Terza guerra servile: differenze tra le versioni

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|Comandante1 = [[Gaio Claudio Glabro]]†,<br />[[Publio Varinio]]†,<br />[[Gneo Cornelio Lentulo Clodiano]],<br />[[Lucio Gellio Publicola]],<br />[[Gaio Cassio Longino (console 73 a.C.)|Gaio Cassio Longino]],<br />Gneo Manlio,<br />[[Marco Licinio Crasso]],<br />[[Gneo Pompeo Magno]],<br />[[Marco Terenzio Varrone Lucullo]],<br />Lucio Quinzio,<br />Gneo Tremellio Scrofa
|Comandante2 = [[Spartaco]]†,<br />[[Crixo]]†,<br />[[Enomao (schiavo)|Enomao]]†,<br />[[Casto (gladiatore)|Casto]]†,<br />[[Gannico]]†
|Effettivi1 = 3.000{{formatnum:3000}} miliziani,<br />8 legioni romane (40.000–50.000{{formatnum:40000}}–{{formatnum:50000}} uomini),<br />altri 12.000{{formatnum:12000}}
|Effettivi2 = 120.000{{formatnum:120000}} schiavi fuggiaschi e gladiatori in totale,<br />numero effettivo di combattenti non noto
|Perdite1 = gravi ma non conosciute
|Perdite2 = quasi tutti uccisi o crocifissi
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=== Schiavitù nella Repubblica romana ===
{{vedi anche|Schiavitù nell'antica Roma}}
Il fenomeno della [[schiavitù]] nell'[[antica Roma]], con la conseguente disponibilità di una forza lavoro a basso costo sotto forma di schiavi, fu un elemento importante, anche se a livelli variabili nel tempo, nell'economia della [[Repubblica romana]]. Gli schiavi erano ottenuti sia tramite l'acquisto da mercanti stranieri sia attraverso la riduzione in schiavitù delle popolazioni straniere a seguito delle conquiste militari.<ref>{{cita|Smith 1890|p. 1038}}, spiega in dettaglio i mezzi civili e militari con i quali si riduceva in schiavitù un uomo.</ref> A seguito delle guerre di conquista romane del [[II secolo a.C.|II]] e del [[I secolo a.C.]], decine se non centinaia di migliaia di schiavi furono introdotti nell'economia romana da differenti zone dell'Europa e del Mediterraneo.<ref>{{cita|Smith 1890|p. 1040}}; [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], ii.33. Smith riporta l'acquisto di 10.000{{formatnum:10000}} schiavi dai pirati [[Cilicia|cilici]], mentre Cesare fornisce l'esempio della riduzione in schiavitù di 53.0005{{formatnum:3000}} prigionieri [[Atuatuci|aduatuci]] da parte dell'[[esercito romano]].</ref> Mentre l'uso degli schiavi come servi, artigiani e valletti personali era limitato, un numero enorme era, invece, impiegato nelle miniere e nelle colture agricole della [[Sicilia (provincia romana)|Sicilia]] e dell'Italia meridionale. Solo una minima parte era quella costituita dagli schiavi provenienti per lo più dalla Grecia o da colonie greche in Italia che riuscivano, grazie alla loro cultura, a raggiungere una posizione sociale abbastanza elevata o a evitare, comunque, una posizione di completa sottomissione.<ref>{{cita|Smith 1890|p. 1039}}; Tito Livio, vi.12.</ref>
 
