Adriano Sofri: differenze tra le versioni

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Il principale legale di Sofri fu [[Gian Domenico Pisapia]], deceduto nel 1995 e sostituito da Alessandro Gamberini.
 
I primi due gradi di giudizio (1990 e 1991) si conclusero con la condanna degli imputati<ref name="Zavoli">{{Cita libro|autore=Sergio Zavoli|titolo=La notte della Repubblica|città=Roma|editore=Nuova Eri|anno=1992}}</ref>. Già avverso alla sentenza di primo grado, Adriano Sofri non interpose [[Appello (ordinamento penale italiano)|appello]], volendo scontare la pena come forma di protesta in quanto, come gli altri, si dichiarò sempre estraneo pur assumendosi una responsabilità morale<ref>{{Cita|Ginzburg 1991|pp. 11-12}}.</ref>: la sentenza non ebbe però esecuzione per l'effetto espansivo del ricorso presentato dai suoi coimputati (anche Leonardo Marino fece appello). Dopo la nuova condanna Sofri cambiò idea e presentò ricorso in [[Corte suprema di cassazione|Corte di Cassazione]]. Vi è da dire che la decisione di ritenere l'appello altrui impeditivo del passaggio in giudicato della condanna anche nei confronti del non appellante Sofri (per effetto espansivo, per l'appunto) non era affatto scontata, anzi segnò un precedente inedito in giurisprudenza<ref name=Corriere/>.
 
Sofri, prima dell'inizio del giudizio di legittimità, intraprese uno [[sciopero della fame]] per protestare contro lo spostamento del giudizio dalla prima sezione, quella di [[Corrado Carnevale]] (soprannominato «l'ammazzasentenze» per la sua propensione ad annullare le condanne per minimi vizi di forma, e quindi ritenuto più favorevole), alla sesta. Il presidente della Cassazione affidò allora il giudizio alle sezioni unite, che annullarono nel 1992 questi primi verdetti affermando «l'impossibilità di irrogare una condanna sulla sola base di una chiamata in correo priva di riscontri oggettivi»<ref name=Corriere/>.