Tiberio: differenze tra le versioni
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[[File:Augusto di Prima Porta, inv. 2290, 03.jpg|sinistra|miniatura|Torso dell'[[Augusto loricato]], detto "di Prima Porta". Il rilievo sulla corazza rappresenta la scena della consegna delle insegne legionarie di [[Marco Licinio Crasso]] da parte del re dei [[Parti]], [[Fraate IV]], a un generale romano, forse Tiberio, accompagnato da un cane. Le figure ai lati rappresenterebbero quindi le province di [[Germania (provincia romana)|Germania]] e [[Pannonia (provincia romana)|Pannonia]], conquistate dallo stesso Tiberio tra il [[12 a.C.|12]]<ref name="DioLIV31,2"/> e l'[[8 a.C.]]<ref>{{cita|Mazzarino 1973|p. 80}}.</ref>]]
Al suo ritorno a Roma, il giovane generale fu celebrato con grandi feste e con la costruzione di monumenti in suo onore, mentre [[Ovidio]], [[Quinto Orazio Flacco|Orazio]] e [[Properzio]] scrissero composizioni in versi per celebrarne l'impresa.<ref name="Spinosa_40">{{cita|Spinosa 1991|p. 40}}.</ref> Il merito della vittoria spettò comunque ad Augusto, quale comandante in capo dell'esercito:<ref name="Spinosa_40" /> egli fu infatti proclamato ''[[imperator]]'' per la nona volta,<ref>{{cita|Cassio Dione|LIV, 8, 1}}; {{Cita|Livio, ''Periochae''|141}}; {{cita|Svetonio|''Augusto'', 21; ''Tiberio'', 9}}; {{cita|Velleio Patercolo|II, 91}}; {{cita|Vervaet 2020|p. 128}}.</ref> poté annunciare in [[Senato romano|Senato]] il vassallaggio dell'Armenia senza tuttavia decretarne l'[[provincia romana|annessione]]<ref>{{cita|Floro|II, 34}}.</ref> e scrisse infine nelle sue ''[[Res gestae divi Augusti]]'':{{Citazione|Pur potendo fare dell'Armenia maggiore una provincia dopo l'uccisione del suo re Artasse, preferii, sull'esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavaside e nipote di re Tigrane, per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro.|[[Augusto]], ''[[Res gestae divi Augusti]]'', 27.|Armeniam maiorum, interfecto rege eius Artaxe, c[u]m possem facere provinciam, malui maiorum nostrorum exemplo regn[u]m id Tigrani, regis Artavasdis filio, nepoti autem Tigranis regis, per T[i. Ne]ronem trad[er]e, qui tum mihi priv[ig]nus erat.|lingua=la}} Nel [[19 a.C.]] fu conferito a Tiberio il rango di ex pretore, con la concessione degli ''ornamenta praetoria'', ed egli poté dunque sedere in [[Senato romano|Senato]], tra gli ''ex praetores''; inoltre, nel [[17 a.C.]], Tiberio fu eletto per la carica di ''praetor urbanus''.<ref>{{cita|Syme 1993|pp. 587 e ss.}}; {{cita|Vervaet 2020|p. 137.}}</ref>
==== Rezia, Illirico e Germania (16-7 a.C.) ====
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=== Allontanamento dalla vita politica (6 a.C.-4 d.C.) ===
Perseguendo gli interessi politici della famiglia, Tiberio nell'[[11 a.C.]] dopo la morte di Agrippa era stato costretto da Augusto a divorziare dalla prima moglie, [[Vipsania Agrippina]], figlia di [[Marco Vipsanio Agrippa]], che aveva sposato probabilmente nel [[20 a.C.]] o nel [[19 a.C.]] e da cui aveva avuto un figlio, [[Druso minore]], nel [[14 a.C.]]<ref>{{cita|Levick 1999|pp. 27 e 31}}; {{cita|Swan 2004|p. 143.}}</ref>, sposò dunque [[Giulia maggiore (figlia di Augusto)|Giulia maggiore]], figlia dello stesso Augusto<ref name="DioLIV35,4"/> e quindi sua sorellastra, vedova dello stesso Agrippa.<ref name="DioLIV31,2"/><ref>{{cita|Svetonio|''Augusto'', 63}}; {{cita|Grant 1984|p. 23}}; {{cita|Syme 1993|pp. 204, 473}}.</ref> Tiberio era sinceramente innamorato della prima moglie Vipsania e se ne allontanò con grande rammarico;<ref group=N>Svetonio racconta che, incontrando Vipsania dopo la separazione, Tiberio rimase commosso:{{Citazione|Per quanto concerne Agrippina, non soltanto soffrì all'atto della separazione ma, dopo il divorzio, avendola vista una sola volta per caso, la seguì con uno sguardo tanto felice e tanto commosso che si ebbe cura di non farla più venire in sua presenza.