Agli schiavi era perlopiù riservato, durante il periodo repubblicano, un trattamento particolarmente duro: secondo la legge, uno schiavo non era una persona, ma una proprietà privata della quale il padrone poteva abusare, che poteva danneggiare o uccidere senza conseguenze legali.<ref>[[Marco Terenzio Varrone]] nei suoi ''Rerum rusticarum libri III'' (i.17.1) propone una visione secondo cui gli schiavi dovevano essere classificati come ''strumenti parlanti'', distinti dagli ''strumenti semiparlanti'', gli animali, e gli ''strumenti non parlanti'', ovvero gli attrezzi agricoli veri e propri.</ref> L'uccisione di uno schiavo era, tuttavia, un evento abbastanza raro, in quanto si concretizzava nell'eliminazione di forza lavoro produttiva. Esistevano diversi livelli nella condizione di schiavo: la peggiore e più diffusa era quella dei lavoratori nei campi e nelle miniere, soggetti ad una vita di lavoro duro.<ref>{{cita|Smith 1890|pp. 1022-39}}, dove è presentata la complessa legislazione romana sugli schiavi.</ref>
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La [[Campania antica]], centro della rivolta servile, era una zona in cui si trovavano le [[Villa romana|ville]] dell'aristocrazia romana, oltre che la regione dove si estendevano molte [[Latifondo|proprietà latifondiarie]]; per questo motivo la rivolta fu subito all'attenzione delle autorità romane, le quali, però, la considerarono, all'inizio, solo come un episodio di criminalità comune.
 
Quello stesso anno, comunque, Roma decise di inviare contro gli schiavi delle forze al comando di un [[pretore (storia romana)|pretore]], col compito di porre fine alla ribellione. Il pretore in questione, [[Gaio Claudio Glabro]], raccolse 3.000{{formatnum:3000}} uomini,<ref>Plutarco, ''Crasso'', ix.2</ref> ma non tra le [[legione romana|legioni]], bensì «rapidamente e casualmente, in quanto i Romani non consideravano ancora questa una guerra, ma un'incursione, una specie di ladrocinio».<ref name=appiano1_116 /> Le forze di Glabro assediarono gli schiavi sul [[Vesuvio]], bloccando l'unica via di uscita nota: bloccati i ribelli, Glabro si accontentò di attendere fino al momento in cui la fame e gli stenti li avrebbero costretti ad arrendersi.
 
Sebbene gli schiavi non avessero addestramento militare, le forze di Spartaco mostrarono intelligenza nell'uso delle risorse locali e nell'agire secondo tattiche efficienti e non ortodosse di fronte ai disciplinati eserciti romani.<ref>[[Sesto Giulio Frontino|Frontino]], i.5.20-22, vii.6.</ref> Di fronte all'assedio di Glabro, gli uomini di Spartaco fabbricarono funi e scale adoperando il legno delle vigne e degli alberi che crescevano sulle pendici del Vesuvio per [[Discesa in corda doppia|scendere]] per le pareti della montagna dalla parte opposta alle forze di Glabro; dopo aver girato intorno al Vesuvio, attaccarono alle spalle le forze romane, trucidando gli uomini di Glabro.<ref name=appiano1_116 /><ref>Plutarco, ''Crasso'', ix.1-3; Frontino, i.5.20-22; Broughton, ''Magistrates of the Roman Republic'', p. 109. Plutarco e Frontino raccontano che la spedizione era sotto il comando del "pretore Clodio" e di "Publius Varinius", mentre Appiano scrive di "Varinius Glaber" e "Publio Valerius".</ref>
 
Una seconda spedizione, sotto il pretore [[Publio Varinio]], fu poi inviata contro Spartaco. Sembra che Varinio abbia diviso le proprie forze, per qualche ragione, sotto i comandi dei suoi due subordinati, Furio e Cossinio: Plutarco afferma che Furio comandava circa 2.000{{formatnum:2000}} uomini, ma non è noto né quale fosse la forza dell'altro contingente né se le truppe romane fossero composte da legionari o da miliziani. Anche questa spedizione fu sconfitta dagli schiavi: Cossinio fu ucciso, Varinio scampò alla cattura, e gli schiavi entrarono in possesso dell'equipaggiamento dei soldati romani.<ref name=appiano1_116 /><ref>Plutarco, ''Crasso'', ix.4–5; Tito Livio, xcv; Sallustio, iii.64–67. Livio identifica il comandante della seconda spedizione con Publio Vareno, mentre il suo subordinato sarebbe stato Claudio Pulcro.</ref> Grazie a questi successi, un numero sempre maggiore di schiavi si unì alle forze di Spartaco, come fecero «molti dei pastori della regione», portando il numero dei ribelli a 70.000.{{formatnum:70000}}<ref name=appiano1_116 /><ref>Plutarco, ''Crasso'', ix.3.</ref> Gli schiavi passarono l'inverno [[73 a.C.|73]]-[[72 a.C.]] armando ed equipaggiando le nuove reclute e allargando il territorio soggetto alle loro incursioni alle città di [[Nola]], [[Thurii]] e [[Metapontum]].<ref name="floro_2_8">Floro, ii.8.</ref>
 
