Giovanni Gentile: differenze tra le versioni

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Nel [[1920]] fonda il ''[[Giornale critico della filosofia italiana]]''. Sempre nel 1920 diviene consigliere comunale al Municipio di Roma, mentre l'anno successivo viene nominato anche assessore supplente alla X Ripartizione, A.B.A., ovvero alle Antichità e alle belle Arti, sempre del Municipio di [[Roma]]<ref>Cfr. Vito de Luca, ''Un consigliere comunale di nome Giovanni Gentile. Attività amministrativa a Roma e linguaggio politico (1920-1922)'', "Nuova Storia contemporanea", a. XVIII, n. 6, 2014, pagg. 95-120. Dello stesso autore, cfr. "Giovanni Gentile. Al di là di destra e sinistra. Il linguaggio politico del filosofo, dell'assessore e del ministro (1920-19249)", Chieti, Solfanelli, 2017, pp. 464.</ref>. Nel 1922 diviene socio dell'[[Accademia dei Lincei]]. Fino al [[1922]] Gentile non mostra particolare interesse nei confronti del [[fascismo]]. Fu solo allora che prese posizione in merito, dichiarando di vedere in Mussolini un difensore del [[liberalismo]] [[Risorgimento|risorgimentale]] nel quale si riconosceva:
{{citazione|Mi son dovuto persuadere che il [[liberalismo]], com'io l'intendo e come lo intendevano gli uomini della gloriosa [[Destra storica|Destra]] che guidò l'[[Italia]] del [[Risorgimento]], il liberalismo della libertà nella legge e perciò nello Stato forte e nello Stato concepito come una realtà etica, non è oggi rappresentato in Italia dai liberali, che sono più o meno apertamente contro di Lei, ma per l'appunto, da Lei.|Da una lettera del 31 maggio [[1923]] rivolta a [[Benito Mussolini]], cit. in G. Gentile, ''La riforma della scuola in Italia'', Firenze, Le Lettere, 1989, pp. 94-95}}
Il 31 ottobre, all'insediamento del regime viene nominato da [[Mussolini]] [[Ministri della pubblica istruzione del Regno d'Italia|ministro della pubblica istruzione]] ([[1922]]-[[1924]], per dimissioni volontarie), attuando nel [[1923]] la [[riforma Gentile]], fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla [[legge Casati]] di più di sessant'anni prima ([[1859]]). Durante il suo ministero si rende responsabile di vari casi di persecuzione politica di insegnanti o funzionari antifascisti, sotto forma sia di licenziamenti o prepensionamenti di tipo discriminatorio<ref>{{Cita|Boatti 2010|p. 21}}.</ref>, sia di ispezioni ministeriali e provvedimenti disciplinari contro persone politicamente non allineate col governo<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 59}}.</ref>. Rancori personali, oltre che motivi politici, sono alla base dell'accanita persecuzione cui Gentile sottopone l'archeologo [[Vittorio Spinazzola (archeologo)|Vittorio Spinazzola]], la cui carriera ne esce distrutta<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|pp. 59-67}}.</ref>.
 
Il 5 novembre [[1922]] diviene senatore del Regno<ref>[http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/6c48e5794fc641b0c125711400382de0/042456ea674ec8a74125646f005c1b04?OpenDocument Scheda senatore GENTILE Giovanni<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>. Nel [[1923]] Gentile si iscrive al [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF) con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale.
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Gentile resta fascista e nel [[1925]] pubblica il [[Manifesto degli intellettuali fascisti]], in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo manifesto sancisce l'allontanamento definitivo di Gentile da [[Benedetto Croce]], che gli risponde con un [[Manifesto degli intellettuali antifascisti|Antimanifesto]]. Nel [[1925]] promuove la nascita dell'[[Istituto Nazionale di Cultura Fascista|Istituto Nazionale Fascista di Cultura (INFC)]], di cui è presidente fino al [[1937]].
 
