Paralisi cerebrale infantile: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
mNessun oggetto della modifica
Riga 17:
Descrizioni di bambini affetti da patologie del movimento si ritrovano già nell'antica Mesopotamia. Nell'ambito della letteratura europea occorre citare il protagonista del Riccardo III di [[Shakespeare]], che parla di sé come di un sopravvissuto, con pesanti esiti, a una difficile nascita prematura: "''...deforme, incompleto, inviato prima del tempo in questo mondo che respira, sbozzato solo per metà, e così claudicante e goffo che i cani latrano contro di me, quando passo loro accanto.''"
 
I primi resoconti clinici moderni si devono però a John Little, un ortopedico inglese di epoca vittoriana, che da bambino aveva contratto la poliomielite e che nel 1861 pubblicò uno studio nel quale veniva per la prima volta indagata la correlazioonecorrelazione tra spasticità e asfissia nel corso del parto.
 
Nel 1897 [[Sigmund Freud]], allora ancora impegnato nel campo della neurologia, pubblicò il suo lavoro "La paralisi cerebrale infantile", nel quale venivano analizzati i quadri clinici e anatomopatologici della malattia con sorprendente lucidità: molte delle sue descrizioni e intuizioni conservano infatti la loro validità ancora oggi.
Riga 106:
Nel '''neonato prematuro''' i meccanismi etiopatogenetici responsabili del danno cerebrale sono correlati ai due quadri della ''emorragia intraventricolare'' e della ''leucomalacia periventricolare''. Entrambi danno luogo a fenomeni di degenerazione della sostanza bianca che circonda i ventricoli cerebrali. Poiché si tratta della zona in cui decorrono le fibre che collegano gli arti inferiori alle corrispondenti aree cerebrali motorie e di elaborazione sensoriale, l'esito è solitamente una forma diplegica.
 
Nel '''neonato a termine''' può verificarsi una ''asfissia generalizzata'', con danno diffuso dell'intero encefalo, che si manifesta come una tetraplegia; oppure, nel caso di ununa ''occlusione di un'arteria cerebrale'', la lesione può verificarsi in parte o in tutto un emisfero cerebrale, determinando un'emiplegia di gravità variabile.