Durante questi avvenimenti, uno dei capi della rivolta, [[Enomao (schiavo)|Enomao]], scompare dalle narrazioni, probabilmente morto in battaglia.<ref>Orosio, v.24.2.</ref>
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Alla fine del [[73 a.C.]], [[Spartaco]] e [[Crixus]] si trovavano alla testa di un grande gruppo di armati che aveva dimostrato di saper reggere il confronto con gli eserciti romani; cosa i due intendessero fare con questa forza a disposizione è difficile da determinare per i lettori moderni: la rivolta si risolse infatti in un insuccesso, e non esistono testi scritti personalmente da coloro che vi parteciparono.
 
Le più diffuse ricostruzioni moderne dei fatti raccontano che vi fu una scissione tra gli schiavi: i sostenitori di Spartaco, che intendevano fuggire oltre le Alpi, si divisero da quelli di Crixus, che intendevano restare in Italia meridionale per continuare a saccheggiare la regione. Questa interpretazione trova il suo fondamento nel fatto che le regioni che [[Floro]] elenca tra quelle saccheggiate dagli schiavi ribelli includono [[Thurii]] e [[Metapontum]], ben distanti da [[Nola]] e [[Nuceria Alfaterna|Nuceria]], dove i ribelli erano accampati. Questo proverebbe l'esistenza di due gruppi separati; alla fine il console [[Lucio Gellio Publicola]] attaccò Crixus e un gruppo di circa 30.000{{formatnum:30000}} seguaci che erano considerati come separati dal gruppo principale di Spartaco.<ref name="plutc_9_7"/><ref name=appiano1_117>Appiano, i.117.</ref> [[Plutarco]] riporta il desiderio di alcuni schiavi fuggiaschi di saccheggiare l'Italia invece di fuggire oltre le Alpi.<ref name="plutarco_9_56">Plutarco, ''Crasso'', ix.5–6.</ref> Sebbene questa divisione in fazioni non sia contraddetta dalle fonti classiche, non esiste nessuna prova diretta in suo favore.
 
Ricostruzioni come il film ''[[Spartacus]]'' di [[Stanley Kubrick]] del [[1960]] fanno di Spartaco un combattente per la libertà nell'antica Roma, che lotta per cambiare la corrotta società romana e porre fine alla [[schiavitù]]. Sebbene neppure questa visione sia contraddetta dagli storici classici, nessun racconto storico afferma che lo scopo dei ribelli fosse quello di porre fine alla schiavitù nella Repubblica, né alcuna delle azioni sembra espressamente indirizzata a questo scopo.
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=== Sconfitta degli eserciti consolari (72 a.C.) ===
 
