Resilienza (psicologia): differenze tra le versioni

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[[Andrea Canevaro]] in “Bambini che sopravvivono alla guerra”<ref>A. Canevaro, A. Malaguti, A. Miozzo, C. Venier (a cura di), "Bambini che sopravvivono alla guerra", Trento, Erickson, 2001</ref> definisce la resilienza come “la capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo uno spazio al di là di quello delle invasioni, scoprendo una dimensione che renda possibile la propria struttura”.
 
E’È inoltre una capacità che può essere appresa e che riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita, in particolare i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l’acquisizione di comportamenti resilienti.
 
Applicato a un'intera [[comunità]], anziché a un singolo [[individuo]], il concetto di resilienza si sta affermando nell'analisi dei contesti sociali successivi a gravi catastrofi di tipo naturale o dovute all'azione dell'uomo quali, ad esempio, attentati terroristici, rivoluzioni o guerre (Vale e Campanella, 2005) <ref>Lawrence J. Vale and Thomas J. Campanella, editors, The Resilient City: How Modern Cities Recover from Disaster. New York: Oxford University Press, 2005. xiv + 376 pp. , ISBN: 0-19-517583-2.</ref>. Vi sono difatti processi economici e sociali che, in conseguenza del trauma costituito da una catastrofe, cessano di svilupparsi restando in una continua instabilità e, alle volte, addirittura collassano, estinguendosi. In altri casi, al contrario, sopravvivono e, anzi, proprio in conseguenza del trauma, trovano la forza e le risorse per una nuova fase di crescita e di affermazione.