmeno la maggior parte: ''tutto''» ({{passo biblico|mc14,55|libro=no}}) e, infine, «''tutti'' lo condannarono a morte» ({{passo biblico|mc14,64|libro=no}})<ref>{{cita|Crossan 1995|p. 172}}; {{cita|Ehrman 2017|pp. 133-136}}.</ref>; inoltre, non è coerente che gli stessi sinedriti non avessero provveduto alla sepoltura di tutte e tre i cadaveri, inclusi quelli dei due crocifissi ai lati di Gesù.<ref>{{cita|Crossan 1995|p. 173}}; {{cita|Destro e Pesce 2014|p. 146}}.</ref>