Storia di Bivona: differenze tra le versioni

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==Età antica==
=== Il periodo preistorico e greco (III millennio a.C. - VIII secolo a.C.)===
====Ritrovamenti archeologici====
Numerosi ritrovamenti archeologici hanno confermato la presenza umana nel territorio di Bivona a partire dall'[[età del rame]] ([[III millennio a.C.]])<ref> {{cita libro|nome=Antonino|cognome=Marrone|titolo=Bivona città feudale vol. I|anno=1987 |editore=Salvatore Sciascia Editore |città=Caltanissetta-Roma|cid=Antonino Marrone, 1987 I}} Pag. 40.</ref>, quando i [[Sicani]] abitavano la maggior parte dell'Isola, chiamata appunto [[Sicania]]. Lo studio e l'analisi dei ritrovamenti archeologici nel territorio di Bivona sono stati effettuati soprattutto dai bivonesi [[Cesare Sermenghi]] e Salvatore Midulla, autore, nel [[1981]], del libro ''Bivona, le origini e prime vicende storiche''. Alcuni cocci di ceramica Serraferlicchio testimoniano un insediamento risalente all'[[Eneolitico]]<ref>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|40}}.</ref>; in un ''piccolo pianoro di modeste dimensioni'', grazie al ritrovamento di alcune ceramiche appartenenti alla ''facies'' di [[Sant'Angelo Muxaro]] (AG), è testimoniato un insediamento risalente all'[[VIII secolo a.C.]]<ref>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|41}}.</ref>, sul [[Monte delle Rose]] che sovrasta Bivona.
 
 
====Pollicia====
Pollicìa è una contrada bivonese sita lungo la strada provinciale Bivona-Ribera, nella parte ovest del territorio bivonese, al confine con il territorio di Palazzo Adriano. In questa zona, ex feudo, sono stati ritrovati vari reperti archeologici<ref> {{cita libro|nome=Cesare|cognome=Sermenghi|titolo=Mondi minori scomparsi|anno=1981|editore=Il Vertice/Libri Editrice|città=Palermo|cid=Cesare Sermenghi, 1981}} Pag. 29.</ref>, tra cui i succitati cocci di ceramica dello stile di Serraferlicchio ([[Agrigento]]).<br> I reperti risalgono all'[[età del rame]]: alcuni frammenti fanno parte di una tazza attingitoio, altri fanno parte di un'altra tazza, dipinta a bande verticali grigio-scure; è stato rinvenuto anche un fondello di bicchiere in ceramica rosso-aragosta ed altre reliquie appartenenti ad oggetti decorati a reticolature<ref name=poll>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|29-30}}.</ref>. Infine, sono stati ritrovati due grossi frammenti di ceramica rossa che facevano parte di una bacinella spessa e lucida<ref name=poll>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|29-30}}.</ref>.<br> Nella zona sono state notate anche alcune recinsioni, ritenute piccoli plessi tombali. L'abbondante presenza in contrada Pollicia della friabilissima roccia gessosa consentì alle popolazioni autoctone il facile sfruttamento dell'abitazione ipogeica e dei giacimenti minerari di sale, ritenuto ''primo mezzo di scambio tra la civiltà autoctona dell'eneolitico e la egeo-micenea, di nuova immissione''<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|30}}.</ref>.
 