In virtù della sua appartenenza organica al regime, Gentile consegue un forte arricchimento in termini economici e già all'inizio degli anni Trenta la sua famiglia si attesta su un tenore di vita parecchio elevato<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|pp. 159-61}}.</ref>. Gentile realizza anche un notevole accumulo di cariche culturali, accademiche e politiche<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 165}}.</ref>, grazie alle quali esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore amministrativo e scolastico.
[[File:Gentile e Mussolini esaminano i primi volumi della Treccani.jpg|thumb|left|Gentile e Benito Mussolini mentre esaminano i primi volumi dell'[[Enciclopedia Italiana]]]]
È il direttore scientifico dell'[[Enciclopedia Italiana]] dell'[[Istituto Treccani]] dal [[1925]] al [[1938]], e vicepresidente di tale istituto dal [[1938]], dove accolse numerosi "collaboratori non fascisti" come il socialista [[Rodolfo Mondolfo]]<ref name=autogenerato2>{{cita|Paolo Simoncelli|p. 41}}.</ref>. A Gentile si devono in gran parte il livello culturale e l'ampiezza della visione dell'opera: invitò infatti «a collaborare alla nuova impresa 3.266 studiosi, di diverso orientamento»<ref name="Benedetti41"/>, poiché «nell'opera si doveva coinvolgere tutta la migliore cultura nazionale, compresi molti studiosi [[ebrei]] o notoriamente [[antifascisti]], che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento».<ref name="Benedetti41">Amedeo Benedetti, "L'Enciclopedia Italiana Treccani e la sua biblioteca", ''Biblioteche Oggi'', Milano, n. 8, ottobre 2005, p. 41</ref> Egli riesce in tal modo a mantenere una relativa autonomia, nella redazione dell'enciclopedia, dalle interferenze del [[regime fascista]].
La collaborazione di antifascisti all'enciclopedia suscita critiche fra le gerarchie, cui Gentile risponde rassicurando Mussolini in una lettera del luglio 1933, in cui scrive fra l'altro che ai non iscritti al partito nazionale fascista «non è dato di inserire di proprio una sola parola nel testo della ''Enciclopedia''», e che «nessun collaboratore, in nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli articoli sono soggetti a rigorosa revisione»<ref>Lettera di Giovanni Gentile a Benito Mussolini, 8 luglio 1933, citata in {{Cita|Franzinelli 2021|pp. 153-4}}.</ref>. Tutte le voci dell'enciclopedia che riguardano il fascismo sono sottoposte all'approvazione preventiva di Mussolini<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|pp. 154-5}}.</ref>. La voce sulla dottrina del fascismo, la cui prima parte è in realtà scritta da Gentile, viene firmata dal solo Mussolini<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 155}}.</ref>. Il dittatore, costantemente informato dell'andamento dei lavori, legge in bozza i lemmi di suo interesse e talora suggerisce modifiche<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 158}}.</ref>.
 
Nel [[1928]] Gentile diventa regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel [[1932]] direttore. Nel [[1930]] diventa vicepresidente dell'[[Università Bocconi]]. Nel [[1932]] diventa Socio Nazionale della [[Accademia dei Lincei|Reale Accademia Nazionale dei Lincei]]. Lo stesso anno inaugura l'[[Istituto Italiano di Studi Germanici]], di cui diviene presidente nel [[1934]]. Nel [[1933]] inaugura e diviene presidente dell'[[Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente]]. Nel [[1934]] inaugura a [[Genova]] l'[[Istituto mazziniano]]. Fu direttore della ''[[Nuova Antologia]]'' e accolse "collaboratori non fascisti" come il socialista [[Rodolfo Mondolfo]]<ref name="autogenerato2" />. Nel [[1937]] diventa regio commissario, nel [[1938]] presidente del [[Centro nazionale di studi manzoniani]] e nel [[1941]] è presidente della [[Domus Galilaeana]] a Pisa.
 
