Massimo d'Azeglio: differenze tra le versioni
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== Biografia ==
=== Famiglia e infanzia ===
{{dx|[[File:Camino Palazzo d'Azeglio.jpg|left|thumb|upright=0.9|Giuseppe Camino, ''Palazzo Taparelli d'Azeglio'']]}}
Massimo Taparelli d'Azeglio nacque a Torino, in via del [[teatro d'Angennes]], l'attuale via Principe Amedeo, nel [[Palazzo d'Azeglio|palazzo]] appartenente alla nobile famiglia Taparelli di [[Lagnasco]], nell'attuale [[provincia di Cuneo]] (la famiglia era imparentata con i Balbo, tra cui si ricordano [[Prospero Balbo|Prospero]] e [[Cesare Balbo|Cesare]]), già discendente dei più antichi marchesi di [[Ponzone]], feudatari del vercellese e [[viverone]]se.
Figlio del marchese [[Cesare Taparelli d'Azeglio]], noto esponente della [[Restaurazione]] sabauda e del cattolicesimo subalpino, e di Cristina Morozzo della Rocca dei Marchesi di [[Bianzè]] (5 novembre 1770 - 22 febbraio 1838)<ref>https://gw.geneanet.org/rosatone?n=taparelli+d+azeglio&oc=&p=massimo</ref>, fu tenuto a battesimo da monsignor [[Giuseppe Morozzo Della Rocca]], che sarebbe poi diventato cardinale.<ref>
[[File:Arms of the house of Taparelli.svg|thumb|Stemma della famiglia Taparelli d'Azeglio]]
Dei suoi fratelli più noti si ricordano [[Luigi Taparelli d'Azeglio|Luigi]], presbitero [[Compagnia di Gesù|gesuita]] e cofondatore de ''[[La Civiltà Cattolica]]'', e [[Roberto Taparelli d'Azeglio|Roberto]], politico liberale come Massimo, promotore della campagna di emancipazione delle minoranze religiose del [[Piemonte]] ([[ebrei|giudei]] e [[Valdismo|valdesi]]). Si chiamava Roberto anche il fratello maggiore, che però nacque morto nel 1789. Gli altri fratelli di Massimo morirono prematuramente: Giuseppe Luigi, subito dopo la nascita, nel 1796, Melania a soli 10 anni di [[tubercolosi|etisia]] (10 luglio 1797 - 15 agosto 1807), Metilde ventiduenne (24 novembre 1791 - 12 agosto 1813) ed Enrico a 30 anni (24 novembre 1794 - 2 settembre 1824).
[[File:François-Xavier Fabre - The Holy Family.jpg|thumb|left|180px|[[François-Xavier Fabre]], ''La sacra famiglia'' (1801-02): il modello per Gesù bambino fu il piccolo Massimo d'Azeglio]]
[[File:Busto di Massimo D'Azeglio, Vincenzo Vela.jpg|thumb|Busto di Massimo D'Azeglio, [[Vincenzo Vela]], 1855-1865]]Per via dell'occupazione napoleonica, Massimo da bambino (con la famiglia) fu costretto a vivere per qualche anno a [[Firenze]], dove la domenica mattina si recava in casa della [[contessa d'Albany]] per recitarle i versi che lei gli faceva imparare durante la settimana e dove conobbe [[Vittorio Alfieri]], amante della contessa e caro amico del padre. D'Azeglio stesso racconta un episodio curioso: quando aveva quattro anni Alfieri lo condusse nello studio del pittore [[François-Xavier Fabre]], che usò il piccolo come modello per il Gesù Bambino della ''Sacra Famiglia'' a cui stava lavorando in quel momento. L'opera andò poi ad ornare una chiesa di [[Montpellier]].<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 47</ref> A Firenze ricevette un'educazione severa: in casa i genitori gli imposero un forte senso del dovere e studiò presso le [[Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie|Scuole Pie]] di Via Larga.[[File:Monumento a Massimo d'Azeglio.jpg|thumb|Monumento a Massimo d'Azeglio, [[Parco del Valentino]], [[Torino]]]]
=== L'attività artistica e letteraria ===
Alla fine del [[1810]], i Taparelli tornarono a [[Torino]], dove Massimo frequentò filosofia all'Università, «che cominciai all'età di circa tredici anni».<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 75</ref> Il giovane non aveva grande amore per lo studio: seguì i corsi per dovere ma senza brillare, in un'indole vivace e gaudente che caratterizzò la sua giovinezza, riavvicinandolo all'austerità dell'educazione ricevuta solo in epoca più tarda. Il padre, intanto, forgiava nei figli uno spirito forte e pronto per le asperità della vita: «Nostro padre voleva vederci diventar uomini, anche fisicamente parlando».<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 77</ref> Fu così che li iniziò al fioretto, al nuoto e all'equitazione, e presto li condusse a fare lunghe escursioni nei boschi simulando situazioni militari.
