Compromesso del 1790: differenze tra le versioni

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== Accollo ==
Lo storico Max M. Edling ha spiegato come funzionava l'accollo dei debiti di singoli Stati, perché era per Hamilton il vero problema critico; la posizione della capitale era uno stratagemma utile per il negoziato. Hamilton propose che il Tesoro federale subentrasse ai singoli Stati accollandosi il debito da questi contratto per finanziare la [[guerra d'indipendenza americana]]. Il Tesoro avrebbe emesso [[Obbligazione (finanza)|obbligazioni]] che sarebbero state acquistate dai più abbienti che avrebbero così partecipato in modo tangibile al successo del governo nazionale. Il piano di Hamilton prevedeva poi che le nuove obbligazioni rappresentirappresentanti il debito sarebbero state ripagate con le entrate derivanti da un nuovo dazio sulle importazioni. Jefferson inizialmente approvava il progetto, ma Madison gli fece cambiare idea sostenendo che il controllo federale del debito avrebbe concentrato troppo potere nel governo nazionale.
 
Edling ha sottolineato che dopo la sua difficile approvazione nel 1790, la tecnica dell'accollo venne accettata con naturalezza. Madison tentò di pagare gli speculatori al di sotto della parità, ma venne restituito il valore nominale dei debiti statali, indipendentemente dal prezzo pagato per l'acquisto. Jefferson, quando divenne presidente, mantenne in vigore il sistema. Il debito degli Stati Uniti era solidamente riconosciuto in patria e all'estero, e Hamilton riuscì con successo ad attrarre nel suo nuovo [[Partito Federalista (Stati Uniti d'America)|Partito Federalista]] molti degli obbligazionisti. Il buon credito raggiunto dalla nuova nazione permise al segretario al Tesoro di Jefferson, [[Albert Gallatin]], di ottenere prestiti in Europa per l'[[acquisto della Louisiana]] nel 1803, e per finanziare la [[Guerra anglo-americana|guerra del 1812]]<ref>Max M. Edling, "'So immense a power in the affairs of war': Alexander Hamilton and the restoration of public credit." ''William and Mary Quarterly'' 64#2 (2007): 287-326. [https://www.jstor.org/stable/4491623 in JSTOR]</ref>.