Nella primavera del [[72 a.C.]], gli schiavi ribelli lasciarono i propri accampamenti invernali per muoversi verso nord, in direzione della [[Gallia Cisalpina]]. Il [[Senato romano]], allarmato dalle dimensioni raggiunte dalla rivolta e dalla sconfitta degli eserciti [[pretore (storia romana)|pretoriani]] di Glabro e Varinio, inviò due [[esercito romano|eserciti]] [[console (storia romana)|consolari]] al comando di [[Lucio Gellio Publicola]] e [[Gneo Cornelio Lentulo Clodiano]].<ref>Appiano, i.116–117; Plutarco, ''Crasso'', ix.6; Sallustio, iii.64–67.</ref> Inizialmente, gli eserciti consolari furono vittoriosi: [[battaglia del Gargano|Gellio costrinse allo scontro un gruppo di circa 30.000{{formatnum:30000}} schiavi]], al comando di [[Crixus]], nei pressi del [[Gargano]], e uccise due terzi dei ribelli, incluso il loro capo.<ref>Appiano, i.117; Plutarco, ''Crasso'', ix.7; Livio, xcvi, il quale afferma che le truppe dell'ex-pretore Quinto Arrio uccisero Crixus e 20.000{{formatnum:20000}} dei suoi sostenitori.</ref>
 
Da questo punto fino all'entrata in scena di [[Marco Licinio Crasso]], le due principali fonti storiche sulla terza guerra servile, [[Appiano di Alessandria|Appiano]] e [[Plutarco]], sono in disaccordo: pur non contraddicendosi a vicenda, riportano eventi differenti l'uno dall'altro, ignorando alcuni eventi riportati dall'altro autore e raccontandone invece altri ignorati dall'altra fonte.
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Secondo [[Appiano di Alessandria|Appiano]], la [[battaglia del Gargano]] tra le forze di [[Lucio Gellio Publicola|Gellio]] e quelle di [[Crixus]] fu l'inizio di una serie di complesse manovre militari che portarono quasi all'assalto diretto su [[Roma]] da parte degli uomini di [[Spartaco]].
 
Dopo la sua vittoria su Crixus, Gellio si mosse verso nord, inseguendo il gruppo principale degli schiavi al comando di [[Spartaco]], che si stava dirigendo verso la [[Gallia Cisalpina]]; l'[[esercito romano|esercito]] di [[Gneo Cornelio Lentulo Clodiano|Lentulo]] si dispose in modo tale da sbarrare il passo a Spartaco, e i due consoli contavano così di intrappolare tra i loro eserciti gli schiavi ribelli. L'esercito di Spartaco incappò in quello di Lentulo e lo sconfisse; poi, capovolto il fronte di battaglia, annientò anche l'esercito di Gellio, costringendo le legioni romane alla rotta.<ref name=appiano1_117 /> Appiano afferma che Spartaco, per vendicare la morte di Crixus, mise a morte 300 soldati romani catturati, costringendoli a combattersi l'un l'altro fino alla morte, come succedeva ai gladiatori.<ref name=appiano1_117 /><ref>Floro, ii.8; {{cita|Bradley 1989|p. 121}}; {{cita|Smith 1890|p. 574}}. Smith riporta che le competizioni di gladiatori all'interno di taluni funerali nella [[Repubblica romana]] erano considerati un grande onore; questo in accordo col passaggio di Floro che afferma «celebrò anche le esequie dei suoi ufficiali caduti in battaglia con funerali come quelli dei generali romani, e ordinò ai prigionieri di combattere presso le loro pire».</ref> Dopo questa vittoria, Spartaco si mosse verso nord con i suoi uomini (circa 120.000{{formatnum:120000}}) alla massima velocità possibile, «avendo bruciato tutto l'equipaggiamento inutile, ucciso tutti i suoi prigionieri e macellato tutti i suoi animali da soma per rendere più rapida la sua marcia».<ref name=appiano1_117 />
 