====La città di Macella====
{{vedi anche|Makella}}
Macella (o [[Makella]]) fu una città siciliana citata da [[Polibio]] e da altri storiografi dell'antichità, come [[Diodoro Siculo]] e [[Dione Cassio]]. L'esatta ubicazione della città è ancora oggetto di discussione: le ipotesi formulate, infatti, sono in contrasto tra di loro. Si suppone che la città fosse ubicata:
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Quest'ultima ipotesi fu avanzata da [[Cesare Sermenghi]]: egli giunse a tale supposizione in base ad un'azzardata esegesi glottologica del nome della contrada (San Matteo)<ref name=mak>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|23}}.</ref> e della città (Macella), ed in base ai reperti archeologici rinvenuti nella zona<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|13-19}}.</ref>.<br> Il Sermenghi identificò Macella con un'antichissima città, Muzzare, che secondo l'abate benedettino Vito Maria Amico Statella era sita nei pressi di Bivona<ref name=mak>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|23}}.</ref>; il poeta [[Terralba|terralbese]] suppose che il toponimo della contrada non sia da ricondurre tanto a [[San Matteo Evangelista]], quanto alla radice del nome (''Matteo'' in latino è ''Matthaeus'' o ''Macteus'', radice mact-) che è uguale a quella del verbo latino ''mactare'', da cui deriva ''Macella'': a sua volta, il nome della città è da ricollegare etimologicamente a ''Muzzare''<ref name=mak>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|23}}.</ref>.<br> Un altro motivo per cui Cesare Sermenghi fu convinto della sua ipotesi furono le testimonianze degli storiografi, da cui si deduce la vicinanza tra Macella e Adrano (o Adrone, o ancora Adranone), che il Sermenghi identificò con il bosco di Rifesi nel territorio di [[Palazzo Adriano]], comune in [[provincia di Palermo]] contiguo a Bivona<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|22}}.</ref>. Tuttavia, nel [[1983]] venne raggiunta la certezza che l'Adranon citato dagli autori antichi corrisponde al sito archeologico di Monte Adranone<ref>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|43}}.</ref>, nei pressi di [[Sambuca di Sicilia]] (AG); eppure alcuni storici furono convinti dell'esistenza di diverse località aventi il nome Macella<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|24}}.</ref>.<br> Secondo il Sermenghi la città, ubicata nell'attuale territorio di Bivona e quindi a metà strada tra [[Palermo]] ed [[Agrigento]], abbia partecipato attivamente a diverse battaglie combattute dall'[[esercito romano]] e che abbia costituito un'autentica fortezza nel periodo compreso tra le [[guerre puniche]] e le [[guerre servili]] combattute in [[Sicilia]]<ref name=makbatt>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|19-23}}.</ref>.<br> Nel [[1909]] il bivonese Giovan Battista Sedita, attingendo le informazioni da alcuni autori dell'[[Età Moderna]], affermò che Bivona si ampliò proprio ai danni di Muzzare<ref>{{cita|Sedita, 1909|21}}.</ref>, ovvero la Macella indicata dal Sermenghi; tuttavia la "Muzzare" citata da questi autori è verosimilmente identificabile con le rovine della città di Muxaro<ref>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|44}}.</ref>, nei pressi di [[Sant'Angelo Muxaro]], paese situato ad una ventina di chilometri a sud di Bivona.
 
=== Il periodo romano ===
====Testimonianze archeologiche====
[[Immagine:Agrippa Neptunus coin.jpg|thumb|250px|right|Esemplare identico alla moneta augustea raffigurante [[Marco Vipsanio Agrippa]] rinvenuta nel territorio bivonese]]
;Monete puniche
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*Cocci di ceramica
 
====Platanella====
{{quote
|[Bivona], nei pressi delle rovine di Platanello e di Muzaro [...]
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Infine, a confermare la vicinanza di Bivona con le rovine delle due antiche città fu Cesare Sermenghi, che arrivò alle sue conclusioni attraverso il consueto metodo di indagine glottologica di alcuni toponimi e di indagine storica di alcuni reperti archeologici<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|38-48}}.</ref>. Egli esaminò le ceramiche e i reperti nummari rinvenuti in alcune contrade bivonesi (Ponte, Chirullo e Margi), i resti di alcune mura (che avrebbero potuto costituire un piccolo villaggio) e le affinità toponomastiche con alcune località del circondario: sulla base di tali documenti storici, il Sermenghi fu convinto dell'esistenza di un piccolo centro, Platanella (che egli chiama ''di Bivona'', per distinguerla da altri centri omonimi della zona), la cui storia sarebbe durata appena tre-quattrocento anni, fino a quando il piccolo villaggio sarebbe stato assorbito dalla fiorente città di Bivona<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|46}}.</ref>. La datazione di Platanella sarebbe quindi compresa tra l'ultimo secolo della [[repubblica romana]] ([[I secolo a.C.]]) e il [[Età bizantina|periodo bizantino]]; le dimensioni del villaggio, probabilmente, erano di 350 m × 330 m<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|39}}.</ref>. Se sull'esistenza dell'insediamento non persistono dubbi, appare invece poco veritiera l'identificazione di questo sito archeologico con la città di Platanella, che secondo il bivonese Antonino Marrone è da identificare con le rovine della città di Platani, nell'omonima valle, sul monte anticamente chiamato Platanella<ref name=plat>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|43-44}}.</ref>, identificabile con il Monte Sara, nel territorio di [[Ribera]] (in provincia di Agrigento), a qualche chilometro da Bivona.
 