|{{cita|Svetonio|''Tiberio'', 7}}|Sed Agrippinam et abegisse post diuortium doluit et semel omnino ex occursu uisam adeo contentis et [t]umentibus oculis prosecutus est, ut custoditum sit ne umquam in conspectum ei posthac ueniret.|lingua=la}}</ref> il sodalizio con Giulia, vissuto dapprima con concordia e amore,<ref name="Svetonio_7">{{cita|Svetonio|''Tiberio'', 7}}.</ref> si guastò ben presto, dopo la morte del figlio ancora infante che era nato loro ad [[Aquileia]].<ref name="Svetonio_7" /> Il carattere di Tiberio, particolarmente riservato, si contrapponeva inoltre a quello licenzioso di Giulia, circondata da numerosi amanti.<ref name="Spinosa_48">{{cita|Spinosa 1991|p. 48}}.</ref>
Nel [[6 a.C.]] Augusto decise di rinnovare l{{'}}''[[imperium proconsulare maius]]'' di Tiberio e di conferirgli la ''[[Tribuno della plebe|tribunicia potestas]]'' (''potestà tribunizia'') per cinque anni:<ref>{{cita|Cassio Dione|LV, 9.4}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 9}}; {{cita|Velleio Patercolo|II.99.1}}; {{cita|Mazzarino 1973|p. 79}}; {{cita|Sawiński 2021|p. 26}}.</ref> essa rendeva sacra e inviolabile la persona di Tiberio, e conferiva inoltre il diritto di veto. In questo modo Augusto sembrava voler avvicinare a sé il figliastro e poteva inoltre porre un freno all'esuberanza dei giovani nipoti, [[Gaio Cesare|Gaio]] e [[Lucio Cesare]], figli di Agrippa e Giulia, che aveva adottato e che apparivano come i favoriti nella successione.<ref>{{cita|Cassio Dione|LV, 9.1-4}}.</ref>
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Subito dopo la sua adozione, Tiberio fu nuovamente investito dell{{'}}''imperium'' proconsolare e della ''tribunicia potestas''<ref group=N>Le fonti non concordano sulla durata della ''tribunicia potestas'' di Tiberio, se quinquennale o decennale, anche se generalmente è favorita la seconda indicazione, poiché s'accorda meglio con le indicazioni di Augusto stesso nelle ''Res Gestae'' ({{cita|Svetonio|''Tiberio'', 16}}; {{cita|Cassio Dione|LV.13.2}}; {{cita|Levick 1999|p. 49}}; {{cita|Swan 2004|p. 143}}; {{cita|Sawiński 2021|p. 26}})</ref> e inviato da Augusto in Germania, poiché i precedenti generali ([[Lucio Domizio Enobarbo (console 16 a.C.)|Lucio Domizio Enobarbo]], legato dal [[3 a.C.|3]] all'[[1 a.C.]], e [[Marco Vinicio (console 19 a.C.)|Marco Vinicio]] dall'[[1]] al [[3]]) non erano riusciti a espandere ulteriormente la zona d'influenza romana rispetto alle conquiste che Druso maggiore aveva portato a termine tra il [[12 a.C.|12]] e il [[9 a.C.]] Tiberio desiderava inoltre riacquistare il favore delle truppe dopo un decennio di assenza.<ref name="Syme155">{{cita|Syme 1993|p. 155}}.</ref>
Dopo un trionfale viaggio durante il quale fu più volte festeggiato dalle legioni che già aveva comandato in precedenza, Tiberio giunse in Germania, dove, nel corso di due campagne svolte tra il [[4]] e il [[5]], occupò in modo permanente, con nuove azioni militari, tutte le terre della zona settentrionale e centrale comprese tra i fiumi [[Reno]] ed [[Elba (fiume)|Elba]].<ref name="Spinosa_69">{{cita|Spinosa 1991|p. 69}}.</ref> Nel 4 sottomise [[Canninefati]], [[Cattuari]] e [[Bructeri]], e riportò sotto il dominio romano i Cherusci, che se ne erano sottratti. Alla fine riuscì a svernare nel cuore della Germania, probabilmente alle foci del [[Lippe (fiume)|Lippe]]. Assieme al legato [[Gaio Senzio Saturnino]], decise di avanzare ancora di più nel territorio germanico per superare il fiume Weser, e organizzò nel 5 una grande operazione che prevedeva l'impiego delle forze terrestri e della flotta proveniente dal [[Mare del Nord]]: poté così stringere in una morsa i [[Longobardi]] assieme a [[Cimbri]], [[Cauci]] e [[Senoni]], che furono costretti a deporre le armi e ad arrendersi al potere di Roma. Augusto e Tiberio guadagnarono così un'altra ''[[imperator|salutatio imperatoria]]''.<ref>{{cita|Velleio Patercolo|II, 107.2-3}}; {{cita|Spinosa 1991|pp. 69-70}}; {{cita|Swan 2004|pp. 193-195.}}</ref>
