Naufragio del Titanic: differenze tra le versioni
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Inoltre, ''a'' posteriori, è stato ipotizzato che se Murdoch avesse mantenuto la [[rotta navale|barra]] dritta, il transatlantico si sarebbe di certo scontrato frontalmente in modo violento contro l'iceberg e avrebbe riportato danni comunque molto seri, ma avrebbe comunque potuto proseguire a regime ridotto la sua traversata verso [[New York]], dove si sarebbe potuto provvedere alle riparazioni.
Il ghiaccio strisciò sulla [[dritta]], deformando in modo permanente una sezione del lato destro lunga almeno 90 metri. A causa dell'immane pressione, i rivetti saltarono uno dopo l'altro, le lamiere si piegarono e, a livello delle giunture rivettate, si aprirono sei diverse falle circa cinque metri al di sotto della [[linea di galleggiamento]]; ciascuna falla presentava un'area di circa un [[metro quadrato]]. La collisione non fu avvertita in maniera significativa dai passeggeri delle classi prima e seconda, in virtù del fatto che le loro cabine erano posizionate al di sopra della [[linea di galleggiamento]]; solo chi si trovava sul ponte si accorse della presenza dell'[[iceberg]], pur senza rendersi conto della gravità dell'evento, in quanto piovvero frammenti di ghiaccio distaccatisi dalla massa dell'iceberg in seguito all'avvenuto impatto.
Dalle testimonianze dei superstiti gli unici segnali dell'impatto in prima classe furono un leggero scuotimento dei lampadari di cristallo e la caduta di alcuni oggetti dai comodini; il momento fatale venne invece descritto dai passeggeri di seconda classe come «''una vibrazione ovattata, strana e breve''», come «''un botto sordo''» dai passeggeri di terza classe e come un rumore «''assordante di ferraglia''» dai fuochisti, i primi che si resero conto dello sventramento della murata (testimonianza dell'unico sopravvissuto del locale caldaie numero 6, il compartimento che risultò essere il più danneggiato in seguito all'impatto). Lightoller, che in quel momento si trovava lecitamente a letto nella sua cabina, testimoniò di aver avvertito soltanto «''un'interruzione nella monotonia del movimento''». In seguito i superstiti descrissero l'impatto come «''il rotolare di migliaia di biglie''», come «''se qualcuno avesse strusciato un enorme dito contro la murata della nave''», o come se «''un pezzo di stoffa si fosse lacerato''».<ref name="Ballard" /> Ben diversa fu la reazione in [[sala macchine]], dove i fuochisti erano intenti ad alimentare le caldaie. Uno di essi rese la seguente testimonianza: «''All'improvviso la murata di dritta parve rovinarci addosso. Si sentì come uno scoppio di arma da fuoco e l'acqua cominciò a scorrere intorno; ci gorgogliò tra le gambe e noi ci precipitammo con un balzo nel compartimento successivo chiudendoci alle spalle la porta stagna. Non pensai, e nessuno lo pensò in quel momento, che il Titanic sarebbe potuto affondare''».<ref>''Morning Post'', 29 aprile 1912. Citato in {{Cita|Marcus 1990}}.</ref>
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L'evacuazione dei passeggeri a bordo delle barche venne organizzata come segue: al 1º ufficiale William Murdoch venne data la responsabilità di tutte le lance situate sul lato di dritta (cioè tutte quelle con numero dispari, oltre alle pieghevoli A e C) e al 2º ufficiale Charles Lightoller di tutte le barche sul lato sinistro (quelle con numero pari, oltre alle pieghevoli B e D).<ref>{{cita|Ferruli 2003|p. 152}}.</ref>
Al fine di garantire il corretto svolgimento dell'evacuazione era fondamentale continuare a produrre energia elettrica il più a lungo possibile; tuttavia, l'acqua gelida che entrava nella nave rischiava di far esplodere le caldaie a causa dello shock termico. Il [[vapore acqueo]] prodotto nelle caldaie venne quindi espulso tramite i fumaioli, producendo un rumore talmente assordante che intralciò anche le trasmissioni telegrafiche degli operatori incaricati di inviare i messaggi di soccorso. Gli ufficiali impegnati a preparare le imbarcazioni vennero quindi costretti a gridare o a comunicare tramite gesti a causa del frastuono, che andrà a diminuire fino a cessare completamente attorno alle 00:40.<ref>{{cita|Ferruli 2003|p. 153}}.</ref>
====Svolgimento delle operazioni====
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{{Citazione|Fra le narrazioni dei superstiti del ''Titanic'' si annovera quella dell'italiano Emilio Portaluppi di Arcisate, passeggero di seconda classe, il quale dice di essere stato svegliato dall'esplosione di una caldaia della nave. Corse allora sul ponte, si mise la cintura di salvataggio e, seguendo l'esempio degli altri, si gettò in mare, dove, aggrappatosi a un pezzo di ghiaccio, riuscì a rimanere a fior d'acqua finché fu scorto e raccolto dai passeggeri delle zattere.|''Come si salvò un italiano a New York'', ''La Stampa'', 20 aprile 1912}}
Dopo il naufragio, durante il quale fu salvato dopo essere caduto in mare, visse negli Stati Uniti (New York e [[New Jersey]]) per poi fare ritorno definitivamente in Italia nel 1965, dove trascorse gli ultimi anni di vita ad Arcisate fino alla sua morte, avvenuta nel 1974, all'età di 92 anni. Si recava regolarmente in vacanza ad [[Alassio]], in [[Liguria]], dove la fama di sopravvissuto del ''Titanic'' lo precedeva e accompagnava nelle sue passeggiate sul lungomare. Alloggiava nella pensione-ristorante Palma, il cui proprietario, Silvio Viglietti, raccontò in un articolo:
{{Citazione|Forse qualcuno tra i non più giovani si ricorderà di quel vecchio ometto distinto che con il suo bastone che lui chiamava “la mi mié” (mia moglie), per oltre venti anni dal 60 all’80 del secolo scorso ha vissuto in pensione ad Alassio proprio da me all’albergo […] e che parlava amichevolmente con tutti e tutti riconoscevano perché era l’ultimo italiano tra i superstiti del naufragio del ''Titanic'', la nave affondata a causa dell’urto con l’iceberg nell’aprile del 1912! Era il prof. Emilio Portaluppi di Arcisate (Varese): ogni anno il giorno dell’anniversario del naufragio nel mio ristorante celebravamo il suo compleanno con trent’anni in meno, perché lui diceva giustamente che essendo scampato alla morte si riteneva rinato in quel giorno e siccome allora aveva trent’anni li contava in meno; ragionamento logico! Organizzavo per l’occasione un grande pranzo cui erano invitati autorità e giornalisti, cosa che procurava notevole risonanza perché abbondavano gli articoli e le foto su giornali e riviste che pubblicavano la vera storia del naufragio con particolari inediti arricchiti dal vecchio professore con molti particolari, così come quello di essere stato salvato dalla proprietaria di “Times” che si trovava sulla lancia a cui il Portaluppi si avvicinò e che intercesse per lui tirandolo a bordo mentre i marinai lo allontanavano con i remi; e lui aveva una pistola di madreperla in bocca, raccolta prima di buttarsi dalla tolda del ''Titanic'' tra i flutti gelati per il ghiaccio, pistola che dovettero strappargli di bocca poco a poco; la signora era Lady Astor.| Silvio Viglietti, ''L'Alassino'' n. 11, 17 novembre 2005}}
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