Gli eserciti consolari sconfitti si ritirarono a [[Roma]] per riorganizzarsi, mentre i seguaci di Spartaco puntavano a settentrione; i consoli ingaggiarono nuovamente battaglia con i ribelli da qualche parte nella regione del [[Regio V Picenum|Picenum]], e furono nuovamente sconfitti.<ref name=appiano1_117 />
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Secondo lo storico greco di [[Cheronea]], dopo la battaglia tra le legioni di [[Lucio Gellio Publicola|Gellio]] e gli uomini di [[Crixus]] (che Plutarco descrive come "Germani")<ref name="plutc_9_7">Plutarco, ''Crasso'', ix.7.</ref> vicino al [[monte Gargano]], gli uomini di [[Spartaco]] ingaggiarono un combattimento con la legione comandata da [[Gneo Cornelio Lentulo Clodiano|Lentulo]], la sconfissero, e le sottrassero l'equipaggiamento e i viveri, per spingersi direttamente in Italia settentrionale. Dopo questa sconfitta, entrambi i [[console (storia romana)|consoli]] furono esautorati dal comando dei loro eserciti dal [[Senato romano]] e richiamati a [[Roma]].<ref name="plutc_10_1">Plutarco, ''Crasso'', x.1.</ref> Plutarco non accenna per nulla allo scontro tra Spartaco e la legione di Gellio, né riporta della battaglia tra gli schiavi ribelli ed entrambi gli eserciti consolari nel [[Regio V Picenum|Picenum]].<ref name="plutc_9_7" />
 
Successivamente Plutarco si dilunga nel descrivere, con dovizia di dettagli, uno scontro non menzionato da Appiano: l'esercito di Spartaco continuò ad avanzare verso nord nella regione intorno a ''Mutina'' ([[Modena]]), e lì un esercito romano di 10.000{{formatnum:10000}} uomini, guidato dal governatore della [[Gallia Cisalpina]], [[Gaio Cassio Longino (console 73 a.C.)|Gaio Cassio Longino]], tentò di sbarrare il passo alla sua avanzata, ma fu anche questo sconfitto.<ref name="plutc_9_7" /><ref>{{cita|Bradley 1989|p. 96}}; Tito Livio, xcvi.6. Bradley identifica Gaio Cassio Longino con il governatore della Gallia Cisalpina dell'epoca; anche Livio parla di un Gaio Cassio, e menziona un suo collega (o sottoposto), Gneo Manlio.</ref>
 
Plutarco non menziona altri eventi fino al primo scontro tra [[Marco Licinio Crasso]] e Spartaco, nella primavera del [[71 a.C.]], tralasciando la progettata marcia su [[Roma]] e la ritirata su [[Thurii]] descritta da Appiano.<ref name="plutc_10_1"/> Comunque, dal fatto che Plutarco descrive Crasso che obbliga gli uomini di Spartaco a ritirarsi dal Picenum verso sud, si può inferire che gli schiavi ribelli si avvicinarono al Picenum da meridione agli inizi del 71 a.C., e che, di conseguenza, si ritirarono da Mutina in Italia centrale o meridionale nell'inverno 72/71 a.C.
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Il [[Senato romano]], estremamente allarmato dall'apparente invincibilità della ribellione in Italia, conferì il compito di sedarla a [[Marco Licinio Crasso]].<ref name="plutc_10_1" /> Crasso non era estraneo né alla politica né all'esercito romano: era infatti stato un sottoposto di [[Lucio Cornelio Silla]] durante la seconda guerra tra questi e [[Gaio Mario]], combattuta nell'[[82 a.C.]], e aveva continuato a servire sotto Silla durante la sua [[dittatore romano|dittatura]].<ref>Plutarco, ''Crasso'', vi; Appiano, 1.76–104. Plutarco fa un breve riassunto del coinvolgimento di Crasso nella guerra tra Mario e Silla, e in vi.6–7 presenta un esempio delle capacità del generale come abile comandante; Appiano espone più dettagliatamente le vicende dell'intera guerra tra Mario e Silla e della successiva dittatura, raccontando le gesta compiute da Crasso in quel periodo.</ref>
 