====Ipotesi sulla fondazione di Bivona====
{{quote|Per altro le notizie sui primi tempi, come di Bivona, così di ogni altro paese o città, fino della stessa Roma, della stessa Atene, sono sempre vaghe ed incerte|Giovan Battista Sedita, ''Cenno storico-politico-etnografico di Bivona'', [[1909]]}}
L'errata interpretazione di alcuni testi classici (su tutti, la ''[[Geografia (Strabone)|Geografia]]'' di [[Strabone]] e le opere di [[Diodoro Siculo]] e di [[Duride di Samo]]) fu all'origine della nascita di più ipotesi poco veritiere circa l'origine di Bivona<ref name=pros>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|33}}.</ref>.
=====Il ratto di Proserpina=====
[[Immagine:Luca Giordano 016.jpg|thumb|right|350px|Il ''Ratto di Proserpina'', di [[Luca Giordano]]]]
Bivona potrebbe essere stato il luogo in cui avvenne il [[Proserpina#Mito|ratto di Proserpina]] da parte di [[Plutone (mitologia)|Plutone]]; tale era la supposizione degli storici che analizzarono il seguente passo del VI libro dell'opera di Strabone, accompagnato da una traduzione [[Lingua latina|latina]] del [[Seicento]]<ref name=pros>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|33}}.</ref>:
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In realtà, come si evince dai suoi stessi scritti, Strabone si riferiva a [[Vibo Valentia]]<ref name=pros>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|33}}.</ref>, città [[Calabria|calabra]] capoluogo dell'[[Provincia di Vibo Valentia|omonima provincia]]. Eppure non mancò chi identificò il luogo della cattura della dea con una località siciliana: è il caso del poeta romano [[Claudio Claudiano]] ([[370]]-[[404]]), autore del ''De raptu Proserpinae'', che affermò che Plutone rapì Proserpina nei pressi del [[lago di Pergusa]], vicino [[Enna]]. Il mito, tra i più celebri della tradizione pagana siciliana, nell'antichità accrebbe il culto della dea in Sicilia. Oggi a Proserpina è intestato l'[[ateneo]] della [[città]] di Enna ([[Università Kore di Enna]]<ref>{{cita web|url=http://www.unikore.it/|titolo=Università Kore di Enna|accesso=13-04-2009}}</ref>). Anticamente a [[Bivona (Vibo Valentia)|Bivona]] (frazione marina di Vibo Valentia) esisteva un tempio in onore della dea<ref>{{cita web|url=http://www.vivivibovalentia.it/index.php?module=subjects&func=viewpage&pageid=8|titolo=Tempio di Proserpina a Bivona (Vibo Valentia)|accesso=13-04-2009}}</ref>: nel paese calabro, il mito di Proserpina si fonde con una leggenda locale<ref name=vibo>{{cita web|url=http://www.sbvibonese.vv.it/sezionec/files/albanese.pdf|titolo=Storia di Vibo Valentia|accesso=13-04-2009}}</ref>.
 
=====Hipponium, il Corno d'Amaltea=====
[[Immagine:Maurolico.jpg|thumb|200px|right|Ritratto del messinese Francesco Maurolico]]
L'erronea identità di Bivona con l'''Hipponium'' citato da Strabone trasse in inganno anche [[Francesco Maurolico]], che affermò<ref name=hipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|34}}.</ref>:
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Nelle opere dei due scrittori greci si fa riferimento al ''Corno d'Amaltea'', luogo di delizie fatto edificare da [[Gelone]], [[tiranno]] di [[Siracusa]]: gli storici Agostino Inveges ([[1651]]) e Vincenzo Auria ([[1668]]) criticarono questa ipotesi<ref name=hipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|34}}.</ref>; il primo affermò che Bivona è troppo distante da Siracusa, pertanto difficilmente fu scelta dal tiranno come luogo di piacere; il secondo sostenne che l'espressione «Hippon seu Vibon» (che il Maurolico aveva tratto da un brano di [[Pomponio Mela]]<ref>Francesco Maurolico aveva tratto l'espressione da un libro di Pomponio Mela, geografo e scrittore latino del I secolo, in cui si afferma: «In Brutio sunt... Hippo nunc Vibon».</ref>) era da riferire alla Vibo Valentia calabra.
 