L'ultimo atto necessario era quello di occupare anche la parte meridionale della Germania, ovvero la [[Boemia]] dei [[Marcomanni]] di [[Maroboduo]], al fine di completare il progetto di annessione e portare il confine dal fiume Reno all'Elba.<ref>{{cita|Velleio Patercolo|II, 108.1}}; {{cita|Syme 1993|p. 156}}.</ref> Tiberio aveva progettato un complesso piano d'attacco che prevedeva l'impiego di numerose legioni, quando scoppiò una grande rivolta in [[Dalmazia (provincia romana)|Dalmazia]] e [[Pannonia (provincia romana)|Pannonia]], che fermò dunque l'avanzata di Tiberio e del suo legato Senzio Saturnino in [[Moravia (Repubblica Ceca)|Moravia]]. La campagna, progettata come una "manovra a tenaglia", costituiva infatti una grande operazione strategica in cui gli eserciti di Germania (2-3 legioni), Rezia (2 legioni) e Illirico (4-5 legioni) dovevano riunirsi in un punto convenuto e sferrare l'ultimo attacco.<ref>{{cita|Spinosa 1991|p. 70}}.</ref> Lo scoppio della rivolta dalmato-pannonica, però, impediva che le legioni dell'Illirico raggiungessero la Germania, e c'era inoltre il rischio che Maroboduo si alleasse ai ribelli per marciare contro Roma: Tiberio, dunque, quando era a pochi giorni di marcia dal territorio nemico, concluse in fretta un trattato di pace con il capo marcomanno, e si diresse al più presto in Illirico.<ref>{{cita|Svetonio|''Tiberio'', 16}}; {{cita|Spinosa 1991|p. 70}}.</ref>
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[[File:Grotta di Tiberio.JPG|upright=1.3|destra|miniatura|Grotta annessa alla villa di Tiberio a [[Sperlonga]]]]
Nel [[26]], Tiberio si decise a lasciare Roma, con l'intento dichiarato di voler dedicare un tempio a [[Giove (divinità)|Giove]] a [[Capua]] ed uno ad Augusto a Nola: molti predissero che l'imperatore non avrebbe più fatto ritorno in città, e in effetti, se nei primi anni del suo principato non si era mai spinto oltre [[Anzio]], ed aveva più volte prospettato una visita alle province che non aveva mai avuto luogo, tanto da aver guadagnato il soprannome popolare di Callipide, personaggio di un proverbio greco che avanzava senza muoversi di un centimetro, già nel [[21]] l'imperatore si era ritirato in Campania per diversi mesi, e dopo il [[26]] spese la sua estrema vecchiaia fuori dalla capitale, dimorando nelle campagne e nelle località di mare nei pressi della città, o appena fuori le sue mura.<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|III, 31 e IV, 58}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 38}}; per il tempio a Nola dedicato ad Augusto, vedi {{cita|Cassio Dione|LVI.46.3}} con {{cita|Swan 2004|p. 355}}; per un confronto della narrativa di Tacito e Svetonio su questo punto, cfr. {{cita|Woodman 1998|pp. 142-145}}.</ref> Sui motivi del suo ritiro, molti scrittori antichi pensarono che esso avesse a che fare con gli intrighi di Seiano; ma poiché Tiberio rimase fuori Roma anche dopo la morte del suo prefetto, Tacito pensò anche al cattivo rapporto con la madre, o alla vergogna per il proprio aspetto fisico, poiché con gli anni era diventato completamente calvo, e una malattia della pelle gli guastava il volto.<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|IV, 58}}.</ref><ref group=N>{{cita|Syme 1984|pp. 1376-1377}} suggerisce che il male alla pelle che affliggeva Tiberio si trattasse del ''mentagra'', un malanno cutaneo che sfigurava orribilmente il volto giunto a Roma proprio a metà del regno di Tiberio, e che si diffuse tramite baci fra le classi agiate, tanto che l'imperatore dovette emanare un editto per vietare di abbracciarsi ({{cita|Plinio il Vecchio|XXVI.2}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 34}}).