Crasso ricevette la [[pretore (storia romana)|pretura]] e sei nuove [[legioni romane|legioni]], oltre alle due legioni consolari di [[Lucio Gellio Publicola|Gellio]] e [[Gneo Cornelio Lentulo Clodiano|Lentulo]], per un totale di 40.000{{formatnum:40000}}/50.000{{formatnum:50000}} uomini ben addestrati e pronti ad affrontare l'esercito dei ribelli.<ref>Appiano, i.118; {{cita|Smith 1890|p. 494}}; Appiano riporta il numero di legioni, mentre Smith fornisce una stima delle dimensioni di una legione durante tutta l'epoca romana, affermando che le legioni della tarda repubblica avevano da 5000 a 6200 uomini ciascuna.</ref> Crasso impose una ferrea e talvolta brutale disciplina ai suoi uomini, adoperando anche il metodo della [[decimazione]] di un'unità. [[Appiano di Alessandria|Appiano]] non racconta con sicurezza se Crasso decimò le due legioni consolari, per punirle della loro codardia, quando assunse l'''[[imperium]]'' o se, invece, sottopose alle decimazione tutto l'esercito a seguito di una sconfitta successiva (in tal caso avrebbe messo a morte fino a 4.000{{formatnum:4000}} legionari).<ref name=appiano1_118>Appiano, i.118</ref> [[Plutarco]] riporta solo la decimazione di cinquanta uomini di una [[coorte]] come punizione della sconfitta del suo legato Mummio nel primo scontro con Spartaco.<ref name="plutarco_10_1-3">Plutarco, ''Crasso'', x.1-3.</ref> Con queste azioni, Crasso dimostrò alle legioni che «egli era per loro molto più pericoloso del nemico», e spinse dunque i propri uomini a cercare ad ogni costo la vittoria piuttosto che incorrere nel rischio di deludere il proprio comandante.<ref name=appiano1_118 />
 
==== Crasso contro Spartaco ====
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(Paolo Orosio; ''Delle Storie Contra i Pagani..'' Libri VII. Testo latino volgarizzato da Bono Gianbroni. Firenze. Anno 1849 Ed. Tommaso Baracchi)
 
A questo punto sembrò che il corso della guerra fosse cambiato: le legioni di Crasso riportarono numerose vittorie, uccidendo migliaia di schiavi ribelli, e obbligarono Spartaco a ritirarsi a sud, attraverso la Lucania fino allo [[stretto di Messina]]<ref>La tradizione orale vuole che Crasso abbia attraversato il fiume Calore e abbia incontrato i primi ribelli nella zona che poi prese il nome di "Scanno" nel comune di Altavilla Silentina (SA). Per questa ragione si afferma anche che il detto locale ''"Ti aspetto al varco"'' si riferisca proprio a questo avvenimento.</ref>. Secondo [[Plutarco]], Spartaco si accordò con i [[pirateria|pirati]] [[Cilicia|cilici]] per farsi trasportare assieme a 2.000{{formatnum:2000}} dei suoi uomini in [[Sicilia (provincia romana)|Sicilia]], dove intendeva incitare altri schiavi alla rivolta e ottenere così rinforzi; i pirati, però, lo tradirono, prendendo il denaro che egli aveva dato loro e abbandonando gli schiavi ribelli.<ref name="plutarco_10_1-3" /> Le fonti minori sostengono che Spartaco mise in pratica diversi tentativi di attraversare lo stretto con zattere o di costruire navi, ma che Crasso prese misure non meglio specificate per assicurarsi che i ribelli non potessero passare in Sicilia, rendendone vani gli sforzi e ponendo fine ai loro tentativi.<ref name="floro_2_8" /><ref>[[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], ''Per Quinto'', v.2.</ref>
 
