Cecilio Stazio: differenze tra le versioni
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La figura di Cecilio si pone in un certo senso in una posizione intermedia tra Plauto e Terenzio. Alcuni indizi orientano in questa direzione: molti frammenti a noi noti si inscrivono benissimo nell'atmosfera del teatro plautino; c'è anche qui infatti una grande ricchezza di metri, vivace fantasia comica, gusto per la farsa.
A differenza di Plauto però Cecilio sembra essere più fedele ai modelli greci della [[Commedia Nuova]] ateniese, e in particolare si mostra un grande amante di [[Menandro]], a opere del quale fanno riferimento quasi la metà dei titoli di Cecilio che conosciamo; in generale i suoi titoli sono riproduzioni, sovente molto fedeli di titoli di commedie greche.
L'interesse per Menandro e la maggiore fedeltà al modello greco di volta in volta adottato sono caratteri che avvicinano Cecilio a Terenzio e sono un chiaro sintomo della progressiva ellenizzazione sempre più dotta della cultura romana in questo periodo.
Dal punto di vista contenutistico è rimarchevole la presenza di una consapevole indagine sulla condizione umana, che si esplica in numerose sentenze (vedi ad esempio nel brano riportato in questo articolo, la sentenza di apertura).
Nelle [[Nottes Atticae]] di Gellio si trova il più interessante frammento di Cecilio rimasto,
Si trattava di prendere spunto dai modelli greci, più o meno fedelmente a seconda del periodo e dell'autore, anche prendendo interi brani e traducendoli e riassemblandoli in nuovi modi, per creare nuove situazioni drammaturgiche originali.
In effetti i due brani analizzati da Gellio mostrano che Cecilio ha qui riadattato Menandro con una notevole libertà, indizio che, come Plauto, non aveva interesse a riproporre passivamente le situazioni già note nei modelli e ottimamente rese da questi, ma trarre spunto per creare opere autonome all'insegna di una poetica personale e originale.
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