Bhagavadgītā: differenze tra le versioni

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Anche gli uomini che praticano costantemente i Miei precetti, pieni di devozione e senza criticismo, sono liberati da ogni karma.
Ma coloro che rifiutano il Mio insegnamento e non vivono in conformità ad esso, totalmente illusi riguardo alla vera saggezza e privi di discriminazione, sappi che sono condannati alla distruzione.|Bhagavadgītā, III: 30-33}}
Contro alcune correnti e interpretazioni mondane e letterali del testo sacro<ref>Tali interpretazioni distorte non sono mancate in ambito nazionalista induista o tra gli [[Razza_ariana#Concezione_hitleriana_sulla_razza_superiore|arianisti occidentali]] (cfr. Padfield, Peter, Himmler, New York: Henry Holt, 1990, p. 402).</ref>, [[Sri Aurobindo]] spiega: {{quote|La Gita non sostiene certo la guerra, ciò che sostiene è la difesa attiva e disinteressata del dharma. Se sinceramente seguito, il suo insegnamento avrebbe potuto cambiare il corso dell'umanità. Può ancora cambiare il corso della storia indiana.|Sri Aurobindo}}
Prima Krishna richiama Arjuna affermando che non bisogna affliggersi per la morte, specie quando è dovuta al ''[[karma]]'' e al ''dharma'', ribadendo la teoria della [[reincarnazione]] in un nuovo corpo, oppure l'anima raggiunge la ''[[mokṣa]]'', cioè l'uscita dal ciclo e l'approdo alla condizione divina, divenendo tutt'una con Krishna o comunque vivendo nel luogo dove risiede la divinità e ottenendo le caratteristiche dei ''[[Deva]]''.<ref>Stefano Piano, Enciclopedia dello yoga, 6.ª ed., Torino, Promolibri Magnanelli, 2011, p. 207.</ref>
{{quote|I veri saggi però non s'affliggono né per i vivi né per i morti.|''Bhagavadgītā'', II, 11}}