Vincent van Gogh: differenze tra le versioni

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«Per quanto possa giudicare» scrisse Vincent a Théo dopo il rilascio, «non sono veramente malato di mente. Come puoi vedere, i quadri che ho fatto nel periodo fra i due attacchi sono più tranquilli e non peggiori degli altri. Ho molta voglia di lavorare e non mi stanco».<ref>vg 479</ref> Così Vincent commentò, in maniera serafica e più consapevole, il vivace dibattito diagnostico che avrebbe tentato di rintracciare l'eziologia della sua malattia nel corso degli anni: oltre centocinquanta psichiatri hanno tentato di classificare i suoi disturbi, con il risultato di circa trenta diagnosi diverse.<ref name="Blumer">{{cita pubblicazione|autore=Dietrich Blumer|url=http://ajp.psychiatryonline.org/cgi/content/abstract/159/4/519|lingua=en|titolo=The Illness of Vincent van Gogh|collana=American Journal of Psychiatry|anno=2002|accesso=12 aprile 2012|dataarchivio=12 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110612004826/http://ajp.psychiatryonline.org/cgi/content/abstract/159/4/519|urlmorto=sì}}</ref> Esse includono la [[schizofrenia]], il [[disturbo bipolare]], la [[sifilide]], l'avvelenamento da ingestione di vernici al piombo ([[saturnismo]]), l'[[epilessia del lobo temporale]] e la [[porfiria acuta intermittente]] (vista l'ereditarietà e la [[demenza]] diagnosticata poi al fratello), con l'aggravante della [[malnutrizione]], del lavoro eccessivo, dell'[[insonnia]] e del [[alcolismo|consumo di alcool]], in particolare di [[assenzio]].
 
In ogni caso, una volta terminata la degenza, Vincent fece ritorno alla Casa Gialla e superò la sua crisi, anche grazie al sostegno morale di Joseph Roulin, un uomo imponente e gioviale «con una grande barba, molto simile a [[Socrate]]», e di Théo, immediatamente giunto a Marsiglia quando seppe da Gauguin cosa stava succedendo. Vincent alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale era convinto che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Una volta dimesso Vincent riprese a lavorare di buona lena nella Casa Gialla: la crisi della sua salute mentale, tuttavia, era palpabile, e trenta cittadini di Arles, autodefinendosi «antropofaghi», si fecero avanti firmando una petizione dove si richiedeva l'internamento in [[manicomio]] del «rosso pazzo».<ref>p 712</ref> Grazie all'intervento di Signac la petizione non ebbe buon esito: Vincent, tuttavia, comprese di essere malato sia fisicamente che spiritualmente e perciò, dopo l'ennesimo deliquio, l'8 maggio 1889 entrò volontariamente nella ''Maison de Santé'' di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a [[Saint-Rémy-de-Provence]], a una ventina di chilometri da Arles.
[[File:VanGogh-starry night ballance1.jpg|min|sinistra|verticale=1.3|Vincent van Gogh, ''[[Notte stellata]]'' (Saint-Rémy, giugno 1889); olio su tela, 73,7×92,1 cm, [[Museum of Modern Art]], [[New York]]. F 612, JH 1731.]]
Nella clinica di Saint-Rémy non veniva praticata alcuna cura, a meno di definire «cura» i due bagni settimanali cui i pazienti erano sottoposti. Non se ne lamentava il pittore quando scrisse che «osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra».<ref>Lettera n. 591 a Théo van Gogh, 9 maggio 1889.</ref> Vincent, in ogni caso, viveva in una stanza con un tappeto grigioverde, un divano logoro e una finestra sbarrata che guardava un giardino della clinica e, al di là di quello, i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l'ultima catena delle Alpi francesi. Aveva a disposizione per lavorare un'altra camera vuota, poteva andare a dipingere anche fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e continuò a mantenersi in contatto epistolare con il fratello, che gli spediva libri e giornali. L'inattività, infatti, risultava inaccettabile per Vincent, che nella solitudine della vita claustrale del manicomio poteva sentirsi vivo solamente consultando i cataloghi delle più importanti mostre delle opere di Monet e di Rodin nella galleria parigina di Petit, divorando un'edizione dei drammi di Shakespeare, o ancora dipingendo i luminosi vigneti o gli uliveti grigio-argentei del paesaggio intorno Saint-Rémy. A questo periodo risalgono infatti ben centoquaranta dipinti, fra i quali la celeberrima ''[[Notte stellata]]'', oggi esposta al [[Museum of Modern Art]] di [[New York]].