Giovanni Valentino Gentile: differenze tra le versioni
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La sua concezione consisteva in sostanza in un [[triteismo]]; già non si sarebbe dovuto nemmeno parlare di tre persone della Trinità - egli afferma - perché il concetto di persona è inesistente nelle Scritture, e piuttosto quello che viene definito «Padre» è in realtà «Dio per se stesso», non generato e di essenza divina: egli ha trasmesso l'essenza divina - e in questo senso Dio è «essenziatore» - a Cristo e allo Spirito, che pertanto sono «essenziati», divini ma non eguali a Dio, in quanto essi non sono fonte del divino.<ref>A. M. de' Liguori, ''Storia delle Eresie'': «Diceva che nella Trinità concorrono tre cose: l'Essenza, ch'era il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Padre è l'unico e vero Dio essenziatore, il Figlio e lo Spirito Santo sono essenziali. Egli non dava al Padre la persona di Padre, perché secondo lui quella essenza per se stessa era il vero Dio. [...] E così Valentino negava essere tre persone della stessa essenza [...] riconosceva egli in Dio tre spiriti eterni, ma dicea che fuori del Padre gli altri due erano minori di lui, mentre il Padre avea dato loro due divinità diverse dalla sua».</ref> Nelle ''Controversiae'', [[Roberto Bellarmino|Bellarmino]] sostiene che Gentile trarrebbe la propria teologia da [[Giovanni Filopono]], un [[triteismo]] dove le tre figure hanno essenza divina ma sono «distinte per ordine, grado ed essenza».<ref>S. Calonaci, ''Gentile Valentino'', 1998, ad vocem.</ref> A Calvino, in particolare, Gentile contestava di aver costruito una teologia sostituendo alla tradizionale Trinità una «quaternitas», avendo attribuito essenza divina tanto alle tre singole persone che al Dio inteso indipendentemente dalla sua ipostasi, a Dio in quanto Dio e non in quanto Padre.
Mentre Nicola Gallo preferì cedere immediatamente, abiurando le precedenti convinzioni, Gentile affrontò il processo, condotto da Calvino in persona, fiducioso di poter far valere le proprie ragioni, ma le dure condizioni della prigionia, il rifiuto di accordargli l'assistenza di un avvocato e la minaccia che alla mancata sottomissione poteva solo derivare la condanna a morte, finirono con il piegarlo: dopo aver dichiarato, con malcelata ironia, che i giudici non credevano a lui, che pure era sveglio, ma pittosto «ipsis vel somniantibus», e aver definito Calvino «rarissimo ministro di Dio e sommo teologo», Gentile sottoscrisse una confessione di fede ortodossa.<ref>H. Fazy, ''Procés de Valentin Gentilis et de Nicolas Gallo'', 1879, p. 86.</ref>
Fu costretto a percorrere seminudo e con un cero in mano le vie di Ginevra, sconfessare e bruciare con le proprie mani i suoi scritti; ma anche dopo quella umiliante cerimonia rimase in carcere. Riuscì a evadere e fu successivamente in [[Francia]], ospite di Matteo Gribaldi, e in [[Polonia]], da cui fu tuttavia espulso nel [[1565]]. Dopo un soggiorno in [[Moravia]] e in [[Austria]], ritornò in Svizzera, a [[Berna]] ([[1566]]), dove venne tuttavia subito arrestato dopo l'accusa di [[empietà]] rivoltagli dal successore di Calvino [[Teodoro di Beza]]<ref>Theodore de Beze. ''Valentini Gentilis Teterimi haeretici impietatum ac triplicis perfidiae etperiurii breuis explicatio ex actis publicis senatus Geneuensis optima fide descripta. Eiusdem Gentilis extremae perfidiae, & iusti supplicij de eo sumpti, historia seorsim est excusa''. Geneuae, 1567.</ref>. Durante il processo non volle abiurare e fu condannato come eretico al [[rogo]], pena mitigata poi in quella della [[decapitazione]]<ref>Benedictus Aretius. ''Valentini Gentilis iusto capitis supplicio Bernae affecti breuis historia: & contra eiusdem blasphemias orthodoxa defensio articuli de sancta Trinitate. Censura propositionum, quibus nituntur Catabaptistae in Polonia probare Baptismum non successisse circuncisioni. Autore D. Benedicto Aretio, Bernensis ecclesiae doctore theologo''. Geneuae, ex officina Francisci Perrini, 1567.</ref>.
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