Provvedimento giurisdizionale: differenze tra le versioni

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L'ordinamento italiano conosce tre tipi di provvedimento giurisdizionale: la ''[[sentenza]]'', <nowiki>l'</nowiki>''[[ordinanza]]'' e il ''[[decreto]]''. Poiché le leggi processuali dettano una disciplina autonoma per ciascun tipo di provvedimento, ben pochi sono gli elementi comuni a tutti: si possono ricordare l'efficacia soggettiva, limitata alle [[parti]] del processo (o ai loro eredi ed aventi causa), e l'idoneità a fungere da [[titolo esecutivo]] ai sensi dell'art. 474, n. 1, del [[codice di procedura civile]].
 
Il principale provvedimento giurisdizionale, la sentenza, assolve la tipica funzione decisoria del giudice, mentre ordinanza e decreto svolgono di regola funzioni meramente preparatorie o complementari (cosiddetta funzione ''ordinatoria''). Talvolta, però, anche ordinanze o decreti possono avere carattere decisorio, che gli conferisce ''natura sostanziale di sentenza''. Quando ciò avviene (per scelta, dettata da ragioni di opportunità, o anche solo per errore del legislatore oppure per errore del giudice) si ritiene che, in base al ''principio di prevalenza della sostanza sulla forma'', il provvedimento debba seguire lo stesso regime d'impugnazione delle sentenze e possa quindi essere impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 della [[Costituzione italiana|Costituzione]].
 
La sentenza è l'unico provvedimento emanato "nel nome del popolo italiano". Sentenza e ordinanza condividono l'obbligo di motivazione; il decreto, invece, deve essere motivato nei soli casi previsti dalla legge. La sentenza, inoltre, è suscettibile di [[cosa giudicata|passare in giudicato]], possibilità che invece non sussiste per ordinanza e decreto.