Le forze di Spartaco si ritirarono allora verso [[Rhegium]], seguite dalle legioni di Crasso, che, al loro arrivo, costruirono delle fortificazioni tutto intorno all'attuale [[istmo di Catanzaro]], malgrado le azioni di disturbo degli schiavi ribelli; gli uomini di Spartaco si trovarono allora sotto assedio, bloccati nella parte meridionale dell'odierna [[Calabria]], senza la possibilità di ricevere rifornimenti.<ref>Plutarco, ''Crasso'', x.4-5.</ref>
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Le fonti sono discordi sul fatto che [[Marco Licinio Crasso|Crasso]] abbia richiesto rinforzi o che il [[Senato romano]] abbia approfittato del ritorno di Pompeo in Italia, ma al generale in arrivo fu detto di non passare da [[Roma]] e di raggiungere direttamente l'Italia meridionale e portare aiuto a Crasso.<ref>Si confronti Plutarco, ''Crasso'', xi.2 con Appiano, i.119.</ref> Il Senato inviò allora altri rinforzi al comando di un certo "Lucullo", che [[Appiano di Alessandria|Appiano]] confonde col generale [[Lucio Licinio Lucullo]], impegnato all'epoca nella [[terza guerra mitridatica]], ma che in realtà sarebbe stato il [[proconsole]] di [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]], [[Marco Terenzio Varrone Lucullo]], fratello del precedente. Con le legioni di Pompeo che scendevano da nord e quelle di Lucullo sbarcate a [[Brundisium]], Crasso si rese conto che se non avesse posto immediatamente fine alla rivolta, il merito di aver vinto la guerra sarebbe andato al generale che fosse arrivato con i rinforzi, e decise così di spronare le proprie truppe a concludere in fretta le ostilità.<ref name="appiano1_120">Appiano, i.120.</ref><ref name="plutarco_11_2">Plutarco, ''Crasso'', xi.2.</ref>
 
Avvisato dell'arrivo di Pompeo, Spartaco tentò di negoziare con Crasso la fine della guerra prima dell'arrivo dei rinforzi romani;<ref name="appiano1_120" /> fallite le trattative, una parte delle forze ribelli ruppe l'accerchiamento e fuggì verso le montagne a ovest di [[Petelia]] (moderna [[Strongoli]]) in [[Bruttium]], con le legioni di Crasso all'inseguimento.<ref name="appiano1_120" /><ref name="plutarco_10_6">Plutarco, ''Crasso'', x.6.</ref><ref>Non si fa menzione della sorte delle truppe che non ruppero l'accerchiamento, anche se si potrebbe trattare degli uomini agli ordini di Gannico e Casto menzionati in seguito.</ref> Le legioni riuscirono a catturare una parte dei ribelli, agli ordini di Gannico e Casto, che si erano separati dal grosso dell'esercito, uccidendone 12.300{{formatnum:12300}};<ref>Plutarco, ''Crasso'', xi.3; Tito Livio, xcvii.1. Plutarco riporta la stima di 12.300{{formatnum:12300}} ribelli uccisi, Livio afferma fossero 35.000.{{formatnum:35000}}</ref> la vittoria romana era venuta a caro prezzo, in quanto una parte degli schiavi in fuga erano tornati indietro ad ingaggiare battaglia con le forze romane comandate dall'ufficiale di cavalleria Lucio Quinzio e dal [[questore (storia romana)|questore]] Gneo Tremellio Scrofa, mettendole in rotta.<ref>{{cita|Bradley 1989|p. 97}}; Plutarco, ''Crasso'', xi.4.</ref> I ribelli, tuttavia, non costituivano un esercito professionale, e avevano raggiunto il loro limite. Non disposti a continuare la loro fuga, gruppi di uomini si staccavano dal grosso dell'esercito e attaccavano in maniera indipendente e non coordinata le legioni di Crasso che avanzavano.<ref name="plutarco_10_5">Plutarco, ''Crasso'', x.5.</ref> A causa dell'indebolimento della disciplina delle sue forze, Spartaco decise di voltarsi ad affrontare il nemico a piene forze: nell'ultimo scontro, gli schiavi ribelli furono definitivamente sconfitti, e la gran parte di loro rimase uccisa sul campo di battaglia.<ref name="appiano1_120" /><ref>Plutarco, ''Crasso'', xi.6–7</ref><ref>Tito Livio, xcvii.1. Livio afferma che 60.000{{formatnum:60000}} schiavi ribelli morirono della battaglia finale.</ref> La sorte di Spartaco non è nota, in quanto il suo corpo non fu mai ritrovato, ma gli storici affermano che morì in battaglia insieme ai suoi uomini, e forse fu occultato per non creare un mito, come si fa a volte con dei personaggi importanti, ma fortemente contrastati da un regime.<ref name="floro_2_8" /><ref name=":0" /><ref name="appiano1_120" /><ref>Plutarco (''Crasso'', xi.9-10) afferma che Spartaco prima della battaglia uccise il suo cavallo, dicendo che se fosse stato sconfitto non ne avrebbe più avuto bisogno, mentre, se avesse vinto, avrebbe potuto averne molti. Poi si lanciò nel mezzo delle schiere nemiche, con l'intenzione di uccidere Crasso; non vi riuscì, e, dopo aver ucciso due centurioni, cadde trafitto dai colpi dei nemici.</ref>
 