Promosse l'istituzione dell'obbligo del [[Giuramento di fedeltà al fascismo#Il ruolo di Giovanni Gentile|giuramento di fedeltà al fascismo]] da parte dei docenti universitari. Sostenuto pubblicamente già nel 1929 da Gentile che lo definì «una nuova formula di giuramento, in cui gl'insegnanti sarebbero invitati a giurare fedeltà anche al Regime<ref>Giovanni Gentile, ''Fascismo e università'', in "Politica sociale", A. I, n. 4-5, luglio-agosto 1929, pp. 334-5, citato in {{Cita|Franzinelli 2021|p. 113}}.</ref>», nell'ottica di Gentile esso avrebbe dovuto condurre al superamento della divisione, creatasi nel 1925, tra i firmatari del suo [[Manifesto degli intellettuali fascisti]] e coloro che invece avevano aderito al [[Manifesto degli intellettuali antifascisti]], redatto dal suo ex amico e rivale Benedetto Croce. Introdotto nel 1931, questo provvedimento - tipico di un modo d'agire «drasticamente autoritario e repressivo»<ref>{{Cita|De Felice 1974|p. 109}}.</ref> del regime fascista rispetto al mondo della cultura - causò l'allontanamento di alcuni illustri accademici dall'Università italiana e suscitò una diffusa riprovazione nell'opinione pubblica fuori d'Italia.
 
====Rapporti con la cultura cattolica====
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Soprattutto dopo la promulgazione delle leggi razziali in Italia, si susseguirono gli interventi di Gentile a favore di colleghi ebrei come Mondolfo<ref>{{cita|Paolo Simoncelli|p. 43}}.</ref>, [[Gino Arias]]<ref>{{cita|Paolo Simoncelli|p. 40}}.</ref> e [[Arnaldo Momigliano]]<ref>{{cita|Paolo Simoncelli|p. 34}}.</ref>.
 
In un libro pubblicato nel 2021<ref>{{cita libro|titolo=Il filosofo in camicia nera|autore=Mimmo Franzinelli|editore=Mondadori|anno=2021}}</ref> [[Mimmo Franzinelli]] afferma che l'atteggiamento di Gentile nei confronti delle leggi razziali è oggetto di controversia<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 337}}.</ref>. Alcuni storici hanno sottolineato il suo personale antirazzismo e la solidarietà fattiva da lui dimostrata a livello privato nei confronti di studiosi ebrei<ref>{{cita|Paolo Simoncelli}}.</ref><ref>{{cita|Rosella Faraone}}.</ref>, quali ad esempio [[Paul Oskar Kristeller]] e [[Karl Löwith]]. Da altri si è evidenziato come l'antirazzismo di Gentile non si sia mai tradotto in esplicite prese di posizione pubbliche, e come il filosofo, seppure personalmente dispiaciuto per alcune conseguenze della legislazione antisemita, non abbia però mai pensato di criticare pubblicamente quest'ultima né di separare al riguardo le proprie responsabilità da quelle del regime<ref name="Rota_2016">{{cita|Rota 2016}}.</ref>. Per parte sua, Franzinelli richiama l'attenzione su di una conferenza tenuta a Roma il 3 aprile del 1936 dal ministro nazista e antisemita fanatico [[Hans Frank]]: da presidente dell'[[Istituto fascista di cultura]], Gentile organizza e introduce la conferenza esprimendo, secondo Franzinelli, «piena adesione<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 111}}.</ref>» al nazismo, definito da Gentile in tale occasione «una pratica battaglia della Nazione tedesca anelante [...] alla forza che i popoli attingono dalla più fiera coscienza della propria personalità e morale autonomia»<ref>''Il nuovo indirizzo del diritto germanico illustrato dal ministro Frank'', "Corriere della Sera", 4 aprile 1936, citato in {{Cita|Franzinelli 2021|p. 111}}.</ref>.
 
