Lucio Licinio Crasso: differenze tra le versioni

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|Cognome = Licinio Crasso
|Sesso = M
|PreData = [[Lingua latina|latino]]: ''Lucius Licinius Crassus''
|LuogoNascita =
|GiornoMeseNascita =
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Nel [[106 a.C.]] parlò in favore della ''lex Servilia'' di [[Quinto Servilio Cepio]], il cui scopo era quello di annullare la ''lex Sempronia'' di [[Tiberio Sempronio Gracco]] (122 a.C.), la quale aveva sancito che i giudici dovevano essere selezionati tra i [[ordine equestre|cavalieri]] e non tra i senatori. Nel [[103 a.C.]], mentre era [[edile]] curule assieme a Scevola, diede dei sontuosi giochi, nei quali per la prima volta si ebbero combattimenti di leoni.
 
Fu poi [[pretore (storia romana)|pretore]] e [[augure]], per poi essere eletto [[console (storia romana)|console]] assieme a Scevola per l'anno [[95 a.C.]]: insieme promulgarono la ''lex Licinia Mucia de Civibus Regundis'', che vietava ai non-cittadini romani di spacciarsi come tali e li obbligava a lasciare l'Urbe; fu il rigore di questa legge che contribuì allo scoppio della [[Guerraguerra sociale]]. Durante il consolato difese Servilio Cepio, che era odiato dai cavalieri per la sua ''lex Servilia'' ed era stato accusato di ''[[majestas]]'' da [[Gaio Norbano]], ma Cepio venne condannato.
 
Si occupò poi dell'amministrazione della [[Gallia Citerioreciteriore]], che condusse egregiamente, a parte una caduta di stile. Volendo ottenere onori militari, cercò lo scontro con dei nemici, ma non ne trovò; pensò allora di sottomettere delle tribù innocue e chiese il [[trionfo]] per questa azione: fu solo per l'intervento di Scevola che la cosa non ebbe buon fine.
 
Nel [[93 a.C.]] partecipò ad una delle cause legali più note dell'epoca, quella tra Marco Curio e Marco Coponio riguardo una eredità: Crasso difese Curio, mentre le parti di Coponio furono prese da Scevola, che era un ottimo avvocato. La causa verteva su di un testamento, fatto da un uomo che riteneva la moglie incinta di pochi mesi, e che lasciava i propri beni al figlio nascituro, a meno che questi non fosse morto prima dei quattordici anni, nel qual caso l'eredità sarebbe andata a Curio. Il figlio non nacque, e Scevola, difendendo l'interesse di Coponio, affermò che la clausola fosse stata annullata da questo fatto. Crasso, invece, affermò che l'autore del testamento non poteva distinguere tra il non verificarsi della clausola per morte del figlio dal caso in cui il figlio non fosse nato affatto, e quindi avanzava la richiesta di riconoscimento del ruolo di erede del suo cliente. La corte diede ragione a Crasso, e Curio ereditò.