Arbegnuoc: differenze tra le versioni

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Nonostante la schiacciante superiorità di mezzi e armamenti l'occupante italiano non riuscì mai a raggiungere un successo definitivo contro la guerriglia ''arbegnuoc''; l'andamento delle operazioni si ripeteva ciclicamente nel corso degli anni; l'insurrezione di una regione iniziava con l'assalto dei guerriglieri ai presidi isolati, alle guarnigioni dei villaggi e alle colonne minori, che aveva spesso successo; gli ''arbegnuoc'' quindi assumevano il controllo del territorio e respingevano i primi contrattacchi<ref name="GR86"/>. Dopo questa fase iniziale, il comando italiano era in grado di raggruppare le sue forze e di prendere l'iniziativa con il sostegno massiccio dell'aviazione che impiegava anche i gas iprite e fosgene; il territorio veniva quindi riconquistato e si precedeva a rappresaglie, devastazioni ed esecuzioni sommarie che colpivano anche la popolazione civile dei villaggi<ref name="GR86"/>. I capi e gli ''arbegnuoc'' più pericolosi tuttavia riuscivano quasi sempre a sfuggire e disperdersi nelle regioni più inospitali evitando confronti diretti in attesa di riorganizzarsi e riprendere in un secondo momento le operazioni scatenando una nuova insurrezione nelle stesso territorio<ref name="GR86"/>. Gli italiani infatti non erano in grado di presidiare in permanenza con forze sufficienti tutte le regioni e inoltre il loro comportamento brutale accentuava l'ostilità della popolazione e il sostegno alla guerriglia<ref name="GR86"/>.
 
Nonostante il superficiale ottimismo del Duca d'Aosta che, giunto ad Addis Abeba il 22 dicembre 1937 come nuovo viceré, si era affrettato a ringraziare il maresciallo Graziani scrivendo di "situazione generalmente buona", in realtà la guerriglia era in sviluppo e dal Goggiam, descritto in "piena rivolta", si estendeva in pratica all'intero territorio tranne l'Harar e le colonie storiche di Eritrea e Somalia<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 313}}.</ref>. Il generale Ugo Cavallero, dal 12 gennaio 1938 il nuovo comandante superiore militare alle dipendenze del viceré, dovette subito ammettere che i "ribelli" erano numerosi, godevano del sostegno della popolazione e mettevano in pericolo la sicurezza delle vie di comunicazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 313-314}}.</ref>. Secondo il rapporto del nuovo comandante superiore, le forze ''arbegnuoc'' erano costituite da circa 20.000{{formatnum:20000}} uomini con i nuclei principali nello Scioa, 11.000{{formatnum:11000}} combattenti, e nell'Amhara, altri 8.000{{formatnum:8000}} guerriglieri; in realtà la guerriglia disponeva di forze variabili nel tempo tra i 40.000{{formatnum:40000}} e i 100.000{{formatnum:100000}} uomini<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 314-316}}.</ref>. Nello Scioa occidentale erano attive le bande del fitaurari [[Zaudiè Asfau]], del degiac [[Destà Isceriè]], di Mesfin Scilesci, Tecle Uolde Hawariat e del balambaras [[Gherarsù Duchì]]; lo Scioa nord-orientale era il territorio di Abebe Aregai con circa 4.000{{formatnum:4000}} uomini, e del degiac Auraris Dulla con 1.000{{formatnum:1000}} combattenti<ref name="DB314">{{cita|Del Boca|vol. III, p. 314}}.</ref>. Gli altri gruppi principali combattevano nel Goggiam dove i degiac Mangascià Giamberiè, Negasc Bezabè, Belai Zellechè e il ligg Hailù Belau guidavano 5.000{{formatnum:5000}} ''arbegnuoc'', e nelle regioni del [[Belesà]], Beghemeder, [[Dalantà]] e [[Ermacciò]] dove si trovavano circa 6.000 guerriglieri guidati da Ubnè Tesemma, dal fitaurari Mesfin Redda, dal degiac Ghebrè Cassa, dal ligg Johannes<ref name="DB314"/>. Un gruppo di bande di 2.000{{formatnum:2000}} uomini al comando del fitaurari Tafferà era attivo nel territorio del [[Galla e Sidamo]]<ref name="DB314"/>.
 
Mentre il Duca d'Aosta dava prova di attivismo e mostrava un comportamento rigoroso ma apparentemente più moderato nei confronti della popolazione etiopica, il generale Cavallero preparò un ambizioso piano di operazioni globale per schiacciare prima dell'inizio della stagione delle grandi piogge la resistenza abissina<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 317}}.</ref>. Il nuovo ciclo di operazioni ebbe inizio il 19 gennaio 1938 nel Goggiam che venne attaccato da nord e da sud da tre colonne separate mentre altre forze sbarravano i guadi sul [[Nilo]] per impedire ai guerriglieri di sfuggire. Nonostante il notevole spiegamento di forze la campagna non raggiunse risultati definitivi. I presidi assediati dagli ''arbegnuoc'' vennero sbloccati e i prolungati scontri a [[Fagutta]] contro gli uomini di Mangascià Giamberiè, Zaudiè Asfau e Meslin Scilesci si conclusero nel marzo 1938 con la ritirata dei guerriglieri che si dispersero sul territorio<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 317-318}}.</ref>. Nel mese di aprile le colonne italo-eritree si congiunsero a [[Debra Marcos]] e continuarono vaste operazioni di rastrellamento contro gli ''arbegnuoc'' di Mangascià Giamberiè, Negasc Bezabè e Belai Zellechè che ebbero, secondo le fonti italiane, 2.300{{formatnum:2300}} "uccisi accertati", ma riuscirono ancora una volta a sganciarsi<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, p. 318}}.</ref>. Le forze del generale Cavallero poterono occupare il territorio, aumentare i presidi ed estendere le linee di comunicazione ma ebbero a loro volta in cinque mesi nel Goggiam 350 morti e 1.200{{formatnum:1200}} feriti, in grande maggioranza ascari e truppe coloniali<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 318-319}}.</ref>.
 
[[File:Arbegnuoc2.jpg|thumb|upright=1.3|Riunione di capi e guerriglieri ''arbegnuoc''.]]