Adrogatio: differenze tra le versioni

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{{A|decontestualizzato, si parla di diritto romano?|diritto|febbraio 2009}}
 
Nel [[diritto romano]] l<nowiki>'</nowiki>'''''adrogatio''''' (tradotta in [[lingua italiana|italiano]] con il disusato ''arrogazione'') era un istituto del [[diritto di famiglia]] mediante il quale un [[cittadino]] poteva assumere sotto la propria ''[[potestas]]'' un altro cittadino libero consenziente, il quale ne diveniva pertanto [[filiusfamilias]].
 
L'istituto è nettamente distinto da quello dell'''[[adozione|adoptio]]'' anche per il requisito di libertà da altre potestà genitoriali o tutorali richiesto all'adrogato, che doveva essere ''sui iuris'', appunto non soggetto ad alcuna limitazione della sua piena condizione di uomo libero. In ogni caso, una definizione efficace viene da [[Gellio]]:
{{quote|''Cum in alienam familiam inque liberorum locum extranei sumuntur, aut per praetorem fit aut per populum. Quod per praetorem fit, "adoptatio" dicitur, quod per populum, "arrogatio"''|[[Gellio]], ''[[Noctes Atticae]]'', V.19.1-13}}
La definizione di Gellio è del resto assai prossima a quella datane da [[Gaio]]:
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L'adrogato, inoltre, passava a questa potestà insieme con la sua eventuale [[famiglia]] propria (coniuge e discendenti), ed a tutti suoi componenti si applicava la ''[[deminutio capitis|capitis deminutio minima]]'' mentre mutava lo ''status familiae''. Fra i tanti effetti dell'atto, la famiglia dell'adrogato assumeva il [[culto]] osservato dall'adrogante ed era tenuta a praticarlo. Proprio questo aspetto, comportante una importante conseguenza di carattere religioso, lo rendeva bisognevole di speciali attenzioni e tutele e le procedure di adrogatio erano perciò seguite dai [[pontefice (storia romana)|pontefici]], che dovevano verificare che non comportasse svantaggio per l'adrogato e che fosse conforme allo ''[[ius sacrum]]''. L'accettazione del culto praticato dall'adrogante comportava inoltre l'atto espresso della ''[[detestatio sacrorum]]'', con il quale l'adrogato rinnegava il culto precedentemente praticato<ref>Fabrizio Daverio, ''Sacrorum detestatio'', in ''Studia et Documenta Historiae et Iuris'', XLV, 1979</ref>.
 
Il doppio controllo, dei pontefici e del popolo, comunque espresso, rappresentava la portata giuridica dell'atto rispetto, oltre che alla detta questione rligiosa, in particolare alla condizione del ''paterfamilias'' che accettasse di farsi adrogare da chi sarebbe divenuto a sua volta suo ''paterfamilias'': dalla pienezza del condursi ''sui iuris'', l'adrogato entrava infatti in condizione di ''alienis iuris'', comportante l'indisponibilità del patrimonio personale e familiare. Non fu raro il sospetto che l'istituto foss e usato per impossessarsi del patrimonio dell'adrogato<ref>Maurizio D'Orta, ''Saggio sulla "heredis institutio" - Problemi di origine'', Torino, 1996</ref>, con una ''successio per universitatem inter vivos''; successero casi in cui l'adrogato fosse successivamente [[emancipazione|emancipato]], con conseguente spoglio dei suoi beni originari. Per contro, i debiti dell'adrogato venivano abbuonati, dunque dal [[I secolo]] fu necessario istituire maggiori controlli ad evitare usi fraudolenti dell'atto<ref>Antonio Guarino, ''Diritto privato romano'', Jovene, Napoli, 2001</ref>. L'adrogante, perciò, a partire dal [[I secolo a.C.]], doveva prestare [[giuramento]] garantendo di agire con [[onestà]] negli interessi dell'adrogato; al giuramento seguiva la presentazione dinanzi ai [[comizi curiati]] i quali procedevano alla [[rogatio]], interrogazione con quale si chiedeva all'adottante (''pater adrogans'') se intendesse adottare l'adottando, all'adottando se intendesse essere adottato, ed al ''populus'' se approvasse l'adozione. Circa l'approvazione del ''popuplus'', questa ebbe diverse forme nel corso del tempo: mentre inizialmente si ricavava da votazione, fu successivamente certificata mediante una ''lex curiata'', e dopo la fine della repubblica delegata alla delibazione dei 30 [[Littore|littori curiati]], sebbene questo passaggio divenisse nel tempo sempre più meramente formale.
 
