Isotta Fraschini: differenze tra le versioni

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Alla morte di Oreste Fraschini, i suoi fratelli e l'avvocato Isotta lasciarono l'azienda, che passò quindi nelle mani del conte Mazzotti (presidente) e di Cattaneo ([[amministratore delegato]]). Il [[1929]], anno del crollo della borsa di New York, vide la crisi della Isotta Fraschini, che fu costretta a svalutare il proprio capitale fino 9 milioni di lire, quando nel [[1924]] era di 60 milioni; in quel periodo, presidente e amministratore delegato dell'industria milanese, dopo ripetuti viaggi in [[USA]], riuscirono a convincere [[Henry Ford]] ad acquistare il pacchetto di maggioranza dell'azienda al prezzo pattuito di 230 lire per ogni azione quindi Ford acquistò 55.000 metri quadrati di terreno a [[Livorno]] per edificare un nuovo stabilimento di montaggio, ma le autorità italiane posero il veto dunque Ford decise di continuare la produzione nelle fabbriche milanesi, che sarebbero state ampliate. Nel 1930 l'accordo sembrava raggiunto: mancavano solo le firme sui contratti, ma altri industriali fecero pressioni sul governo per evitare una forte concorrenza.
[[File:Isotta Fraschini Auto & Technik Museum Sinsheim (6944066668).jpg|thumb|La [[Vittoria (divinità)|vittoria alata]] sulla [[Calandra (veicoli)|calandra]], simbolo della Isotta Fraschini]]
Infatti quando [[Giovanni Agnelli (1866-1945)|Giovanni Agnelli]] seppe del progetto di Ford, urlò al più fidato collaboratore: ''ma come, le mie officine languono, i miei operai lavorano 4 o 5 giorni aalla settimana e si permette a un costruttore straniero d'impiantarsi in Italia a togliermi l'ultimo boccone di pane?'' Agnelli si precipitò sul primo treno verso [[Roma]] dove incontrò tutti i responsabili governativi; poco dopo fu promulgata la ''legge Gazzera'' che così stabiliva: ''sono vietati nuovi impianti di fabbriche o ampliamenti di quelle esistenti senza previo consenso del Ministero della Guerra''. Il tanto sospirato consenso mai arrivò: a quel punto Ford capì la situazione e non volle insistere; con la rinuncia del grande industriale statunitense, l'Isotta Fraschini perse un'occasione irripetibile di eventuale sviluppo produttivo.<ref>editore Laterza, 1984, ''L'automobile italiana 1918-1943'' di Alberto Bellucci, capitolo ''Isotta la fine di un mito'', pag.71, 73.</ref>
 
Nel 1932 entrò in azienda l'ingegner [[Giovanni Battista Caproni|Giovanni Battista "Gianni" Caproni]], che decise di cessare la produzione della seconda versione della tipo 8 e di aumentare quella dei [[motore diesel|motori diesel]] su licenza [[MAN AG|MAN]]. La Isotta Fraschini entrò così a far parte del [[Caproni|Gruppo Caproni]]. Nel frattempo Cattaneo fu sostituito da [[Giuseppe Merosi|Merosi]], che aveva lavorato in precedenza in [[Alfa Romeo]] e [[F.I.V. Edoardo Bianchi|Bianchi]] mentre direttore generale divenne [[Prospero Gianferrari]] anche lui proveniente dall'Alfa Romeo.