Qualche mese dopo propone a [[Benedetto Croce]] di scrivere un manifesto che riunisca le maggiori intelligenze antiregime, iniziativa che si concretizzerà poi nel [[manifesto degli intellettuali antifascisti]]. La secessione dell'Aventino non produce i risultati sperati, poiché alla fine del 1924 il [[governo Mussolini]] è ancora in carica<ref>«S'illudeva di chiamare a raccolta tutti gli uomini della democrazia ritrovandosi, poi, solo, completamente solo, al comando di un esercito di fantasmi». {{Cita libro|autore=Antonio Scurati|titolo=M. L'uomo della provvidenza|editore=Bompiani|p=61}}</ref>.
=== Rapporto con il bolscevismocomunismo ===
Amendola, antifascista liberale, si contrappose anche al bolscevismocomunismo. Rivolse la propria proposta politica ai ceti medi, soprattutto meridionali, offrendo loro una terza soluzione liberaldemocratica al dilemma tra fascismo e bolscevismocomunismo, e tentò di arginare la diffusione di questi movimenti nelle regioni del Mezzogiorno, dove essi erano meno forti<ref name="Carocci_1960" />.
In un articolo del settembre 1922, Amendola prese le distanze dai bolscevichi italianicomunisti, giudicandoli antinazionali e antidemocratici, ma respinse la tesi fascista per cui il pericolo di una dittatura [[Bolscevismo|bolscevica]] avrebbe reso necessaria l'instaurazione di una dittatura nazionale. Amendola replicò inoltre all'accusa rivolta ai partiti di sinistra di essere antinazionali, sostenendo che tale affermazione valesse solo per i bolscevichicomunisti: «i partiti di sinistra (escludiamo, si capisce, l'estrema bolscevica) in quanto mirano a far entrare nell'orbita del regime le grandi moltitudini, con una concezione integrale delle forze nazionali nelle quali borghesia, piccola borghesia e proletariato coesistano, sono partiti nazionali per eccellenza, in quanto l'idea di nazione, come insegnò [[Giuseppe Mazzini]], coincide meglio col concetto di popolo, risultante di tutte le classi, che col concetto di classe, che non esaurisce il concetto di popolo»{{Efn|Il carattere interclassista del popolo è un elemento ricorrente nel pensiero di Mazzini. Cfr. ad esempio, ''Epistola CXXIV. A Pietro Olivero'', Ginevra, luglio 1833, in ''Scritti editi ed inediti'', vol. V, Imola, Cooperativa tipografico-editrice Paolo Galeati, 1909, p. 354: «la mia repubblica non consiste nell'intolleranza eretta a sistema: la mia repubblica non istà nell'innalzar una classe – e sia qualunque – struggendone un'altra. La mia repubblica basa sul Popolo – per Popolo intendo l'aggregato di tutte le classi – per tutto il Popolo io desidero libertà, progresso, miglioramento»; ''La réforme intellectuelle et morale di Ernest Renan'', 1872, in ''Scritti editi ed inediti'', vol. XCIII (93), Imola, Cooperativa tipografico-editrice Paolo Galeati, 1941, p. 236: «Popolo non è una frazione comunque vasta di popolo, ma l'insieme di tutte le classi, di tutti gli individui associati a formar Nazione sotto la scorta d'una fede e d'un Patto che additino un fine comune; e quel fine è solo sovrano. Le Rivoluzioni sono legittime e sante soltanto quando propongono, sulla via del Progresso, un nuovo fine capace di migliorare le condizioni morali, intellettuali, e materiali di tutti: quelle che tendono a sostituire la supremazia sistematica d'una frazione di popolo sulle altre non sono che ribellioni infruttifere e pericolose».}}. Un governo reazionario sarebbe stato quindi «un governo non di popolo, e perciò non di nazione, ma di casta militare o di oligarchia economica, poco importa, ma certo di minoranza, cioè di compressione della maggioranza: il che repugna [sic] e al principio liberale e al principio democratico, che condannano tutte le dittature d'indole bolscevica o d'indole aristocratica». Perciò era infondata l'affermazione «che l'asserita insufficiente resistenza alla dittatura bolscevica [...] tolga a noi il diritto, come democratici, di reagire a una dittatura nazionale». Al contrario, «come fummo fieramente avversi al bolscevismo, antinazionale ed antidemocratico, così siamo ugualmente avversi alle dittature, che essendo antidemocratiche, ci rifiutiamo di riconoscere come espressione della unitaria volontà nazionale». Amendola auspicò quindi che il fascismo rientrasse nell'alveo della legalità «perché il fascismo sorto per spezzare una schiavitù, non finisca con instaurarne un'altra», non potendo la violenza fascista contro gli esponenti democratici essere giustificata dagli «agguati dei bolscevichicomunisti – verso cui è inutile ripetere che non abbiamo nessuna simpatia, né come idealità né come metodo»<ref>Giovanni Amendola, ''A proposito di partiti nazionali'', in ''Il Mondo'', 28 settembre 1922. Cfr. {{cita|Amendola 1960|pp. 37-39}}. Si fa riferimento alle aggressioni fasciste contro [[Tullio Benedetti]], [[Guido Bergamo]], [[Carlo Torriani]] e [[Antonio Fradeletto]].</ref>.
Secondo Amendola, i metodi impiegati dai bolscevichicomunisti italiani seguendo l'esempio bolscevico russo finivano per legittimare il fascismo: «alla fine, i bolscevichicomunisti sono gli epigoni nostrani dell'esperimento russo [...] e – fanatici delle proprie concezioni fino alle ultime conseguenze – mentre legittimano con la propria adesione la dittatura di [[Lenin]], legittimano pure la dittatura fascista in Italia, pur combattendola»<ref>Giovanni Amendola, ''Fascismo e comunismo'', in ''Il Mondo'', 23 novembre 1923. Cfr. {{cita|Amendola 1960|p 212}}.</ref>.
Nel luglio 1924 Amendola protestò contro la prassi della stampa fascista di ridurre la lotta politica del tempo a uno scontro tra fascisti e bolscevichicomunisti: «s'è voluto far credere che le oscillazioni del pendolo non possano che toccare alternativamente l'estrema destra o l'estrema sinistra. Tutti {{sic|gl'intermedi}} fra i due estremi sembrano non esistere». Nel riaffermare l'esistenza delle forze democratiche, Amendola tornò a prendere le distanze da entrambe le forze estreme: «dittatura fascista e dittatura bolscevicacomunista sono entrambe oppressione della maggioranza; sono negazione della sovranità popolare; nei nostri confronti, quindi, sono allo stesso piano. Contro ogni dittatura noi riaffermiamo le finalità ed il metodo del consenso, della democrazia»<ref>Giovanni Amendola, ''Tra i due estremi'', in ''Il Mondo'', 20 luglio 1924. Cfr. {{cita|Amendola 1976|pp. 53-55}}.</ref>.
Dal canto loro, i bolscevichicomunisti assimilavano Amendola e gli altri esponenti democratici ai fascisti. [[Antonio Gramsci]] rivendicò «la nostra reale volontà di abbattere non solo il fascismo di Mussolini e [[Roberto Farinacci|Farinacci]], ma anche il semifascismo di Amendola, [[Luigi Sturzo|Sturzo]], [[Filippo Turati|Turati]]»<ref>Antonio Gramsci, ''La crisi italiana'', in ''[[L'Ordine Nuovo]]'', 1º settembre 1924, ora in Id., ''Scritti politici'', Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 576-587.</ref>.
=== L'aggressione a Pieve a Nievole, la malattia e la morte ===
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