</ref> Il ritiro di Tiberio da Roma, oltre a poter essere ascritto al clima sempre più teso della capitale e al temperamento stesso di Tiberio, si può inoltre catalogare a pieno titolo nei soggiorni campani degli aristocratici Romani, ed è anche possibile che l'imperatore intendesse curare la propria malattia alla pelle con l'aria salubre della Campania e le sue acque sulfuree; inoltre, l'ambiente greco tipico di quella terra e di Capri dovette costituire un polo di attrazione per l'imperatore, particolarmente erudito e dal gusto spiccatamente filelleno.<ref>{{cita|Syme 1984|p. 943}}; {{cita|Houston 1985|pp. 180-183}}; {{cita|Seager 2005|p. 171}}; {{cita|Rutledge 2008|p. 457}}; {{cita|Champlin 2013|pp. 240-241.}}</ref> Un ampio seguito, composto fra gli altri dal suo astrologo [[Trasillo di Mende|Trasillo]], dal giureconsulto Nerva, nonno del futuro imperatore, da Seiano stesso, oltre che da molti dotti Greci, che egli amava vessare con domande oscure e pedanti sulla mitologia, lo accompagnò nel suo ritiro.<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|IV, 57}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 70}}; cfr. {{cita|Houston 1985|pp. 183-187}} per una lista di amici e familiari di Tiberio che presumibilmente condivisero il soggiorno caprese dell'imperatore; vedi anche {{cita|Champlin 2013|pp. 231-233}} e {{cita|Slavazzi & Torre 2016|pp. 46-59.}}</ref> Pochi giorni dopo aver lasciato Roma, fermatosi presso [[Fondi]] nella sua [[Villa di Tiberio|villa]], mentre banchettava nella grotta annessa al complesso, l'imperatore rimase quasi vittima di una frana, salvato però dal tempestivo intervento di Seiano.<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|IV, 59}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 39}}. Per i gruppi statuari presenti all'interno della grotta, raffiguranti scene dall'[[Odissea]], e le loro implicazioni con la persona e la cultura di Tiberio, il quale forse si identificava lui stesso con l'eroe mitico, cfr. {{cita|Champlin 2013|pp. 200-220}} e {{cita|Slavazzi & Torre 2016|pp. 11-17.}}</ref> Dal [[27]], Tiberio ebbe a Capri la sua residenza principale; da lì, infatti, poteva avere un facile controllo sull'importante porto di [[Capo Miseno|Miseno]], che poteva raggiungere, a seconda delle condizioni del mare, in sole 4-8 ore; era anche a contatto col vicino e importantissimo granaio di [[Pozzuoli|Puteoli]] e aveva inoltre agevolmente sotto gli occhi chi arrivava e chi partiva.<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|IV, 67}}; {{cita|Houston 1985|p. 182.}}</ref>
Dopo la partenza di Tiberio da Roma, l'imperatore vide sua madre solo un'altra volta, per poco tempo; nel [[29]], quando Livia morì a ottantasei anni, il figlio si rifiutò di far ritorno a Roma per le esequie e proibì la sua divinizzazione, riservandole modesti onori; i lasciti testamentari della madre, inoltre, non vennero eseguiti.<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|V, 1}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 51}}; {{cita|Scarre 1995|p. 32}}; {{cita|Seager 2005|p. 176.}}</ref> Agrippina e Nerone, che già erano finiti sotto stretta sorveglianza su istigazione di Seiano,<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|IV, 58-59}}.</ref> furono dunque accusati pubblicamente da una lettera di Tiberio di immoralità o di intenti rivoluzionari, ed entrambi furono spediti al confino, la prima sull'isola di Pandataria, il secondo sull'isola di [[Ponza]].<ref>{{cita|Tacito, ''Annales''|V, 3}}; {{cita|Svetonio|''Tiberio'', 53}}; {{cita|Scarre 1995|p. 32}}; {{cita|Spinosa 1991|p. 168}}; {{cita|Levick 1999|pp. 169-170}}; {{cita|Rutledge 2001|p. 146}}; {{cita|Seager 2005|p. 178}}.</ref> Druso, che pure era stato chiamato a Capri presso Tiberio, in seguito ad alcune accuse infamanti raccolte da sua moglie fu rispedito a Roma nel [[30]] e lì rinchiuso nel Palatino.<ref>{{cita|Cassio Dione|LVIII.3.8}}; {{cita|Levick 1999|p. 170}}; {{cita|Rutledge 2001|p. 146}}; {{cita|Seager 2005|p. 179}}.</ref>
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