[[File:Battle of Legnano.png|thumb|left|upright=1.4|
Caduto [[Napoleone]] nel 1814, gli austriaci rientrarono in città tra il giubilo generale. Per [[papa Pio VII]] era possibile tornare a [[Roma]], «ed il re volle che gli giungesse quanto più presto si potesse un ''mi rallegro'' del capo della Casa di Savoia, nella quale era tradizionale lo sfottimento del papa. La scelta dell'inviato cadde sulla persona di mio padre; ed era certo impossibile trovare un più vero rappresentante del principio politico come della fede religiosa dei due principi».<ref>''I miei ricordi'', cit., 1923, p. 96</ref> Massimo accompagnò il padre a Roma, dove entrò in contatto con molti scultori e pittori del tempo: [[Antonio Canova|Canova]], [[Bertel Thorvaldsen|Thorvaldsen]], [[Christian Rauch|Rauch]], [[Vincenzo Camuccini|Camuccini]], [[Gaspare Landi|Landi]], tanto per fare qualche nome. Oltre ad approfondire quello che sarebbe rimasto il principale interesse culturale della propria vita, quello della pittura, si appassionò anche alla musica e alla poesia, conoscendo di persona il commediografo [[Gherardo de Rossi]] e il librettista [[Jacopo Ferretti]], nonché il musicista [[Niccolò Paganini]] e il compositore [[Gioachino Rossini]], con i quali condivise una notte di scherzi durante il carnevale romano del 1821.
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D'Azeglio continuò la propria attività di pittore e letterato, alternandosi tra i salotti intellettuali di Roma, [[Firenze]] e [[Milano]], dove conobbe Giulia, la figlia primogenita di [[Alessandro Manzoni]], sposandola nel maggio del 1831 ma rimanendone presto vedovo, nel 1834, l'anno successivo alla nascita di Alessandra,<ref>Alessandra nacque il 10 gennaio 1833 a Milano. Veniva sempre chiamata Alessandrina (o anche Rina): anche nell'atto di matrimonio che la legò al marchese Matteo Ricci, del 1852, si legge ''Alessandrina Taparelli d'Azeglio''</ref> la loro unica figlia.
Nel [[1828]]-[[1829]] soggiornò per un certo periodo a [[Sant'Ambrogio di Torino]] per dipingere le tavole del libro ''La [[Sacra di San Michele]] illustrata e descritta'' che pubblicò a Torino nel 1829. A Milano giunse due anni più tardi, dopo la morte del padre. Nella città meneghina riscosse grande successo come pittore. Spiegò nei ''Miei ricordi'' come Milano fosse allora culturalmente e artisticamente molto più vivace di Torino. Il clima ambrosiano si confaceva assai meglio al suo spirito libero: vi trovava «un non so che di abbondante, di ricco, di vivace, di attivo, che metteva buon umore a vederlo».<ref>
[[File:D'Azeglio Combattimento di Rinaldo e Gradasso.JPG|thumb|
[[File:D'AZEGLIO-Vita di lago con barca.jpg|thumb|left|
Si cimentò anche come scrittore; in linea con la temperie romantica, a cui si era mostrato fedele già nei quadri, scrisse il romanzo storico ''[[Ettore Fieramosca (romanzo)|Ettore Fieramosca]]'' (1833) ispirandosi quindi anche in letteratura al [[Ettore Fieramosca|famoso protagonista]] della [[Disfida di Barletta|disfida barlettana]]. Nel [[1834]] fu tra i primi frequentatori della casa di [[Clara Maffei|Clara]] e [[Andrea Maffei (poeta)|Andrea Maffei]] in via Tre Monasteri, nel primo embrione del [[Salotto Maffei|salotto]] che avrebbe animato i successivi decenni della vita artistica e politica milanese.<ref>D. Pizzagalli, ''L'amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento'', Milano 2004, pp. 16-17</ref> Il 24 agosto [[1835]] sposò in seconde nozze Luisa Maumary, vedova del proprio zio Enrico Blondel, che era fratello di [[Enrichetta Blondel|Enrichetta]], prima moglie di Manzoni.
