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== Storia ==
=== Il "Consorzio Sovvenzioni" ===
{{Vedi anche|Consorzio per sovvenzioni su valori industriali}}
Nel [[1913]], dopo aver dovuto effettuare il salvataggio di alcune imprese negli anni precedenti, la [[Banca d'Italia]] diretta da [[Bonaldo Stringher]] decise di costituire un organo permanente destinato al finanziamento e risanamento delle imprese in crisi, il ''Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali''. Il consorzio, divenuto operativo nel 1915, era guidato dalla Banca d'Italia e riuniva i [[Banco di Napoli|Banchi di Napoli]] e [[Banco di Sicilia|Sicilia]], alcune [[cassa di risparmio|casse di risparmio]], il [[Monte dei Paschi di Siena]] e l'[[Istituto Bancario San Paolo di Torino]]<ref name=Colajanni>Napoleone Colajanni, ''Storia della banca italiana'', Roma, Newton Compton, 1995</ref>.
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Un anno dopo, il [[Banco di Roma]], che era in crisi dal 1921, fu rilevato dalla ''Società Nazionale Mobiliare'', controllata per il 26% dal ''Consorzio Sovvenzioni'' e per un altro 26% dalla [[Banca Commerciale Italiana]] e dal [[Credito Italiano]]<ref name=Colajanni/>.
 
=== L'"Istituto di Liquidazioni" ===
Nel [[1926]] il Consorzio Sovvenzioni, che ormai deteneva partecipazioni in pianta stabile, fu trasformato in un istituto dotato di [[personalità giuridica]], l{{'}}''Istituto di Liquidazioni''<ref name=Colajanni/>.
 
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Nel pieno della crisi degli anni trenta la [[Banca d'Italia]] si trovava esposta verso l'Istituto di liquidazioni e verso le banche per oltre 7 miliardi, ovvero oltre il 50% del capitale circolante.
 
=== La costituzione durante il governo Mussolini come ente provvisorio ===
=== La fondazione dell'IRI ===
La costituzione dell'IRI, avvenuta nel gennaio [[1933]], fu patrocinata a [[Benito Mussolini]] dal ministro delle finanze [[Guido Jung]]<ref>[https://www.treccani.it/enciclopedia/guido-jung_(Dizionario-Biografico) Dizionario biografico Treccani]</ref>. L'Iri nacque come ente temporaneo durante il periodo fascista con lo scopo prettamente di salvataggio delle banche e delle [[Azienda|aziende]] a loro connesse. Primo presidente, oltre che uno dei principali artefici della creazione dell'ente, fu [[Alberto Beneduce]], economista di formazione socialista, che godeva della fiducia del Capo del Governo.
 
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Nel complesso, con la costituzione dell'Iri il 21,49% del capitale delle società italiane esistenti al 31 dicembre 1934 era, direttamente o indirettamente, controllato dall'Istituto.<ref>Archivio Storico Iri, Sezione Finanziamenti, Relazione del consiglio di amministrazione sul bilancio al 31 dicembre 1934, citato in AA VV, ''Storia dell'Iri'' (a cura di Valerio Castronovo), Editori Laterza, Roma-Bari, 2012, vol. 1, pag. 186</ref>
 
=== IRILa stabizzazione in ente permanente ===
[[File:Francesco Giordani.jpg|upright=0.7|thumb|[[Francesco Giordani (chimico)|Francesco Giordani]]]]
Inizialmente era previsto che l'IRI fosse un ente provvisorio il cui scopo era limitato alla dismissione delle attività così acquisite. Ciò in effetti avvenne con alcune imprese del settore elettrico ([[Edison (azienda)|Edison]] e [[Bastogi (azienda)|Bastogi]]) e tessile<ref name=Colajanni/>, che furono cedute ai privati, ma nel 1937 il governo trasformò l'IRI in un ente pubblico permanente; in questo probabilmente influirono lo scopo di mettere in atto la politica autarchica lanciata dal governo e di tenere sotto controllo del governo le aziende navali ed aeronautiche, mentre era in corso la guerra d'Etiopia.
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Alberto Beneduce nel 1939 a causa di problemi di salute, dovuti a un [[ictus]] che lo aveva colpito al ritorno da una riunione della [[Banca dei regolamenti internazionali|Banca dei Regolamenti Internazionali]] a [[Basilea]] il 13 luglio 1936, lasciò la presidenza dell'ente a [[Francesco Giordani (chimico)|Francesco Giordani]].
 
