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Il 22 maggio [[1997]] il Parlamento approvò la «[[Legge Maccanico]]»<ref name=legge1997>{{Cita web |url=http://www.camera.it/parlam/leggi/97249l02.htm#legge |titolo=legge 31 luglio 1997, n. 249 |accesso=23 luglio 2007 |dataarchivio=22 dicembre 2018 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20181222232833/http://www.camera.it/parlam/leggi/97249l02.htm#legge |urlmorto=sì }}</ref>, dal nome di [[Antonio Maccanico]], ministro delle poste e delle telecomunicazioni del [[Governo Prodi I]]. Recependo il dettato della Corte, la legge vietava ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni o autorizzazioni che consentissero di irradiare '''più del 20 per cento''' delle reti televisive analogiche in ambito nazionale.
La norma istituiva l'[[Autorità per le garanzie nelle comunicazioni]] e, colmando una lacuna decennale, prevedeva l'approvazione di un «Piano nazionale delle frequenze». Nell'attesa dell'approvazione del Piano, il termine ultimo del regime di ''prorogatio'', fissato dalla legge Mammì all'agosto 1996, fu posticipato all'aprile 1998.<br />
La legge stabiliva inoltre che le "reti eccedenti", ovvero Rete 4 e [[TELE+ Nero]], avrebbero potuto continuare a trasmettere anche dopo il nuovo limite dell'aprile 1998, a patto che affiancassero alle trasmissioni analogiche quelle digitali (intese, alloraal tempo, unicamente come via cavo e satellitesatellitari; infatti non erano ancora diffusi segnali terrestri di tipo digitale), per permettere un passaggio graduale a queste ultime. Ma ciò sarebbe avvenuto solo quando la stessa Autorità avesse accertato che in Italia la diffusione di antenne paraboliche fosse ''congrua''. Termine, quest'ultimo che, non esprimendo una quantità, era lasciato alla discrezione dell'Autorità Garante.
 
==Il ricorso di Di Stefano==