== Conseguenze ==
[[File:Spartacus II.JPG|thumb|Morte di Spartaco]]
 
La ribellione fu annientata da [[Marco Licinio Crasso|Crasso]]; le forze di [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] non ingaggiarono mai direttamente il nemico, ma le sue legioni, scendendo da nord, furono in grado di catturare 5.000{{formatnum:5000}} ribelli che fuggivano dalla battaglia e che il generale romano «uccise tutti».<ref>{{cita|Matyszak 2004|p. 133}}; Plutarco, ''Pompeo'', xxi.2, ''Crasso'', xi.7.</ref> Per questo motivo Pompeo inviò un messaggio al [[Senato romano]], in cui diceva che sebbene fosse stato senza dubbio Crasso a sconfiggere gli schiavi in battaglia, lui aveva "estirpato la guerra fino alle radici"<ref>Plutarco, ''Vita di Pompeo'', 21.</ref>, reclamando in questo modo gran parte del merito, e ottenendo l'ostilità di Crasso. La guerra causò, dunque, la rottura dei rapporti personali tra i due generali: a Pompeo fu infatti concesso il [[trionfo]] per la vittoria su Sertorio e sugli schiavi fuggiaschi, mentre Crasso poté ottenere soltanto l'[[ovazione]].<ref>Plutarco, ''Crasso'', xi.11.</ref> I due si riappacificarono soltanto dopo un decennio, quando costituirono assieme a [[Gaio Giulio Cesare]] il [[primo triumvirato]].
 
Sebbene la gran parte degli schiavi fosse morta in battaglia, circa 6.000{{formatnum:6000}} sopravvissuti erano stati catturati da Crasso, che li mise tutti a morte mediante [[crocifissione]] sulla strada tra Capua e [[Roma]].<ref name="appiano1_120" />
 
Pompeo e Crasso seppero cogliere appieno i frutti politici della loro vittoria sui ribelli; entrambi tornarono a [[Roma]] con le loro legioni, rifiutandosi di scioglierle e accampandosi appena fuori dalle mura della città.<ref name=appiano1_116 /> I due generali si candidarono al [[console (storia romana)|consolato]] per l'anno [[70 a.C.]], anche se Pompeo non era eleggibile a causa della sua giovane età e del fatto che non aveva ancora servito come [[pretore (storia romana)|pretore]] o [[questore (storia romana)|questore]], come richiedeva, invece, il ''[[cursus honorum]]''.<ref name="appiano1_121">Appiano, i.121.</ref> Cionondimeno, entrambi furono eletti,<ref name="appiano1_121" /><ref>Plutarco, ''Crasso'', xii.2.</ref> anche a causa della minaccia implicita rappresentata dalle legioni in armi accampate fuori dalla città.<ref name="appiano1_121" />