Carmelo Bene: differenze tra le versioni
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Sarebbe fuorviante parlare di "influenza" ''tout court'' sull'opera beniana, considerata l'impossibilità di trovare raffronti e/o filiazioni storico-geografiche, e come scrive [[Piergiorgio Giacchè]], "chi conosce Bene e il suo teatro, sa che la sua ''singolarità'' è assoluta".<ref>Piergiorgio Giacché, ''Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale'', op. cit., tav. XV.</ref> Bisogna considerare inoltre il fatto che già dagli esordi Bene si è dichiarato una volta per tutte "allievo di sé stesso".<ref>Gilles Deleuze scrive: «Si potrebbe dire che Bene non è il primo a fare un teatro della non-rappresentazione. Si possono citare a caso Artaud, Bob Wilson, Grotowski, il Living [...] Ma non crediamo alle utilità delle filiazioni. Le alleanze sono più importanti delle filiazioni e Bene ha alleanze estremamente diverse con essi tutti. Appartiene a un movimento che agita profondamente il teatro di oggi. Ma appartiene a un movimento solo per quanto egli stesso inventa, non inversamente». (da ''Un manifesto di meno'', in [[Sovrapposizioni]], op. cit. pag. 89).</ref> 
Stabilita questa ''unicità'' e dando al termine "influenza" un valore puramente indicativo e convenzionale, possiamo allora dire che tra le non poche "influenze", più o meno decisive, riscontrabili nella sua opera, si possono citare: [[Dante Alighieri]], [[Giacomo Leopardi]], [[Marchese de Sade 
Fuori dal campo dell'arte e della filosofia, hanno contribuito alla sua formazione (oltre alla famiglia e all'ambiente nativo salentino naturalmente), le influenze sospese tra una probabile storia e l'immaginario come [[San Giuseppe da Copertino]], [[Lorenzaccio]], la non-storia dei Santi.<ref>Piergiorgio Giacché precisa che: « [...] troppo importanti sono, per la ''sua'' arte, i fondamenti e i riscontri che gli offrono via via le vite e le opere di santi, poeti, filosofi, scrittori, pittori, musicisti... Un elenco sarebbe troppo incompleto e una loro gerarchia risulterebbe inammissibile, giacché non si tratta di cogliere qua e là contributi o di saccheggiare citazioni: per Bene "la cultura deve essere l'aria (non un'aria o l'area)" [...] E se si sceglie di abitare nell'''aria'', non può che essere una necessaria e necessitante libertà d'associazione ciò che ci guida in una ricerca che è pur sempre alla fin fine di "poesia". Su tutto il ''resto'', che è appunto soltanto "teatro", Carmelo Bene si lascia andare piuttosto a un eccessivo ed eccedente libertinaggio». (''Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale'', op. cit., pagg. 59-60)</ref> Decisive furono inoltre le esperienze delle migliaia di messe servite, dove l'infante Carmelo incominciò quasi inconsapevole ad avere a che fare con "il teatro come incomprensibilità e come incomprensione tra officianti e spettatori"<ref>{{Cita|Bene e Dotto|p. 25}}.</ref>. Altra esperienza indimenticabile fu il mesetto, poi ridotto a due settimane, di permanenza in manicomio dove incominciò a rendersi conto del "linguaggio istituzionale normale" e quello "'scombinato o impeccabile" dei ''pazzi'', delle vere "macchine demolitrici"<ref>{{Cita|Bene e Dotto|pp. 102-111}}.</ref>. 
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