Dino Grandi: differenze tra le versioni

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Aveva scritto Grandi nei suoi diari, un paio di mesi prima del 25 luglio: «Siamo noi che, indipendentemente dal nemico, dobbiamo dimostrarci capaci di riconquistare le nostre perdute libertà. ... Mussolini, la dittatura, il fascismo, debbono sacrificarsi, ... debbono "suicidarsi" dimostrando con questo loro sacrificio il loro amore per la Nazione...».
 
Se Grandi considerava ormai finita l'esperienza fascista e riteneva quasi un «dovere fascista» l'''[[harakiri]]''il suicidio politico, Bottai attribuiva al Duce la responsabilità unica delle deviazioni e confidava che il fascismo (o forse l'altamente ideale concezione che ne nutriva) potesse presto risplendere di luce nuova appena caduto il suo discusso capo; Ciano, invece, pragmaticamente vedeva davanti a sé una soluzione «all'italiana»: Mussolini, sentenziò al suo interlocutore, «se ne andrà e noi in qualche modo ci aggiusteremo». E previde anche le prossime attribuzioni di alcuni ministeri. E, per rendere un servigio più completo, già che c'era gli previde anche i rimpasti («poi ci si scambierà i posti»).
 
Di Grandi, in verità, si è anche ipotizzato che l'eterno [[antagonismo]] col Duce, foriero di un lento strisciante [[rancore]] che aveva accompagnato le loro carriere sin dal [[1914]], fosse giunto a suscitargli un ''[[cupio dissolvi]]'' che nella raggiunta freddezza di modi avesse comunque preservato tutto intatto il furore della [[vendetta]] e tutta aperta l'[[ambizione]] alla [[wikt:vittoria|vittoria]] finale sull'avversario. Ma lo spessore dell'uomo e la sua esperienza internazionale rendono alquanto credibile che le note reperite sui suoi diari fossero espressione di una sincera convinzione politica e morale, la cui distanza dalle visioni ed esperienze mussoliniane ben potevano essere cagione del loro antagonismo.