=== Il ruolo nel secondo dopoguerra ===
Nel dopoguerra la sopravvivenza dell'Istituto non era data per certa, essendo nato più come una soluzione provvisoria che con un orizzonte di lungo termine; di fatto però risultava difficile per lo Stato cedere ai privati aziende che richiedevano grandi investimenti e davano ritorni sul lunghissimo periodo. Così l'IRI mantenne la struttura che aveva sotto il fascismo.
 
Solo dopo il 1950 la funzione dell'IRI fu meglio definita: una nuova spinta propulsiva per l'IRI venne da [[Oscar Sinigaglia]], che con il suo piano per aumentare la capacità produttiva della [[siderurgia]] italiana strinse un'alleanza con gli industriali privati; si venne così a creare un nuovo ruolo per l'IRI, cioè quello di sviluppare la grande industria di base e le infrastrutture necessarie al paese, non in "supplenza" dei privati ma in una tacita suddivisione dei compiti. Ne furono esempi lo sviluppo dell'industria siderurgica, quello della rete telefonica e la costruzione dell'[[Autostrada del Sole]], iniziata nel [[1956]].
 
=== "LaIl miracolo economico e la "formula IRI" e la La teoria degli "oneri impropri" ===
Negli anni sessanta, mentre l'economia italiana cresceva ad alti ritmi, l'IRI era tra i protagonisti del "[[miracolo" economico italiano]]". Altri paesi europei, in particolare i governi laburisti inglesi, guardavano alla "formula IRI" come ad un esempio positivo di intervento dello Stato dell'economia, migliore della semplice "nazionalizzazione" perché permetteva una cooperazione tra capitale pubblico e capitale privato.
 
In molte aziendesocietà del gruppo il capitale era misto, in parte pubblico, in parte privato. Molte aziende del gruppo IRI rimasero quotate in borsa e le obbligazioni emesse dall'Istituto per finanziare le proprie imprese erano sottoscritte in massa dai risparmiatori.
 
=== La teoria degli "oneri impropri" ===
Ai vertici dell'IRI si insediarono esponenti della [[Democrazia Cristiana|DC]] come [[Giuseppe Petrilli]], presidente dell'Istituto per quasi vent'anni (dal 1960 al 1979). Petrilli nei suoi scritti elaborò una teoria che sottolineava gli effetti positivi della "formula IRI"<ref>Petrilli pubblicò un libro intitolato ''Lo stato imprenditore'', Cappelli, Bologna 1967; citato da M. Pini, ''I giorni dell'IRI'', Arnoldo Mondadori, 2004, pag. 26 e bibliografia a pag. 298</ref>. Attraverso l'IRI le imprese erano utilizzabili per finalità sociali e lo Stato doveva farsi carico dei costi e delle diseconomie generati dagli investimenti; significava che l'IRI non doveva necessariamente seguire criteri imprenditoriali nella sua attività, ma investire secondo quelli che erano gli interessi della collettività anche quando ciò avesse generato "oneri impropri", cioè anche in investimenti antieconomici<ref>M. Pini, ''I giorni dell'IRI'', pag. 26</ref>.
 
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Critico verso la prassi assistenzialista, in linea quindi con la falsariga del modello beneduciano, fu il secondo Presidente della Repubblica Italiana, il liberista [[Luigi Einaudi]], che ebbe a dire: «''L'impresa pubblica, se non sia informata a criteri economici, tende al tipo dell'ospizio di carità''».
 
Poiché gli obiettivi dello Stato erano sviluppare l'economia del Mezzogiorno e mantenere la piena occupazione, l'IRI doveva concentrare i propri investimenti nel [[Sud Italia|Sud]] ed incrementare l'occupazione nelle proprie aziendeimprese. La posizione di Petrilli rifletteva quelle già diffuse in alcune correnti della DC, che cercavano una "[[terza via]]" tra il [[liberismo]] ed il [[comunismo]]; il sistema misto delle imprese a partecipazione statale dell'IRI sembrava realizzare questo ibrido tra due sistemi agli antipodi.
Si veda a raffronto, due paragrafi più in basso, l'incremento del numero di dipendenti IRI, aumento che solo in parte può essere spiegato con l'espansione dell'attività produttiva in capo all'ente.
 
