Andrea Pozzo: differenze tra le versioni
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Il Barocco è il più importante fenomeno artistico–culturale del 1600. L’ardito e possente dinamismo che lo contraddistingue si afferma pienamente a Roma, poi in breve tempo in Europa dopo alcuni eventi storici che scuotono le corti imperiali europee e il Papato. Il termine di derivazione spagnola “barrueco” significa “perla irregolare” come espressione di stravagante, bizzarro, imprevedibile e inconsueto. E’ la risposta “concreta e materiale” della Chiesa, alla Riforma Protestante dopo le direttive del Concilio di Trento che hanno il compito di risvegliare e rinvigorire la fede. Le città e i loro monumenti devono meravigliare l’osservatore con magnificenza, stupore, scenografie e decorazioni per colpire, stordire nei sensi. Né è esempio geniale la sistemazione urbanistico-simbolica di piazza S.Pietro del Bernini che con le sue grandi braccia colonna, accoglie i fedeli del mondo. Lo spazio barocco in tutte le sue manifestazioni è dinamico caratterizzato da linee curve, forme circolari, spirali, volute, stucchi, dorature, parti concave e convesse in continua evoluzione. Le espressioni e i linguaggi dell’arte in pittura, scultura, architettura, si uniscono in un complesso unitario con effetti “pittorici” attraverso la luce e l’ombra, sporgenze e rientranze con decorazioni preziose. La linea curva, tortile, sostituisce la staticità rinascimentale in ogni componente realizzato, dalla grande piazza al più piccolo elemento è atomo del movimento tradotto in tensioni e in forma. L’acqua ne diviene il simbolo per eccellenza mobile alla luce, alle superfici, nelle fontane romane è simbiosi con la materia, lo spazio-piazza, gli effetti scenografici che crea in mutazione continua nelle fasi del giorno. Se caliamo questi fattori visivi nella lettura del nostro altare ci accorgiamo di come sia rappresentativo e qualitativamente alto il suo vigore barocco. Anche Verona adotta le direttive di guida del Papato, vengono chiamati da Roma diversi artisti molto famosi per le loro realizzazioni romane e tra questi Andrea Pozzo padre gesuita, che con Guarino Guarini influenzeranno in modo determinante gli architetti e i lapicisti veronesi che abbandoneranno i candidi marmi sanmicheliani per spiccate ricerche cromatiche con complesse realizzazioni plastiche. Andrea Pozzo nasce a Trento nel 1642, pittore, teorico della prospettiva e architetto, noto in tutta Europa, a Roma esegue opere notevoli affrescando la volta e l’abside della chiesa di S. Ignazio. Massimo esponente del barocco romano, mirabile creatore di effetti ottici di sfondamento spaziale e prospettico, con scene complesse di figure e architetture, muore dopo una frenetica produzione artistica, a Vienna nel 1709. Dell’altare di S. Sebastiano colpisce la sua maestosa grandezza, a tratti compressa dai limiti circostanti dell’attuale collocazione, in origine posto nella chiesa omonima a Verona in via Cappello, distrutta nei bombardamenti dell’ultima guerra mondiale. La linea curva evidenzia l’insieme e ricorre su tutti i piani di profondità: dalle balaustre, alle porte laterali con volute, all’abside centrale, fino agli elementi che sovrastano le colonne. Quest’ultime dominanti sono posizionate sfalsate su dei basamenti ruotati di 45 gradi, a spigolo vivo, per accentuare il senso della profondità e le vibrazioni luminose, scendono con i loro fusti e lesene fino al piano della Mensa dell’altare. Nel contempo accentuano la verticalità dell’insieme, terminanti nei raffinati capitelli corinzi con volute e foglie d’acanto, che si avvitano nella fascia più alta e ne scaricano il peso. Notevole è il risultato estetico dei marmi policromi, pregiati nella materia, con i loro colori sottolineano tutte le bande compositive dell’altare, rimarcando quadri modulari in successione ritmica e invitando l’occhio a percorrere lo spazio dal basso verso l’alto. Notevole è la sensazione che si prova muovendosi nel presbiterio, nel leggerlo nelle sue parti compositive da posizioni ravvicinate o dal basso verso l’alto dove si percepisce il suo dominio sullo spazio e sulle persone. Al centro vi era collocata una grande tela del pittore veronese Antonio Balestra, ora in Castelvecchio, al suo posto la statua di S.Sebastiano opera del vicentino Orazio Marinali. La figura scolpita è in marmo bianco, si richiama nell’impostazione alla classicità, ma del barocco raccoglie l’inquietudine, le tensioni della tragicità dell’evento che si compie, le vigorose anatomie che creano a contatto con la luce effetti chiaroscurali morbidi o accesi, fanno risaltare la massa acromatica