Coaching: differenze tra le versioni
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L'Associazione Coaching Italia, invece, definisce il coaching una metodologia che si basa su una relazione di partnership paritaria (tra il coach e il suo cliente) che, attraverso un rapporto commerciale (di espressa natura contrattuale), mira a riconoscere, sviluppare e valorizzare le strategie, le procedure e le azioni utili al raggiungimento di obiettivi operativi collocati nel futuro del cliente.<ref>{{Cita news|url=http://www.associazionecoachingitalia.it/il-coaching/|titolo=Il Coaching secondo l'Associazione Coaching Italia|accesso=25 aprile 2017}}</ref>
== Storia ==
La parola ha origine dal termine francese ''coche'', [[carrozza]] o [[cocchio]] (derivato a sua volta dall'ungherese [[Kocs]]is o dal ceco Koczi). Nel [[XVI secolo]] “coche” identificava un mezzo di trasporto trainato da cavalli e condotto da una guida: il cocchiere. Il termine anglosassone, invece, rinvia il coaching all'ambiente sportivo.<ref>{{cita |Angel, Amar 2008|p. 22}}.</ref>
Nel [[XIX secolo]] in [[Inghilterra]] gli studenti universitari, verso la fine del loro percorso, utilizzavano il termine coach per indicare i migliori tutor, dando loro titolo rispettoso e autorevole.
Negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]], il coach nasce per sviluppare e incrementare la prestazione sportiva; il coach non solo guidava la squadra e l'allenava, ma la seguiva dal punto di vista emotivo, la stimolava, creava spirito di gruppo per affrontare gli avversari con maggiore carica e sicurezza. Attraverso la guida costante del coach, i giocatori e il team sviluppavano quelle capacità e competenze che rendevano il gruppo stesso motivato, forte e capace di raggiungere gli obiettivi attesi.
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Il contributo più importante al coaching moderno fu dato nella seconda metà degli anni settanta del Novecento dal californiano [[Timothy Gallwey|W. Timothy Gallwey]], allenatore della squadra di tennis dell'[[Università di Harvard]] e primo a mettere nero su bianco i suoi principi di base ("''C’è sempre un gioco interiore in corso nella nostra mente, non importa in che altro gioco siamo impegnati. Il modo in cui lo affrontiamo è quello che spesso fa la differenza tra il nostro successo e il nostro fallimento''").
I libri pubblicati da Timothy Gallwey propongono l'applicazione del coaching a molti campi: da quello sportivo, come il tennis, il golf, lo sci, alla musica e a quelli lavorativi; le sue indicazioni, poi, sono state applicate anche al campo degli affari, del benessere, dell'educazione.<ref>{{cita|Cardani et al 2008|p. 25}}.</ref>
Insieme a Gallwey, un altro ex sportivo è considerato uno dei padri del coaching: [[John Whitmore|Sir John Henry Douglas Whitmore]]. Lasciata la carriera di pilota automobilistico, John Whitmore si dedicò allo studio della [[psicologia transpersonale]]. Grazie alla collaborazione con Gallwey, importò il metodo di questi in Gran Bretagna e lo diffuse anche ad ambiti diversi da quello sportivo. John Whitmore è stato l'ideatore di uno dei modelli più impiegati nel coaching, il modello G.R.O.W., utile a definire gli obiettivi e a migliorare la performance.
Grazie all'intuizione di Whitmore, dagli [[anni 1990|anni novanta]] la figura del coach compare nelle aziende. Inizialmente, le figure destinatarie dell'intervento del coach furono i manager che, per sviluppare e migliorare le loro capacità umane e professionali, si affidarono a consiglieri di fiducia, quali i coach.<ref>{{cita |Angel, Amar 2008|p. 23}}.</ref> Fino ad allora, questa pratica era vista come una novità e una moda nel campo dei direttori della formazione, ma era praticamente sconosciuta alle altre professioni.
Pur avendo origini - come metodologia professionale - relativamente recenti, nel Coaching si possono rintracciare affinità con la maieutica socratica e con il pensiero umanistico di Rogers. Nel corso dei suoi insegnamenti, Socrate utilizzava abilmente le domande per indurre i suoi allievi a esaminare le loro convinzioni e a riflettere profondamente su di sé e sulle proprie capacità. Il suo intento era quello di stimolarli a esprimere appieno il loro potenziale all'interno del loro contesto di vita, avviando così processi di apprendimento e di sviluppo personale. Allo stesso modo lo psicologo americano Carl Rogers, coltivando il suo approccio centrato sulla persona, ha apportato un contributo significativo allo sviluppo del coaching: Rogers credeva infatti nella capacità intrinseca delle persone di crescere e svilupparsi verso il loro pieno potenziale quando venivano fornite le condizioni adeguate, sottolineando come il supporto e la relazione di fiducia potesse stimolare il cliente nel miglioramento di sé e come la collaborazione con il cliente stesso potesse consentire lo svolgimento di percorsi di trasformazione condivisi. Il Coaching, tuttavia, si sviluppa come una disciplina sé, con un orientamento specifico al fare: gli obiettivi che coltiva sono realistici, raggiungibili, specifici e mirati<ref>{{Cita web|lingua=it|autore=Carlo Trionfi|url=https://www.centrostudifamiglia.com/post/la-pratica-del-coaching|titolo=La pratica del COACHING|sito=CSF Psicologia|data=2024-05-08|accesso=2024-12-07}}</ref>.
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Tale intervento si basa su approcci che lo differenziano dall'ambito psicoterapeutico, in quanto il coach, ispirandosi alla [[psicologia positiva]], anziché soffermarsi sui deficit dell'individuo, aiuta il cliente a individuare in modo autonomo i propri obiettivi, a stendere un piano d'azione e a raggiungere l'autorealizzazione, anche grazie alla scoperta e all'impiego delle proprie potenzialità. Dunque, il coaching cerca di raggiungere risultati non di tipo clinico, ma utili all'accrescimento personale, professionale, relazionale.
La parola "coach" evoca quella di [[allenatore]]. Nel caso del life coaching, ad esempio, il coach allena la persona a sviluppare il suo potenziale latente al fine di vivere con più soddisfazione la sua esistenza, a darsi obiettivi concreti allineati ai propri valori personali e a raggiungerli con motivazione. Il lavoro del coach spesso investe il ragionamento e propone essenzialmente di cambiare le abitudini poco funzionali e i comportamenti che ostacolano l'individuo nel raggiungimento di felicità e benessere. Se lavora nell'area business, invece, il coach può essere una persona dell'azienda o un consulente esterno. Nel primo caso, il coaching è meno centrato sulla cultura e sui valori professionali e più sulle competenze tecnico specialistiche. Nel caso del business coach come consulente esterno, l'accento è posto invece sulla [[prestazione]], sul risultato e sul concetto di lavoro di squadra.<ref>{{cita |Di Nubila 2005|pp. 285-292}}.</ref>
Un aspetto distintivo del coaching è che un coach è un facilitatore di processo e non di contenuto, che interviene in modo "neutro" in una relazione: non indirizza, non consiglia, ma facilita il cliente in una scoperta autonoma delle "proprie" soluzioni e verità.
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