=== Gli investimenti nel meridione d'Italia e i salvataggi ===
Poiché gli obiettivi dello Stato erano sviluppare l'economia del Mezzogiorno e mantenere la piena occupazione, l'IRI doveva concentrare i propri investimenti nel [[Sud Italia|Sud]] ed incrementare l'occupazione nelle proprie aziende. La posizione di Petrilli rifletteva quelle già diffuse in alcune correnti della DC, che cercavano una "[[terza via]]" tra il [[liberismo]] ed il [[comunismo]]; il sistema misto delle imprese a partecipazione statale dell'IRI sembrava realizzare questo ibrido tra due sistemi agli antipodi.
L'IRI effettivamente poneva in essere grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la costruzione dell'[[Italsider]] di [[Taranto]] e quella dell'[[Alfasud (azienda)AlfaSud]] di [[Pomigliano d'Arco]] e di [[Pratola Serra]]; altri furono programmati senza mai essere realizzati, come il centro siderurgico di [[Gioia Tauro]]. Per evitare gravi crisi occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di aziende private in difficoltà: ne sono esempi i "salvataggi" della [[Motta (alimentari)|Motta]] e dei Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e l'acquisizione di aziende alimentari dalla [[Montedison]]; questo portò ad un incremento progressivo di attività e dipendenti dell'Istituto.
 
=== Gli investimenti e i salvataggi ===
L'IRI effettivamente poneva in essere grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la costruzione dell'[[Italsider]] di [[Taranto]] e quella dell'AlfaSud di [[Pomigliano d'Arco]] e di [[Pratola Serra]]; altri furono programmati senza mai essere realizzati, come il centro siderurgico di [[Gioia Tauro]]. Per evitare gravi crisi occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di aziende private in difficoltà: ne sono esempi i "salvataggi" della [[Motta (alimentari)|Motta]] e dei Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e l'acquisizione di aziende alimentari dalla [[Montedison]]; questo portò ad un incremento progressivo di attività e dipendenti dell'Istituto.
 
'''Gruppo IRI – andamento numero dipendenti'''<ref>da P. Bianchi, ''La rincorsa frenata-L'industria italiana dall'unità nazionale all'unificazione europea'', Il Mulino, 2002</ref>
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|}
 
=== I debiti e la crisi degli anni 1970 ===
All'IRI vennero richiesti ingentissimi investimenti anche in periodi di crisi, quando i privati riducevano i loro investimenti. Lo Stato erogava i cosiddetti "fondi di dotazione" all'IRI, che poi li allocava alle sue caposettore sotto forma di capitale; tali fondi però non erano mai sufficienti per finanziare gli enormi investimenti e spesso venivano erogati con ritardo. L'Istituto e le sue aziende dovevano quindi finanziarsi con l'indebitamento bancario, che negli anni settanta crebbe a livelli vertiginosi: gli investimenti del gruppo IRI erano coperti da mezzi propri solo per il 14%; il caso più estremo era la [[Finsider]] dove nel [[1981]] questo rapporto scendeva al 5%<ref>M.Pini, ''I giorni dell'IRI'', Mondadori, 2004, pag. 67</ref>.
Gli oneri finanziari portarono in rosso i conti dell'IRI e delle sue controllate: nel 1976 si verificò che tutte le aziende del settore pubblico chiusero in perdita<ref>V.Castronovo, ''Storia dell'Industria italiana'', Mondadori, 2003</ref>. In particolare, la siderurgia e la cantieristica riportarono perdite fino agli anni ottanta, così come erano pessimi i risultati economici dell'[[Alfa Romeo]]. La gestione anti-economica delle aziende IRI portò gli azionisti privati ad uscire progressivamente dal loro capitale. All'inizio degli anni ottanta i governi iniziarono un ripensamento sulla funzione e sulla gestione delle aziende pubbliche.
 
=== L'epocaLa presidenza di Romano Prodi ===
[[File:Romano Prodi in 1996.jpg|thumb|[[Romano Prodi]]]]
Nel 1982 il governo affidò la presidenza dell'IRI a [[Romano Prodi]]. La nomina di un economista (seppur sempre politicamente di area democristiana, come il predecessore [[Pietro Sette]]) alla guida dell'IRI costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato. La ristrutturazione dell'IRI durante la presidenza Prodi portò a:
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Per evitare una grave crisi d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con l'allora ministro degli Esteri [[Beniamino Andreatta]] un accordo<ref>[http://europa.eu/rapid/press-release_IP-96-1197_it.htm europa.eu: press release IP-96-1197]</ref>, che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di IRI, ENI ed [[Enel]] e poi a ridurli progressivamente ad un livello comparabile con quello delle aziende private entro il [[1996]]. Per ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte delle aziende partecipate dall'IRI.
 