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=== Gli anni della maturità: le operazioni militari e l'ingresso in politica ===
Al settembre [[1838]] risale il primo soggiorno fiorentino, dove si recò per raccogliere il materiale necessario alla stesura del secondo romanzo storico, ''Niccolò de' Lapi''. Nella città toscana, che d'Azeglio amò fin dall'inizio, entrò in contatto con gli intellettuali liberali del [[Gabinetto Vieusseux]], in particolare con il suo fondatore, [[Giovan Pietro Vieusseux]], e con [[Gino Capponi]]. Lasciò quindi [[Firenze]] per [[Milano]], ma vi tornò nel [[1840]] per un secondo breve soggiorno.<ref>M. de Rubris, ''Confidenze di Massimo d'Azeglio. Dal carteggio con Teresa Targioni Tozzetti'', Milano 1930, Arnoldo Mondadori, pp. 9-14</ref> Durante tale soggiorno si recò prima a [[Gavinana (San Marcello Piteglio)|Gavinana]], paese ove era stato ucciso [[Francesco Ferrucci]] nella [[Battaglia di Gavinana|battaglia del 1530]], e poi a [[San Marcello Pistoiese]], dove amò ascoltare la dizione di una certa Rosa, contadina nel podere Partitoio (peraltro analfabeta), dizione che definì «la parlata più pura e raffinata d'Italia», per dimostrare come, allora, nella montagna pistoiese si parlasse la vera lingua italiana, senza alcuna influenza dialettale. A San Marcello d'Azeglio soggiornò alla Locanda La Posta situata sulla strada granducale, adesso via Roma.<ref>Rif. "I miei ricordi" 1863 di
Nel 1838, a Firenze, conobbe il marchese [[Carlo Torrigiani]], con i suoi stessi ideali patriottici e con cui strinse una fraterna amicizia. Torrigiani lo introdusse alla frequentazione di casa Targioni, composta dal naturalista [[Antonio Targioni Tozzetti|Antonio]], dalla moglie [[Fanny Targioni Tozzetti|Fanny]], di [[Giacomo Leopardi|leopardiana]] memoria, e dalle loro tre figlie. Strinse un'amicizia particolarmente intensa con la più giovane, [[Teresa Targioni Tozzetti]], come testimonia il ricco carteggio che ci è pervenuto.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 13-24</ref>
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Tornata l'estate, d'Azeglio scelse ancora la costa ligure, soggiornando a [[Cornigliano]]. In questa stessa località, il 16 settembre Alessandrina, la sua unica figlia, si unì in matrimonio con il marchese [[Matteo Ricci (politico 1826-1896)|Matteo Ricci]], in una cerimonia a cui fecero da testimoni [[Alessandro Manzoni]] (nonno materno della sposa) e Emanuele d'Azeglio. L'autore dei ''Promessi Sposi'' conservò una viva emozione di quella giornata, felicitandosi con [[Teresa Borri]], sua seconda moglie, per il partito della nipote, che «non poteva essere più fortunata».<ref>G. Gallavresi, ''Manzoni intimo'', vol. III, Milano, Hoepli, 1923, p. 12</ref> Anche Massimo approvava con gioia l'unione, una sorta di toccasana capace di alleviare in parte il peso della carica pubblica, nonostante la separazione dolorosa dalla figlia: «questo matrimonio di Rina, così conveniente per tutt'i versi, mi fa proprio l'effetto di un compenso o di un riposo, che ha voluto accordarmi la Provvidenza [...] Anche a Rina, poverina, rincresce separarsi da me (perdoni la fatuità). Ma la vita è prosa e non romanzo, e bisogna spesso, anzi sempre, sagrificare l'amor che vi contenta all'amor che vi affligge, che è il solo vero e il solo utile»<ref>M. Ricci, ''Scritti postumi di Massimo d'Azeglio'', Firenze, 1871, p. 408</ref>, scrisse il 18 settembre alla marchesa [[Marianna Trivulzio Rinuccini]], con il consueto fiducioso abbandono nella fede cristiana.
