Francesco Guicciardini: differenze tra le versioni

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L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli [[Antichi stati italiani#XV secolo|stati italiani]] del [[Rinascimento]] con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).
 
Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la ''discrezione'' (''Ricordi'', 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze.<ref>"È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente, e assolutamente e , per dire così, per regola, perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle ''circunstanze'', le quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la ''discrezione''. ("Ricordi", 6).</ref> La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per [[Machiavelli]]. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il ''particulare'' (''Ricordi'', 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato.<ref>[[Natalino Sapegno]], ''Compendio di storia della letteratura italiana'', La Nuova Italia, Firenze, 1963, pp. 94-97.</ref> In altre parole il ''particulare'' non va inteso egoisticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero che collima con quello di [[Nicolò Machiavelli|Machiavelli]]).<ref>"Nondimeno el grado che ho avuto con più pontefici, m'ha necessitato a amare per el ''particulare'' mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luther quanto me medesimo: non per liberarmi dalle legge indòtte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autorità".("Ricordi", 28).</ref>
La realtà non è quindi costituita da leggi [[universale|universali]] immutabili come per [[Machiavelli]].
 
Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è infatti il ''[[particulare]]'' (''Ricordi'', 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato.<ref>[[Natalino Sapegno]], ''Compendio di storia della letteratura italiana'', La Nuova Italia, Firenze, 1963, pp. 94-97.</ref> In altre parole il ''particulare'' non va inteso egoisticamente, come un invito a soddisfare solamente l'interesse personale, bensì a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero complementare rispetto a quello di [[Nicolò Machiavelli|Machiavelli]]).<ref>«Nondimeno el grado che ho avuto con più pontefici, m'ha necessitato a amare per el ''particulare'' mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luther quanto me medesimo: non per liberarmi dalle legge indòtte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autorità» (''Ricordi'', 28).</ref>
In netta polemica con Francesco Guicciardini, per alcuni passi della ''Storia d'Italia'', Jacopo Pitti scrisse l'opuscolo ''Apologia dei Cappucci'' (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici, soprannominati i ''Cappucci''.
 
In netta polemica con Francesco Guicciardini, per alcuni passi della ''Storia d'Italia'', [[Jacopo Pitti]] scrisse l'opuscolo ''Apologia dei Cappucci'' (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici, soprannominati i ''Cappucci''.
 
== Fortuna ==
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[[File:Guicciardini M Francesco La Historia dItalia.jpg|thumb|right|Copertina di un'antica edizione della ''Storia d'Italia'']]
[[Francesco De Sanctis]] non ebbe simpatia per Guicciardini ed infatti non nascose di apprezzare maggiormente il [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]].
Nella sua ''[[Storia della letteratura italiana]]'' il critico irpino mise in evidenza come Guicciardini fosse, sì, in linea con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli".
Sempre nella sua ''Storia della letteratura italiana'' De Sanctis affermò: “Il{{citazione|Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli. Tutti gli ideali scompaiono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”vita.}}
 
E poco più in basso aggiunse: "«Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o l'osservare. Né altro è il sistema. Il Guicciardini nega tutto quello che il Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento"».
 
Nel [[Romanticismo italiano|Romanticismo]], la mancanza di evidenti passioni per l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che il Guicciardini vale più come analista e pensatore che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione.: "Qualsiasi«qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle autopsie"».
 
== Le opere ==
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* ''[[Dialogo del Reggimento di Firenze]]'' (dal [[1521]] al [[1526]])
* ''[[Storia d'Italia (Guicciardini)|Storia d'Italia]]'' (dal [[1537]] al [[1540]])
* ''Scritti inediti sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di Pavia'', P. Guicciardini (a cura di) P. Guicciardini, Firenze, Olschki, 1940.
* ''Le cose fiorentine'', R. Ridolfi (a cura di) R. Ridolfi, Firenze, Olschki, 1945.
* ''Carteggi'', 17 voll., 1938-72 (voll. 1-2 presso Zanichelli, Bologna; vol. 3 presso Istituto per gli studi di politica internazionale, Firenze; vol. 4 presso Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, Roma; voll. 5-17 presso P. G. Ricci, Roma)