Italo Balbo: differenze tra le versioni

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Al di là di queste imprese, Balbo dispiegò grande energia nell'imporre disciplina e rigore alla Regia Aeronautica sin da quando ne era segretario, accantonando gli aspetti romantici ed individualistici dell'aviazione pionieristica ed indirizzandola piuttosto a formare una forza armata coesa e disciplinata. I voli transoceanici in formazione furono un esempio di tale indirizzo: non più imprese individuali, ma di gruppo e minuziosamente programmate e studiate.<ref>{{Cita|Rocca 1993|p. 36}}.</ref> Così facendo però diede troppo peso agli eventi spettacolari, inducendo l'aviazione a dare troppa attenzione ai primati sportivi, senza ricadute positive sugli aerei usati per il normale servizio.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 222–223}}.</ref> Il prestigio accumulato dall'aviazione durante il ministero di Balbo, comunque, diede alle autorità italiane l'impressione di avere una forza aerea di prim'ordine.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|p. 223}}.</ref> È da rilevare che se Balbo avallò le idee di [[Giulio Douhet]] sull'aviazione strategica, nel contempo sostenne fattivamente la costituzione dello Stormo d'assalto sotto il comando di [[Amedeo Mecozzi]], incoraggiando lo sviluppo dell'aviazione tattica.
 
Balbo si avvalse di queste due linee di pensiero per raggiungere «l'unità organica della difesa dell'aria, e la necessità che sia esclusivamente affidata all'armata aerea, nella quale viene riunito tutto il complesso delle forze [...] disponibili», senza tuttavia dare all'aeronautica «una vera e propria dottrina di guerra fissata in canoni rigidi e immutabili» che, comunque, non era in grado di imporreiimporre ai capi dell'esercito e della marina, nonché agli industriali desiderosi di aggiudicarsi il più alto numero di commesse per allargare il già eterogeneo parco velivoli.<ref>{{Cita|Rocca 1993|pp. 24–25}}.</ref> È proprio per questo attaccamento alla guerra aerea indipendente che Balbo non affidò mai alcun incarico a Douhet e trasferì, nel 1937, il neo-promosso generale Mecozzi nella lontana Somalia.<ref>{{Cita|Rocca 1993|pp. 25–26}}.</ref> Si oppose alla concessione di bombardieri alla [[Regia Marina]]<ref>{{Cita|Rocca 1993|p. 24}}.</ref> e alla realizzazione di navi [[portaerei]], che riteneva avrebbero sottratto fondi e materiale alla Regia Aeronautica riducendo anche l'indipendenza della neonata arma aerea. La mancata realizzazione di portaerei influì negativamente sulle operazioni della Regia Marina nel secondo conflitto mondiale (vedasi [[battaglia di Capo Matapan]]), ma sarebbe un errore attribuirne la responsabilità alla sola opposizione di Balbo, vista la posizione conservatrice dei vertici della Regia Marina.<ref>{{Cita|Santoni 1987|}}.</ref><ref>{{cita|Giorgerini 2000|}}; {{Cita|Segrè 2000|}}.</ref>
 
=== In Libia ===
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Balbo ricevette la lettera in cui gli si comunicavano i nuovi compiti il 5 novembre 1933, rispose con un «Mio grande capo, sempre agli ordini!» e il 7 si recò da Mussolini per la consueta visita di congedo<ref>{{Cita|Rocca 1993|pp. 58–59}}.</ref>. Il ministero dell'aviazione ritornò nelle mani di Mussolini, che dimissionò anche [[Raffaello Riccardi]] da sottosegretario, mentre il generale [[Giuseppe Valle]] rimase [[Capo di stato maggiore dell'Aeronautica Militare|capo di stato maggiore]] e assunse anche l'incarico di Sottosegretario.
 
In questa nuova veste il generale Valle scrisse un rapporto segreto in cui dimostrò che Balbo aveva falsificato le cifre sull'effettiva consistenza numerica degli aeroplani, salvo essere accusato dal suo successore, [[Francesco Pricolo]], di aver fatto la stessa cosa.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 223–224}}.</ref> Data l'attitudine dei capi fascisti di mettersi in cattiva luce l'un l'altro agli occhi di Mussolini, le dichiarazioni di Valle sono da prendere con cautela: Balbo, nei fatti, fu certamente più energico e miglior organizzatore della maggior parte dei suoi colleghi.<ref name=smith224/> In ogni caso anche Mussolini, pochi giorni dopo averlo licenziato, lo informò che la cifra di {{formatnum:3125}} aeroplani in forza alla Regia Aeronautica da lui fornita era esagerata. Balbo dovette scusarsi chiarendo che aveva incluso nei conteggi anche gli aerei da addestramento, da turismo e addirittura quelli in produzione. Il vero numero degli aerei efficienti al combattimento era, secondo Balbo, 1.765{{formatnum:1765}}. Mussolini capì che la politica dei raid oltreoceano e dei primati, peraltro da lui sostenuta, aveva distolto l'attenzione dall'efficienza bellica dell'Arma azzurra.<ref>{{Cita|Rocca 1993|p. 59}}.</ref>
[[File:Balbo arrivo in LIbia genn 1934.jpg|thumb|left|upright=1.1|L'arrivo di Italo Balbo a Tripoli quale Governatore della Libia, il 16 gennaio 1934]] [[File:Balbo festeggiam Libia genn 1934.jpg|thumb|left|upright=1.1|Festeggiamento in onore di Italo Balbo nuovo Governatore della Libia. Tripoli, gennaio 1934]]
Il 16 gennaio 1934 sbarcò a Tripoli e lanciò un proclama: «Assumo da oggi, in nome di Sua Maestà, il governo. I miei tre predecessori, [[Giuseppe Volpi|Volpi]], [[Emilio De Bono|De Bono]], [[Pietro Badoglio|Badoglio]], hanno compiuto grandi opere. Mi propongo di seguire le loro orme». Balbo, in accordo con il piano di Mussolini,<ref name="smith141">{{Cita|Mack Smith 1992|p. 141}}.</ref> dette un fortissimo impulso alla colonizzazione italiana della Libia, organizzando l'afflusso di decine di migliaia di italiani e seguendo una politica di integrazione e pacificazione con le popolazioni [[musulmani|musulmane]] affermando che, diversamente dalle popolazioni dell'[[Africa Orientale Italiana|Africa orientale]], quelle libiche avevano un'antica tradizione di civiltà e che col tempo, grazie alla loro intelligenza e alle loro tradizioni, si sarebbero portate al di sopra del livello coloniale.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 142–143}}.</ref> Proprio in senso di questo proposito per prima cosa, una volta giunto in Libia, Balbo fece immediatamente chiudere (contro il volere di Mussolini) cinque campi di concentramento italiani creati contro le popolazioni locali. Ampliò la superficie del territorio nazionalizzato a {{formatnum:1250000}} acri e promosse la politica coloniale fascista che, pur prevedendo investimenti nelle infrastrutture, comportò l'esproprio di terre, la deportazione di popolazioni locali e la repressione sistematica di ogni resistenza alla dominazione italiana; in [[Cirenaica]] per rinsaldare la [[Riconquista della Cirenaica|sconfitta dei Senussi]], vennero confiscate le proprietà delle tribù e la loro struttura sociale distrutta, deportandone i membri per farne una riserva di manodopera a basso costo.<ref>{{Cita|Mack Smith 1992|pp. 141–142}}.</ref>