Nel 1938 Gentile fu nominato vicepresidente dell'[[Istituto della Enciclopedia italiana]].<ref>[https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/giovanni-gentile/IT-AFS-034-009429/istituto-della-enciclopedia-italiana-fondata-giovanni-treccani archivio.senato.it]</ref>
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L'obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la [[scuola elementare]] da sei ai dieci anni. L'allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra i licei [[liceo classico|classico]] e [[liceo scientifico|scientifico]] oppure gli istituti tecnici. Solo i due licei permettevano l'accesso all'università (il secondo solo alle facoltà scientifiche), in questo modo però veniva mantenuta una profonda divisione tra classi sociali (questo vincolo fu rimosso completamente solo nel [[1969]]).<ref name=rif/>
 
Per diminuire l'iscrizione al sovraffollato [[Istituto magistrale]], e per mantenere la separazione tra i sessi nei licei dove prevaleva una maggioranza maschile, fece creare un apposito [[liceo femminile]],<ref name=guglielman>Eleonora Guglielman, ''Dalla scuola per signorine alla scuola delle padrone: il Liceo femminile della riforma Gentile e i suoi precedenti storici'', in ''Da un secolo all'altro. Contributi per una "storia dell'insegnamento della storia"'' (a cura di M. Guspini), Roma, Anicia, 2004, pp. 155-195. Una parte del lavoro è stata in precedenza pubblicata, con alcune varianti, sulla rivista "Scuola e Città" con il titolo ''Il liceo femminile 1923-1928'' (a. LI, n. 10, ottobre 2000, pp. 417-431).</ref> favorendo l'accesso delle donne all'insegnamento, ritenuto particolarmente adatto a loro<ref name=guglielman/>, ma escludendole dall'insegnamento delle materie di Storia, Filosofia ed Economia politica nei licei, nonché Materie letterarie, Diritto ed Economia politica nelle scuole e negli istituti tecnici<ref>{{Cita|Manacorda 1997|p. 81|Manacorda 1997}}.</ref><ref>{{cita|D'Amico 2016|p. 342}}.</ref>. Alle donne fu tra l'altro preclusa la carica di preside, riservata ai soli uomini<ref>Regio Decreto 6 maggio 1923, n. 1054, art. 12, comma 2: «I presidi sono scelti dal Ministro tra i professori ordinari provveduti di laurea con almeno un quadriennio di anzianità di
ordinario. Dalla scelta sono escluse le donne». Richiamato in {{Cita|Charnitzky 1996|p. 128}}.</ref>. Tutto ciò andava incontro alla visione patriarcale di Mussolini che intendeva spingere le donne a dedicarsi alla famiglia e ad avere più figli, distogliendole dal lavoro e dallo studio<ref>[http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenzadonne1.htm Katia Romagnoli (a cura di), ''Donne, la Resistenza "taciuta". L'esclusione delle donne nella società fascista'']</ref>. Anche Gentile nel complesso mostrò posizioni [[maschilismo|maschiliste]] ("il femminismo è morto" dirà nel [[1934]]<ref>G. Gentile, ''La donna nella coscienza moderna'', in ''La donna e il fanciullo. Due conferenze'', Firenze, Sansoni, 1934, pp. 1-28.</ref>), sostenendo che i licei dovessero formare i "futuri capi" guerrieri, mentre le donne avevano una capacità di "comprensione dello Spirito imperfetta"<ref>[[Victoria de Grazia]] ''Le donne nel regime fascista'', pp. 210-211</ref> e perciò dovevano dedicarsi ad attività non politiche e non scientifiche, "terreno di battaglia dell'uomo", studiando in una «scuola adatta ai bisogni intellettuali e morali delle signorine», in cui erano privilegiate la danza, la musica e il canto. Tuttavia non venne vietata alle donne la frequentazione dell'università.<ref>G. Ricuperati, ''La scuola italiana e il fascismo'', Bologna, Consorzio Provinciale Pubblica Lettura, 1977, p. 11</ref>
 
