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Il risultato di questa politica è la creazione di un mercato in cui alcuni possono vendere l'energia con maggiori margini di profitto rispetto ad altri, in modo da incentivare, almeno in teoria, modi di produzione dell'energia che dovrebbero ridurre la quantità di gas-serra (anidride carbonica ed altri).
Lo scopo è di utilizzare i meccanismi del libero mercato per incentivare determinati processi produttivi dell’energia, evitando un intervento diretto dello Stato, ma si manifestarono alcune distorsioni, vanificando in parte lo scopo primario di riduzione dei gas-serra. Infatti a causa della normativa italiana che concedeva questi sussidi anche alle fonti cosiddette ''assimilate alle rinnovabili'' (definizione tutta italiana e senza riscontri in Europa) parte dei fondi erano andati a fonti tutt'altro che rinnovabili e molto inquinanti quali la combustione di scorie di raffineria, sanse ed all'incenerimento dei rifiuti. Ci si ritrovò nella situazione paradossale in cui, scarti di raffineria, per il cui smaltimento in tutto il mondo i produttori erano costretti ad accollarsi dei costi, in Italia potevano essere bruciati e ricevere anche dei finanziamenti. Successivamente un secondo decreto Bersani ha corretto questo errore eliminando le "assimilate" e mantenendo unicamente il termine "rinnovabili".
 
L'incentivazione, se diventa eccessiva – ad esempio perché nel frattempo il costo della tecnologia cala molto – può provocare altre distorsioni, ad esempio nel caso dell'eolico.