Teoria dell'identità: differenze tra le versioni
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==Introduzione==
La '''teoria dell'identità''' sostiene che ci sia solo una [[realtà]] sostanziale: la realtà fisica, [[materialismo|materiale]]. Perciò la [[mente]] non può che essere qualcosa di materiale. La mente quindi viene considerata come identica al [[cervello]]: tutti i fenomeni mentali in realtà si identificherebbero con particolari stati o processi [[neurone|neurali]]. Così un preciso stato cerebrale ''è'' un preciso stato mentale. In questo modo si pensava di poter risolvere l'annoso problema dell'interazione mente-corpo.
I più importanti teorici della teoria dell'identità, diffusa negli [[anni 1950|anni cinquanta]], sono stati [[Ullin Place]] e [[John J. C. Smart]]. Tra i simpatizzanti troviamo anche [[Gilbert Ryle]] e [[B.F. Skinner]]. Non stupisce pertanto se la teoria dell'identità abbia trovato grande appoggio dal cosiddetto [[comportamentismo]].
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I teorici dell'identità, al contrario, pensano di superare questo pseudo-problema affermando che gli stati mentali non sono altro che stati cerebrali e quindi tutte le proprietà della mente sono in realtà possedute dal cervello.
Questo poneva i teorici dell'identità nella particolare situazione di negare l'esistenza dell'[[introspezione]] soggettiva e delle qualità esperite "fenomenologicamente" dal soggetto (i cosiddetti ''[[qualia]]'', ovvero qualità delle esperienze appartenenti al mondo essenzialmente privato del [[Soggetto (filosofia)|soggetto]], come i [[colore|colori]] o i [[sapore|sapori]]). In tal senso, gli stati mentali non erano altro che disposizioni a fare azioni peculiari
La teoria dell'identità accolse anche la sfida dei ''qualia'' e cercò di darne una soluzione compatibile con la propria epistemologia. Così, lo stato mentale del dolore ''è'' uno stato cerebrale che può consistere, per esempio, nella scarica di specifiche fibre nervose (fibre-C). Da questo punto di vista avvertire del dolore ''è'' avere le fibre-C che scaricano o vedere il rosso ''è'' avere certe cellule della [[corteccia cerebrale]] in uno stato specifico ([[teoria dell'identità tipo-tipo]]).
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Secondo Putnam non necessariamente gli stati mentali sono "esterni", cioè si manifestano sotto forma di comportamento verificabile intersoggettivamente. La connessione tra comportamento e stato mentale è meno stretta di quanto si possa pensare. Non è, infatti, necessariamente vero che una persona che avverte del dolore si metta a gemere o urlare, dando manifestazione del "dolore". Alcune persone potrebbero avvertire del dolore senza comportarsi minimamente nei modi comunemente associati al dolore (ad esempio, una persona allevata in una cultura analoga a quella dell'antica Sparta). Questo significa che se un soggetto X può reagire alla stimolazione delle fibre-C in modo diverso rispetto a quello comunemente riconosciuto, allora la stimolazione delle fibre-C non può essere identificata con il dolore, giacché, in questo caso specifico, il suo output non è riconducibile alla nostra categoria di "dolore".
In un altro scritto chiamato ''Psychological Predicates'' ([[1967]]), Putnam attacca direttamente la teoria dell'identità affermando che se lo stato mentale del dolore
Di fatto il [[Funzionalismo %28filosofia_della_mente%29|funzionalismo]] introduce nella spiegazione degli stati mentali non solo la componente input\output, tipica del comportamentismo e della teoria dell'identità, ma anche quella degli stati interni i quali, in base a procedure di elaborazione ([[algoritmi]]) su base neurale, sono in grado di determinare output specifici e adattativi.
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* Smart J. J. C., ''Sansations and Brain Processes'', «Philosophical Review», LXVIII, 1959, pp. 141-56; trad. it. Sensazioni e processi cerebrali, in A. De Palma, G. Pareti (a cura di), ''Mente e copro. Dai dilemmi della filosofia alle ipotesi della neuroscienza'', 2004, pp. 27-45
==Collegamenti interni==
[[Il problema
==Collegamenti esterni==
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