=== Le privatizzazioni in Italia e l'analisi della Corte dei Conti ===
L'accordo Andreatta-Van Miert impresse una forte accelerazione alle privatizzazioni, iniziate già nel 1993 con la vendita del [[Credito Italiano]]. Nonostante alcuni pareri contrari, il [[Ministero del tesoro]] decise non di privatizzare l'IRI S.p.A., ma di smembrarla e di vendere le sue aziende operative; tale linea politica fu inaugurata sotto il [[governo Amato I]] e non fu mai messa realmente in discussione dai governi successivi. {{Senza fonte|Raggiunti nel [[1997]] i livelli di indebitamento fissati dall'accordo Andreatta-Van Miert}}, le dismissioni dell'IRI proseguirono comunque e l'Istituto aveva perso qualsiasi funzione, se non quella di vendere le sue attività e di avviarsi verso la liquidazione.
 
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Particolarmente critica fu la privatizzazione di [[Autostrade per l'Italia#La privatizzazione del 1999|Autostrade per l'Italia]], decisa nel 1997 e completata due anni più tardi. Per liquidare il Ministero del tesoro, si rese necessario reperire sul mercato una somma compresa fra i 4.500 e i 5.000 miliardi lire, dei quali il 40% avrebbe dovuto provenire da un "nucleo stabile" di azionisti, formato da una ventina di realtà imprenditoriali e finanziarie. A capo del progetto iniziale di cordata erano [[Lazard]], [[Banca Generali|Generali]], insieme alla banca [[Rothschild]].<ref>{{cita web | autore = Enzo Cirillo | url = https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/23/agip-rothschild-entrano-in-autostrade.html | titolo = Agip e rothschild entrano in autostrade | città = Roma | data = 23 gennaio 1997 | urlarchivio = https://archive.is/20190907115521/https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/23/agip-rothschild-entrano-in-autostrade.html | dataarchivio = 7 settembre 2019 | urlmorto = no | accesso = 7 settembre 2019}}</ref>
 
=== L'analisi della Corte dei Conti sulla stagione delle privatizzazioni ===
Con un documento pubblicato il 10 febbraio 2010<ref>[http://www.ilgiornale.it/economia/la_corte_conti_svela_lato_oscuro_privatizzazioni/finanza-azioni-energia-euro-inflazione-privatizzazioni_tariffe_corte_conti/27-02-2010/articolo-id=425552-page=0-comments=1 La Corte dei Conti svela il lato oscuro delle privatizzazioni, 27 gen 2010, Il Giornale]</ref>, ormai ultimata la stagione delle privatizzazioni che aveva preso il via quasi 20 anni prima, la Corte dei Conti ha reso pubblico uno studio nel quale elabora la propria analisi sull'efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane neutrale, segnala, sì, un recupero di redditività da parte delle aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che, tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza, quanto piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade, banche, ecc., ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di investimento, volto a migliorare i servizi offerti.<ref>{{Cita web |url=http://www.tgcom.mediaset.it/economia/articoli/articolo475071.shtml |titolo=Con privatizzazioni tariffe alte, 26 feb 2010, TgCom |accesso=19 agosto 2010 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20100303113737/http://www.tgcom.mediaset.it/economia/articoli/articolo475071.shtml |dataarchivio=3 marzo 2010 |urlmorto=sì}}</ref>
Più secco è invece il giudizio sulle procedure di [[privatizzazione]], che:
{{Citazione|evidenzia una serie di importanti criticità, le quali vanno dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza, al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito<ref>[http://www.corriere.it/economia/10_febbraio_26/privatizzazioni-corte-conti_220274c6-22e3-11df-8195-00144f02aabe.shtml Corte dei Conti: le ex aziende pubbliche ora fanno i soldi grazie a tariffe più care, 26 feb 2010, Corriere della Sera]</ref>}}
 
=== La liquidazione e l'incorporazione in Fintecna ===
Le poche aziende ([[Finmeccanica]], [[Fincantieri]], [[Fintecna]], [[Alitalia]] e [[RAI]]) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del [[Ministero del tesoro]]. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno [[2000]] l'IRI fu messo in liquidazione e nel [[2002]] fu incorporato in [[Fintecna]], scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua ex controllata ha però versato al Tesoro un assegno di oltre 5000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.