Cosacchi: differenze tra le versioni

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La politica di "decosacchizzazione" ebbe il suo culmine nel 1925, allorché il [[plenum]] del [[Comitato centrale del Partito comunista bolscevico]] pose fine alla tutela delle particolarità dei cosacchi e varò misure atte a cancellare quanto restava delle loro tradizioni.
 
Durante la [[seconda guerra mondiale]] essi combatterono tenacemente contro gli invasori delle truppe dell'Asse, tuttavia parte di loro, memori delle politiche di "decosacchizzazione" subite ad opera dei [[bolscevichi]] e lusingati dalla prospettiva di riguadagnare la perduta autonomia, passarono nelle file tedesche, parte nella [[Wehrmacht]] e parte nelle [[Waffen-SS]]. Gran parte dei volontari cosacchi furono inquadrati nell’armata del generale [[Andrej Andreevič Vlasov|A.A. Vlassov]]. Con il deteriorarsi della situazione sul fronte russo, i cosacchi furono ridislocati assieme alle loro famiglie in [[Carnia]] e nell’alto [[Friuli]] (''[[Operazione Ataman]]''), dove vennero impiegati anche contro le formazioni partigiane italiane e jugoslave, rendendosi però responsabili di violenze pure contro la popolazione civile.
 
Alla fine del conflitto, arresisi alle truppe britanniche, furono rimpatriati forzatamente o con l'inganno, assieme a mogli e figli, dagli [[Alleati]], in ottemperanza degli accordi intercorsi durante la [[conferenza di Yalta]]. Tra essi molti non erano neppure cittadini sovietici, giacché fuoriusciti, come sopra ricordato, negli anni venti. Durante il rimpatrio ebbero luogo diversi episodi di suicidio collettivo. Coloro i quali giunsero a destinazione furono fucilati, impiccati o internati nei gulag, sorte condivisa dai prigionieri di guerra dell'[[Armata Rossa]] rimpatriati, giacché [[Stalin]], per questa sola ragione, li considerava traditori (la [[Duma]], il 12 giugno 1992, ha approvato una risoluzione per la riabilitazione dei cosacchi quali vittime dello stalinismo).