La qualificazione del passaggio di riscontro popolare, invero, insieme con la sua valutazione giuridica, non è pacifica in dottrina. Le divergenze si riflettono anche sulla valutazione della natura stessa dell'atto, anche considerata la sua evoluzione nel tempo soprattutto in ordine proprio all'intervento del popolo. Per alcuni autori si tratta di un [[negozio giuridico]] per [[atto pubblico]].
 
Con [[Antonino Pio]] ([[II secolo]]) cadde, per effetto di una sua nota ''epistula'' ai pontefici, il divieto di adrogare i pre-puberi<ref>Nel senso giuridico della pubertà per l'ordinamento romano</ref>; sino a questa decisione infatti potevano essere adrogati solo i ''puberes sui iuris'', dopo l'epistola invece l'adrogabilità fu ammissibile a condizione di stabilire una riserva [[successione|successoria]], una sorta di quota di "legittima" corrispondente ad un quarto del [[patrimonio]] dell'adrogante. Questa legittima, detta ''quarta divi Pii'', sarebbe spettata se l'adrogante fosse morto prima che l'adrogato raggiungesse l'età della ''[[pubertas]]''<ref>Guido Donatuti, ''Contributi allo studio dell'adrogatio impuberis'', Bollettino dell'Istituto di Diritto Romano, 1961, ISSN 0391-1810</ref><ref>Leoncio Sara Sàenz, ''[http://www.juridicas.unam.mx/publica/librev/rev/boletin/cont/2/art/art4.pdf La adrogatio impuberis]''</ref>.
 
Con [[Diocleziano]] ([[III secolo]]) fu invece consentita l'adrogatio delle femmine, sino ad allora escluse indipendentemente dall'età. Questo imperatore si occupò anche di un grave problema pratico consistente nella mancanza di comizi curiati nelle province dell'Impero, causa dell'impossibilità di ricorrere a questo istituto a distanza da [[Roma]]. Nacque dunque la ''adrogatio ex indulgentia principali'', poi divenuta fonte unica nell'intero territorio soggetto all'Urbe. Questa forma richiedeva un apposito [[rescritto]] dell'imperatore, ed era perciò anche detta ''per rescriptum principis''.
 
Oltre alla formula rescrittoria, [[Giustiniano]] ([[VI secolo]]) mantenne la distinzione fra adrogatio ed adoptio, continuando la prima ad essere riservata ai cittadini ''sui iuris'' e la seconda destinata alle persone ''alieni iuris''.
 
Un accostamento di interesse dottrinale ha rilevato caratteri comuni fra la ''adoptio per testamentum'' (adozione [[post mortem]]), e l'adrogatio, tanto da far definir la prima (che si legge solo in fonti letterarie del periodo tardo-repubblicano, non reperendosi in fonti giuridiche proprie) come una sorta di ''adrogatio postuma''<ref>A. Berger, B. Nicholas, ''Adoptio''.</ref> Determinata secondo alcuni<ref>Stanislaw Cierkowski, ''L'impedimento di parentela legale: analisi storico-giuridica del diritto canonico e del diritto statale polacco'', Pontificia Università Gregoriana, 2006, ISBN 8878390712</ref> da probabili influssi greci, l'adozione testamentaria produceva effetti simili a quelli dell'adrogatio: acquisizione del nome<ref>Sebbene fosse possibile richiedere l'esenzione da questo obbligo</ref> e del patrimonio, fusione delle famiglie. Mancava evidentemente l'accettazione della ''patria potestas''. L'adozione testamentaria è nota per essere l'atto con il quale [[Giulio Cesare]] adottò [[Ottaviano]], il quale infatti ne ereditò il nome (''<u>Gaius Iulius Caesar</u> Octavianus Augustus'').