Il varo della riforma fu contrastato da agitazioni studentesche in vari atenei italiani, che furono represse con violenza dagli squadristi e dalle forze dell'ordine<ref>{{Cita|Franzinelli 2021|p. 34}}.</ref>. Anche il ministro Gentile contribuì a reprimere tali moti studenteschi; del dicembre 1923 è il seguente suo telegramma al prefetto di Genova:
{{Citazione|Al manifestarsi minima agitazione studenti codesta Università, siano vietati comizi e ordinata immediatamente la chiusura.<br>Avvertonsi studenti gravità sanzioni disciplinari cui vanno incontro. Si identifichino promotori agitazione, punendoli subito esemplarmente. Attendo precise informazioni.<ref>Telegramma di Giovanni Gentile al prefetto di Genova, pubblicato dal quotidiano ''La Stampa'', 8 dicembre 1923, e riportato in {{Cita|Franzinelli 2021|p. 34}} Franzinelli commenta scrivendo che si tratta di «direttive più consone al ministro dell'Interno che al titolare dell'Istruzione» (''ibid.'').</ref>}}
 
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Tanto Gobetti quanto Gramsci presero le loro distanze da Gentile dopo l'adesione di quest'ultimo al fascismo. Poco dopo l'entrata di Gentile nel primo governo Mussolini, Gobetti scrisse:
 
{{Citazione|Non da oggi noi pensiamo che Gentile appartenga all'altra Italia. All'ora della distinzione tra serietà e retorica ha voluto essere fedele a se stesso. Non saremo noi a pentircene. Da un pezzo pensiamo che la religione dell'attualismo sia una piccola setta che ha rinnegato tutta la serietà dell'insegnamento crociano. [...] Anche i filosofi hanno le loro responsabilità storiche. Non ci stupiremo che Gentile assuma quelle che può<ref>Piero Gobetti, ''Al nostro posto'' (novembre 1922), in ''Scritti politici'', a cura di Paolo Spriano, Einaudi, Torino 1960, p. 419, citato in {{Cita|Bobbio 2008|pp. 190-1}}.</ref>.}}
 
Gramsci nei ''[[Quaderni del carcere]]'' accusò più volte di equivocità, astrattismo e sofisticheria il pensiero di Gentile e dei suoi seguaci, considerandolo una involuzione rispetto alla filosofia di Croce:
 
{{Citazione|L’idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia e filosofia (ciò che, in ultima analisi, non è altro che uno degli aspetti dell’unità superficiale postulata da esso fra reale e ideale, fra teoria e pratica ecc.) ciò che rappresenta una degradazione della filosofia tradizionale rispetto all’altezza cui l’aveva portata il Croce con la cosiddetta dialettica dei «distinti». Tale degradazione è visibilissima negli sviluppi (o involuzioni) che l’idealismo attuale mostra nei discepoli del Gentile [...]. L’unità di ideologia e filosofia, quando è affermata in questa forma, crea una nuova forma di sociologismo, né storia né filosofia, cioè, ma un insieme di schemi verbali astratti, sorretti da una fraseologia tediosa e pappagallesca<ref>{{Cita|Gramsci 1975|p. 1355}} Una parte di questo passo è citata in {{Cita|Lo Schiavo 1974|pp. 174-5}}.</ref>.}}
 
