Giovanni Testori: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Tolto la parola: autore, perché pleonastica, e ingannevole, par faccia riferimento all'autore del fondo e non della risposta.
Etichette: Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
Sintassi
Etichette: Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
Riga 132:
Il 10 settembre 1975 esce il primo articolo di Giovanni Testori sul «Corriere della Sera», una recensione della mostra su ''[[Bernardino Luini]]. Sacro e profano nella pittura lombarda del primo ’500'' aperta nell’agosto precedente al Palazzo Verbania di Luino. È l’inizio di una lunga collaborazione con la testata milanese, in un primo momento con articoli in recensione di mostre e libri, poi anche con commenti su diversi fatti di cronaca e cultura.
 
Interventi sempre di forte impatto, etico e morale, sull’opinione pubblica, che designano gli articoli di Testori quali successori ideali degli ‘scritti corsari’ di Pasolini, morto nel novembre 1975. Il primo articolo ad attirare l’attenzione della stampa è ''La cultura marxista non ha il suo latino'' (4 settembre 1977), un’energica risposta a un fondo di [[Giorgio Napolitano]] (''Intellettuali e progetto'', sulla prima pagina dell’«Unità» del 28 agosto 1977) in cui denuncia quello che è per lui l’«arrembaggio famelico» in atto degli intellettuali comunisti ai posti di potere: «A leggere l’articolo di Napolitano si trasecola; sembra che egli non abbia visto nulla di quanto è accaduto in questi penultimi ed ultimi tempi; della corsa, appunto, cui gli intellettuali si sono sottoposti per ‘sporcarsi’ nel raggiungere e arraffare le sedie del rapporto con la società; cioè a dire, del comando e del potere. Università, Musei, Soprintendenze, Teatri, Organi di Biennali, triennali e quadriennali». Il «grido non fu “il mio regno per un cavallo”, bensì “il mio cervello per un posto”; e i posti sono stati distribuiti; non bastando i già esistenti, se non creati di nuovi; altri se ne dovranno inventare nel prossimo futuro. Stando così le cose si domanda ulteriore ‘sporcizia’. Bene, staremo a vedere».
 
Le polemiche scatenano un dibattito a cui partecipano, tra gli altri, [[Franco Ferrarotti]], [[Lucio Lombardo Radice]], [[Alberto Abruzzese]] e lo stesso Napolitano. Lo scrittore risponde con un altro articolo (''Quanta gente indignata con me'', sul «Corriere della Sera» del 17 settembre 1977) esplosivo, anche nella prosa, traboccante di acida ironia per le reazioni al suo scritto: «Quali prefiche, quali vestali, quali amazzoni, quali Norme (o come altrimenti chiamarle?) principiarono fin dal mattino a urlare per entro i telefoni (no non a me che non uso frequentarle; bensì a qualche povero amico): “Hai visto?”; “Cosa”; “Ma è impazzito”, “impazzito come?”: “Impazzito! Ti dico che è impazzito!”. L’amico (più d’uno, in verità) stringeva spaurito il telefono tra le dita: “Mi vuoi capire o non vuoi capire? Ha fatto il loro gioco...”: “Il gioco? E quale gioco?”: “Il gioco della destra, anzi della reazione!”».