Regolamento parlamentare (ordinamento italiano): differenze tra le versioni
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Con la sentenza 154/1985, la [[Corte costituzionale della Repubblica italiana|Corte Costituzionale]] ha negato di poter giudicare la legittimità costituzionale dei regolamenti parlamentari, in quanto non rientrano nella categoria di "Leggi e atti con forza di legge", su cui la corte ai sensi dell'art.134 della Costituzione è chiamata a pronunciarsi. La corte costituzionale ha ritenuto quindi che la potestà regolamentare di cui le due camere sono dotate, garantisca un'indipendenza dei regolamenti parlamentari anche dalla corte costituzionale e dai suoi [[giudizi di legittimità]].
Questo può essere considerato retaggio di un principio antico, secondo il quale, per tutelare nel modo più completo l'indipendenza del potere legislativo, ciò che accadeva all'interno delle camere era assoggettato al particolare regime degli ''Interna corporis'', e non poteva dunque essere sindacato dall'esterno.
Sebbene abbia escluso in via generale la possibilità di sindacare la legittimità costituzionale dei regolamenti parlamentari, la Corte ha d'altra parte ammesso come questi possano costituire oggetto di [[Conflitto di competenza|conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni]] (sent. 14/1965) e [[Conflitto di attribuzione|conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato]] (impedendo, per esempio, alle minoranze di esercitare la loro funzione). Inoltre, le norme costituzionali relative al procedimento di formazione delle leggi non potranno essere derogate dai regolamenti parlamentari, e le Camere non potranno opporre che si tratti di questioni interne all'organo (sent. 9/1959), Questo vuol dire che i
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