Secondo [[Gennaro Sasso]]<ref>Gennaro Sasso, ''Le due Italie di Giovanni Gentile'', Bologna, il Mulino, 1998.</ref>, a dover essere rivalutata non è affatto la disastrosa prassi politica di Gentile, la cui «passionale» adesione al [[fascismo]] «fu filosofica, forse, a parole […] ma nelle cose no». Ciò che merita ancora di essere studiato, sostiene Sasso, è invece «la filosofia dell'atto in atto», e tra essa «e il fascismo non c'è, né ci può essere, alcun nesso». Secondo Martin Beckstein, invece, proprio la filosofia di Gentile rappresenta la «fascistizzazione dell'attualismo» e pertanto una «deformazione dell'idealismo».<ref>Martin Beckstein, ''Giovanni Gentile und die 'Faschistisierung' des Aktualismus. Zur Deformation einer idealistischen Philosophie'', in «Acta Universitatis Reginaehradecensis, Humanistica I», 2008, pp. 119-136.</ref> Al di là della sua appartenenza politica, lo storico [[Leo Valiani]] attribuisce comunque a Gentile un notevole spessore filosofico:
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In termini molto critici nei confronti soprattutto della filosofia politica di Gentile si espresse [[Norberto Bobbio]], il quale riconobbe di aver avuto un «periodo d'infatuazione gentiliana»<ref>{{Cita|Bobbio 2008|p. 191}}.</ref> negli anni 1927-1931, ma affermò di essersi poi progressivamente distaccato dal pensiero e dall'influenza di Gentile, distacco culminato all'epoca dell'adesione di Gentile alla [[repubblica di Salò]] nel 1943<ref>{{Cita|Bobbio 2008|p. 192}}.</ref>. Riferendosi al fascismo di Gentile, Bobbio aggiunse:
 
{{Citazione|E ancora oggi non riesco a capire, come un uomo come Gentile, un "filosofo", e per giunta un filosofo che aveva fatto della filosofia il motore della storia, abbia potuto prestare la propria opera di inventore di idee e di costruttore di dottrine per sostenere e difendere una delle concezioni più deliranti dei rapporti tra gli uomini che abbiano mai insanguinato il mondo (non dimentichiamo per carità di patria che dal 1938 erano entrate in vigore anche in Italia le leggi razziali). Riesco a capirlo soltanto, se abbiamo il coraggio di affermare che quella filosofia di cui molte generazioni si erano imbevute era una cattiva filosofia<ref>{{Cita|Bobbio 2008|pp. 192-3}}.</ref>.}}
 
Nello stesso scritto Bobbio afferma che la sua è una critica alla filosofia gentiliana e non a Gentile come persona. «Una condanna morale, o peggio moralistica, dell'uomo Gentile non è mai stata nei miei intendimenti. Sotto quest'aspetto, d'altronde, Gentile è sempre stato rispettato anche dai suoi avversari o da coloro che poi lo sarebbero diventati»<ref>{{Cita|Bobbio 2008|p. 189}}.</ref>. Citando un proprio scritto precedente, del 1969, Bobbio scrive che nonostante «la sua adesione al fascismo, la sua interpretazione distorta del liberalismo che lo portò a vedere la piena attuazione dell'idea liberale in uno stato di polizia, Gentile rimase nell'animo e nel costume un liberale all'antica e cercò spesso con la sua opera personale di rimediare, specie nel campo della vita intellettuale, alle malefatte del regime»<ref>Norberto Bobbio, ''Profilo ideologico del Novecento italiano'', in AA.VV., ''Storia della letteratura italiana'', Garzanti, Milano 1969, vol. IX, citato in {{Cita|Bobbio 2008|p. 189}}.</ref>.
 
Per approfondire gli studi sull'opera del filosofo sono nati negli anni '80 l'Istituto di studi gentiliani di Roma, presieduto da Antonio Fede<ref>[http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1992/03/10/Altro/FILOSOFIA-A-FIRENZE-CONVEGNO-STUDI-GENTILIANI_092900.php Filosofia: A Firenze Convegno Studi Gentiliani<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref> e la "Fondazione Giovanni Gentile", la cui sede, dal 1982, è presso la Facoltà di Filosofia dell'Università di Roma "[[La Sapienza]]", e presieduta da [[Gennaro Sasso]].<ref>[https://web.uniroma1.it/dip_filosofia/node/5729 Fondazione Gentile | Dipartimento di Filosofia | Sapienza - Università di Roma<!-- Titolo generato automaticamente -->] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20131110213521/http://dfilosofia.uniroma1.it/filosofia/node/5729 |data=10 novembre 2013 }}</ref>