Viktor Janukovyč: differenze tra le versioni

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=== Euromaidan ===
{{vedi anche|Euromaidan}}
A novembre [[2013]] si verificarono una serie di proteste popolari contro il presidente Janukovyč sfociate nella occupazione di [[Majdan Nezaležnosti|piazza Indipendenza]] a [[Kiev]] (già teatro della [[rivoluzione arancione]] del 2004) da parte di giovani pro-Europa dopo che il presidente, data la critica situazione delle finanze pubbliche, aveva rifiutato di firmare un accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea, in favore di un prestito russo (acquisto di titoli di stato per circa 15 miliardi di dollari) concesso dal presidente Putin, che legava ancora di più il Paese alla Russia. Ulteriore motivo di protesta per la popolazione fu il rapido accrescimento di ricchezze che vide i figli ed i parenti prossimi di Janukovyč diventare miliardari, mentre l'economia del Paese s'indeboliva. Inoltre, alcuni comparti industriali ucraini erano stati delocalizzati in [[Russia]] e vasti territori agricoli venduti alla [[Cina]], Paese che inviava in Ucraina la propria manodopera, a discapito di quella locale, creando ampie sacche di disoccupazione e malcontento in aree rurali dell'Ucraina. Janukovyč avviò inoltre una riforma costituzionale per accrescere i poteri del presidente e consolidò la pratica di attribuire gli appalti statali solo ad aziende di membri della sua famiglia e degli oligarchi che lo sostenevano. Le altre imprese ucraine venivano sottoposte a procedimenti amministrativi e giudiziari fino a che l'oligarca proprietario non passava nella fazione parlamentare che sosteneva Janukovyč. Infine la corruzione riprese a dilagare nel Paese con un ruolo chiave giocato dalla polizia, che comminava multe ingiustificate di cui poi intascava i pagamenti, divenuta sempre più violenta nei confronti di qualsiasi forma di dissenso.<ref>{{Cita web|url=https://www.micromega.net/radici-conflitto-donbas/|titolo=Le radici del conflitto nel Donbas}}</ref> A gennaio 2014 gli scontri diventarono sempre più duri e violenti tra manifestanti e forze speciali. Si verificarono violenti attacchi della polizia alle barricate erette dai manifestanti in Piazza Indipendenza e l'occupazione del Municipio di Kiev e del Ministero dell'agricoltura, mentre il Parlamento votava dure leggi antiprotesta. Intanto le proteste dilagavano violente in tutto il Paese come a [[Leopoli]], città di confine con la [[Polonia]], dove il governatore dell'[[oblast' di Leopoli]] [[Olev Salo]] si dimise pubblicamente in piazza, minacciato dai manifestanti scesi in piazza che lo circondavano. Intanto Janukovyč rimosse il segretario aggiunto del Consiglio di sicurezza nazionale e di difesa dell'Ucraina, [[Vladimir Sivkovič]], e il sindaco di Kiev, [[Alexandre Popov]], ritenuti responsabili delle violenze. Il presidente offrì la guida del Governo all'opposizione, dicendosi disponibile a nominare i capi della rivolta l'ex ministro degli Esteri del governo Tymošenko [[Arsenij Jacenjuk]] e l'ex pugile [[Vitalij Klyčko]] come premier e vicepremier, ma l'accordo fu bocciato in quanto i manifestanti chiedevano, oltre a elezioni anticipate, le dimissioni immediate di Janukovyč. Il 25 gennaio violente proteste scoppiarono nuovamente con l'occupazione del Ministero dell'energia e di Casa Ucraina, che venne messa a ferro e fuoco. Il presidente chiese al Parlamento di votare un'amnistia per tutti i manifestanti e l'abrogazione delle leggi antiprotesta, in cambio della fine alle violenze di piazza. Dopo il voto il primo ministro [[Mykola Azarov]], fedelissimo di Janukovyč, si dimise per facilitare la transizione.
 
A febbraio le rivolte diventarono sempre più sanguinose senza riuscire a trovare una mediazione tra il presidente ed opposizioni. Forti cominciarono a essere le minacce da parte di [[ONU]], [[Unione europea]] e [[Stati Uniti d'America]] di dure sanzioni contro il presidente, ritenuto responsabile delle violenze di piazza e della feroce repressione che continuava a godere ormai soltanto dell'appoggio dell'alleata Russia, che parlava di indebite pressioni straniere e tentativi di golpe. Il 18 febbraio le violenze dilagarono sanguinose con 28 morti, tra cui 7 poliziotti, e 335 feriti.
 
Il 20 febbraio fu il giorno più sanguinoso della protesta: venne posto in essere un vero e proprio assalto ai palazzi del potere e i manifestanti marciarono verso il Palazzo del Governo e del Parlamento. Si verificarono scontri armati tra dimostranti e polizia; alcuni manifestanti sarebbero stati bersagliati dal fuoco di cecchini rimasti ignoti<ref>{{cita web|url=https://www.bbc.com/news/world-europe-26866069|titolo=Ukraine crisis: What we know about the Kiev snipers|lingua=en|accesso=27 luglio 2022}}</ref>. A terra rimasero decine di persone uccise e centinaia di feriti. Simbolo del massacro resta il gesto di una giovane infermiera ucraina Olesja Žukovskaja che ferita gravemente<ref>{{cita web|url= http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/21/ucraina-fonti-ospedaliere-al-fatto-it-linfermiera-ferita-della-croce-rossa-e-viva/889188/ |titolo= Ucraina, ospedale al Fatto.it: "Infermiera fuori pericolo". E lei twitta: "Sono viva"<!-- Titolo generato automaticamente -->]}}</ref> da un proiettile, twittò nello stesso momento «Я вмираю» ["Muoio"]<ref>{{Cita web|url=https://twitter.com/olesyazhukovska/status/436436294483591168|titolo=https://twitter.com/olesyazhukovska/status/436436294483591168|sito=Twitter|accesso=2022-04-09}}</ref>. Dopo questo bagno di sangue, Janukovyč e i capi dell'opposizione arrivarono a un accordo che prevedeva elezioni anticipate e Governo di Unità Nazionale, nonché ritorno alla Costituzione del 2004, con sensibile limitazione dei poteri presidenziali. La condanna delle violenze da parte del Parlamento fu unanime.
 
Il 22 febbraio si ebbe l'epilogo della protesta [[Euromaidan]]: i manifestanti chiesero le dimissioni di Janukovyč che, ormai circondato, fuggì dalla capitale Kiev facendo perdere le sue tracce, forse per rifugiarsi al confine ucraino orientale in una città russofona o forse all'estero proprio nella stessa Russia, mentre il Palazzo presidenziale fu assaltato dai manifestanti. Con lui scapparono anche il presidente del Parlamento ucraino [[Vladimir Rybak]] e il Ministro dell'Interno [[Vitalij Zacharčenko]], che lasciarono i loro incarichi. In sostituzione, il Parlamento nominò [[Oleksandr Turčynov]], ex capo dei servizi segreti e braccio destro dell'ex premier Tymošenko, come presidente del Parlamento e premier "ad interim". Intanto, dopo le voci di possibili dimissioni di Janukovyč, egli apparve in TV dichiarando che nel Paese era in atto un colpo di Stato con metodi nazisti, affermando di restare al suo posto. Diversi reparti della polizia si schierarono con i manifestanti.