in netto contrasto con la varietà dei colori che la circondano. La figura del santo è originata da direttrici circolari concave e convesse che determinano l’ossatura compositiva, la trasformano da blocco statico in dinamico. La testa è ruotata leggermente all’indietro, il volto verso l’alto sottolinea mirabilmente l’accettazione al martirio. La luce percorre le superfici esaltando le decorazioni con risultati dati proprio dall’insieme delle rientranze e delle sporgenze. Nelle scenografie barocche il tutto doveva concorrere a un vitale rapporto con lo spazio circostante, dove tutte le arti si fondono con risultati di notevole efficacia ed esuberanza come nell’altare di S.Luca a Verona di Andrea Zanoni datato1702. Sull’asse centrale di simmetria del nostro altare gli emblemi, segni rappresentativi dei valori cristiani. In basso l’urna delle reliquie testimonia la fede vissuta, la Mensa con il tabernacolo impronta dell’Eucarestia viva, il tempietto-ciborio sorretto da angeli è la Gloria e nella parte più in alto lo Spazio Divino rappresentato dalla Madonna tra gli angeli sovrastato dal medaglione con il Bambino Gesù. Le sculture, che ornano l’altare in marmo bianco, dai putti reggi medaglioni, agli angeli berniniani, ai decori, alle volute ad onda, ai cartigli, alale colombe, alle corone vegetali o alle nuvole creano e completano lo spettacolo scenico. Nonostante il tempo, in questo luogo sacro si rigenera l’incanto di questa realizzazione marmorea che signorilmente nel suo sfarzo rende maestosa tutta la chiesa, non la sottrae alla preghiera e al silenzio della meditazione. Altro aspetto di non secondaria importanza è il fatto inimmaginabile che un altare di questa sorta possa trovarsi in un piccolo paese e l’abilità che i nostri nonni hanno avuto nel condurlo fin qui. Le ragioni che motivarono la Chiesa del XVII secolo verso questi monumentali allestimenti sono in parte superate, ma conservano inalterato tutto l’impatto emotivo e scenico che lo spettatore avverte nella loro grandezza, la bellezza della creatività dell’uomo tradotta in immagini e volumi.
▲ per poi passare a [[Roma]] ed infine approdare in [[Austria]]. Durante i suoi viaggi non mancò di lasciare il segno tangibile della sua presenza nelle città dove sostava: ne danno ancora testimonianza alcune opere custodite ad [[Arezzo]], [[Montepulciano]], [[Modena]] e [[Como]], località che videro l'artista all'opera soltanto per periodi brevi e passeggeri.
Nel [[1665]] si sposta a [[Milano]], dove, presso la [[S. Fedele (chiesa)|chiesa di S. Fedele]], entra nella [[Compagnia di Gesù]], alle cui glorie celebrative sarà legata quasi l'intera sua produzione artistica: raggiunse soltanto il grado di coadiutore, in base al quale gli spetta il titolo di fratello e non quello di padre, che spesso gli viene ancora attribuito. Proprio a Milano ebbe modo di continuare a perfezionare la sua formazione artistica, lavorando come aiuto del [[Francesco Maria Richini|Richini]]. Di qui si reca in [[Liguria]]: è attivo a [[Genova]], nella [[chiesa del Gesù e dei Santi Ambrogio e Andrea (Genova)|chiesa di S. Ambrogio]], dove realizza una ''Immacolata e S. Francesco Borgia'', e poi nella Collegiata di [[Novi Ligure]], dove troviamo una sua ''Predicazione di S. Francesco Saverio'', e infine a [[Sanremo]]. Torna nuovamente a Milano, per recarsi, nel [[1675]], a [[Torino]] su invito della corte, per le decorazioni della chiesa gesuita dei Ss. Martiri; lo vediamo poi attivo a [[Mondovì]] nel [[1676]], impegnato ad affrescare la [[chiesa di S. Francesco Saverio]], detta poi della Missione, lavoro che lo occuperà per due anni. Successivamente opera nella chiesa di S. Bartolomeo a Modena, affrescandone la volta del presbiterio e del coro. In questi lavori, soprattutto in quest’ultimo, è possibile gustare già tutti i presupposti della sua visione figurativa e prospettica, tutte le arditezze e stravaganze che caratterizzarono la sua copiosa produzione e che troveranno la massima espressione nel periodo romano. Nel [[1681]] viene chiamato a Roma dal generale della Congregazione, [[Gian Paolo Oliva]], su suggerimento del celebre pittore [[Carlo Maratta]], attivo in quel periodo nell'Urbe. Lo scopo della convocazione era legato al completamento degli affreschi del corridoio della Casa Professa, lavoro lasciato incompleto dal Borgognone. A Roma il nostro artista rimase quasi un ventennio, fino al [[1702]], ed ebbe modo di approfondire i suoi studi sulla prospettiva e perfezionare la sua tecnica pittorica, dando vita, grazie alla sua grande perizia e al suo estro, a veri e propri capolavori.
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