[[File:Perrin F. - Vittorio Emanuele II - litografia - 1851.jpg|thumb
Era solo un lampo, la crisi governativa andava nuovamente acuendosi e il Re protestava vivacemente contro le decisioni della Camera, che aveva approvato in una seduta di fine luglio la legge sul [[matrimonio civile]], creando una nuova rottura nei rapporti con lo [[Stato Pontificio]]. D'altra parte, lo stesso d'Azeglio, sempre sofferente per la ferita alla gamba rimediata nella ritirata di Monte Berico ed esausto per il prolungarsi di un ruolo vissuto sin dall'inizio come puro sacrificio, non vedeva «l'ora di mutar mestiere».<ref>G. Carcano, cit., p. 395</ref> Il 22 ottobre prese la decisione definitiva: recatosi a [[Palazzina di caccia di Stupinigi|Stupinigi]], rimise il proprio mandato nelle mani del Re, proponendo Cavour come successore.<ref>M. de Rubris, cit., p. 90</ref>
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L'alleanza fu votata il 10 febbraio alla Camera e il 3 marzo al Senato. Una lettera a Teresa Targioni del 25 gennaio, al pari di quanto scrisse un mese più tardi, certificano come d'Azeglio non avesse lesinato energie per giungere a questo risultato.<ref>La missiva del 25 è riportata in M. de Rubris, cit., pp. 123-124; per il secondo scritto cfr. G. Carcano, cit., p. 423</ref> Nello stesso periodo il clima politico viveva una situazione infuocata anche per l'approvazione della [[Crisi Calabiana#La Legge sui conventi|legge sui conventi]], che prevedeva la soppressione delle corporazioni religiose. La reazione veemente del cardinale segretario di Stato [[Giacomo Antonelli]] chiamava in causa anche d'Azeglio; questi replicò stizzito con l'articolo ''Il Governo di Piemonte e la Corte di Roma'', apparso su ''[[L'Opinione (quotidiano)|L'Opinione]]'' il 16 febbraio.<ref>A questo proposito scrisse lo statista a Teresa Targioni il 20 febbraio: «Ho consegnato a Gualterio alcune copie del mio monitorio al Card. Antonelli. Mi è rincresciuto di doverlo fare; ma dopo che ho usato tutti i riguardi a lui e alla sua curia, dopo che me ne stavo zitto e quieto a casa mia senza dar disturbo a nessuno, venirmi a dar del birbo, e darmelo lui che in compagnia de' fratelli non fa altro che empirsi le tasche da cinque anni in qua, era poi volerne troppo! Sicché ci son volute quattro parole a modo, e se l'è proprio cercate».</ref>
[[File:Franz Xaver Winterhalter Napoleon III.jpg|thumb
L'intervento in Crimea e la legge sui conventi erano per d'Azeglio due decisioni obbligate, anche se non se ne rallegrava: la guerra voleva pur sempre dire morti e lutti, e neppure la legge lo entusiasmava, «mal fatta e inopportuna e, secondo me, poco liberale. Ma anche questa è quasi una necessità farla passare».<ref>Lettera a Teresa Targioni del 10 aprile 1855, in M. de Rubris, cit., p. 127. Nella stessa missiva d'Azeglio annunciava le dimissioni del fratello Roberto da direttore della Reale Galleria (l'odierna [[Galleria Sabauda]]) e il suo subentro nella carica</ref>
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=== Le nuove sfide ===
[[File:Giacinto Provana di Collegno.jpg|thumb
{{Citazione|Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani|
Gli anni passavano e d'Azeglio, che non era più rivestito di alcun incarico politico, propendeva per una vita sempre più ritirata dalla cosa pubblica, pur continuando a parteciparvi con emozione e interesse. L'estate del 1856 lo vide più libero e con maggior tempo a disposizione, sicché riuscì a soggiornare nell'amata Firenze e a rivedervi i numerosi amici che vi abitavano.<ref>M. de Rubris, cit., p. 151</ref>
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La congiuntura politica cominciava a volgere a favore del Regno di Sardegna: il progressivo allentarsi delle diffidenze del Regno Unito e le contemporanee minacce austriache sono viste come buona cosa. Era indubbiamente il momento migliore per essere attaccati, potendo schierare due grandi potenze al proprio fianco. Le parole che d'Azeglio scrive il 23 a Cavour sono in questo senso molto chiare: «La ''sommation'' de l'Autriche, juste au moment où notre conduite nous rendait les Benjamins de l'Angleterre, a été un de ces ternes à la loterie qui n'arrivent qu'une seule fois en un siècle»<ref>N. Bianchi, ''La politique du Comte Camille de Cavour de 1852 à 1861'', Turin, Roux et Favale, 1885, p. 347</ref> (L'intimazione austriaca, contemporanea alle simpatie che la nostra condotta riscuoteva in Inghilterra, è stata una di quelle fortune che capitano una sola volta in un secolo).
[[File:Gonin Massimo d'Azeglio.jpg|thumb
L'11 luglio [[1859]] ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a [[Bologna]], dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio [[1860]] venne nominato Governatore della [[Provincia di Milano]], carica che tenne fino al 17 marzo [[1861]], allorquando fu nominato prefetto [[Giulio Pasolini]].
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