=====Gelone probabile fondatore=====
[[Immagine:Gelon I.jpg|thumb|160px|left|Gelone di Siracusa, probabile fondatore di Bivona (''Hipponium'')]]
Nonostante le argomentazioni contrarie di studiosi come l'Inveges e l'Auria, numerosi storici e cultori identificarono la città di Hipponium (o Ipponio) con Bivona<ref name=ipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|35}}.</ref>: nel [[1749]] l'abate catanese Vito Maria Amico Statella, nel [[1838]] Pietro Calcara, nel [[1842]] la francese Villepreux Power Jeannette, nel [[1861]] Gaetano Picone e nel [[1909]] lo storico bivonese Giovan Battista Sedita. Quest'ultimo, nella sua opera ''Cenno storico-politico-etnografico di Bivona'', a proposito della fondazione di Bivona scrisse<ref>{{cita|Sedita, 1909|18-19}}.</ref>:
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Ma già in precedenza ([[1624]]) lo storico Giovanni Bonanno e Colonna, che era in perfetta armonia con il Maurolico (anche lui pensava che Hipponium era da identificare con Bivona per ''la somiglianza del nome d'Ipponio con Bivona, l'amenità dei giardini e l'abbondanza d'acqua, la quale in Bivona è notabile''<ref name=hipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|34}}.</ref>), ritenne che l'antica città d'Hipponium era la città citata da alcuni autori greci che descrissero gli eventi della prima guerra punica: l'''Ippana'' citata da [[Polibio]] e la ''Sittana'' citata da [[Diodoro Siculo]]. L'Inveges, in base al brano polibiano, ritenne giusto collocare Ippana (o Hippana) nei pressi dell'attuale [[Mistretta]] ([[Provincia di Messina|ME]])<ref name=hipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|34}}.</ref>. L'abate benedettino Amico preferì distinguere Hipponium da Hippana-Sittana: collocò la prima nei pressi di Siracusa, la seconda nei pressi di Bivona (chiamandola ''Targia'') o in un posto non definito della Sicilia Occidentale (chiamandola ''Ippana'')<ref name=ipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|35}}.</ref>. Nel [[1836]], tuttavia, Monsignor Giuseppe Crispi, di origini albanesi, residente a [[Palazzo Adriano]] ([[Provincia di Palermo|PA]]), riuscì a dimostrare che le rovine di Ippana si trovano sulla Montagna dei Cavalli, nei pressi di [[Prizzi]] (PA)<ref name=ipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|35}}.</ref>.
 
=====Le guerre puniche=====
{{vedi anche|Guerre puniche}}
[[Immagine:Concordiatempelagrigent3 retouched.jpg|thumb|250px|right|Il Tempio della Concordia di Agrigento, città capoluogo di provincia, espugnata dai Romani nel 262 a.C.]]
La [[prima guerra punica]], combattuta tra [[Roma]] e [[Cartagine]] tra il [[264 a.C.]] ed il [[241 a.C.]], coinvolse gran parte della Sicilia occidentale. Gli eventi del lungo conflitto sono stati descritti da alcuni autori greci, come [[Polibio]] e [[Diodoro Siculo]], e poi ripresi nelle opere storiografiche di alcuni autori latini.<br> In base alla descrizione dei luoghi dei vari autori, sono state avanzate alcune ipotesi sull'identificazione di Bivona con la città d'Ippana. Nonostante la scoperta di Mons. Crispi nel [[XIX secolo]], il poeta e saggista [[Cesare Sermenghi]], di origini bivonesi, ritenne che Bivona derivi toponomasticamente da Ippana<ref name=ipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|35}}.</ref>.<br> Egli pensò che in seguito alla distruzione della loro città nel [[258 a.C.]], durante la prima guerra punica, gli abitanti di Ippana abbiano abbandonato la zona migrando verso la valle del [[Magazzolo]], dove è situata attualmente Bivona. E infatti, secondo il Sermenghi, furono proprio gli ex abitanti di Ippana a fondare il nuovo centro abitato, da cui discende il nome di Bivona. Secondo questa ipotesi, l'origine di Bivona è da collocarsi nel [[III secolo a.C.]], durante il periodo della guerra tra romani e cartaginesi<ref name=ipp>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|35}}.</ref>.<br> Ma l'ipotesi del Sermenghi appare poco veritiera, dato che in alcuni documenti risalenti al [[XII secolo]] si fa menzione di un monte e di un vallone che portano il nome "Ippana": la permanenza immutata del toponimo dimostra la quasi impossibilità di una sua trasformazione in "Bivona"<ref name=ippana>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|36}}.</ref>.<br> In quegli anni venne costruita anche la prima strada romana di Sicilia<ref name=ss>{{cita libro | cognome=Oliveri| nome=Fabio| titolo=Palazzo Adriano: territorio e storia| editore=Comune di Palazzo Adriano| città=Palazzo Adriano| anno=1991}}</ref>, realizzata utilizzando piste già tracciate dai primi abitanti dell'Isola: molti tratti della strada romana, che collegò le città di [[Palermo]] ed [[Agrigento]], corrispondono all'attuale [[Strada statale 118 Corleonese Agrigentina|Strada statale 118]]<ref name=ss>{{cita libro | cognome=Oliveri| nome=Fabio| titolo=Palazzo Adriano: territorio e storia| editore=Comune di Palazzo Adriano| città=Palazzo Adriano| anno=1991}}</ref>, la "Corleonese-Agrigentina", che attraversa Bivona ed il suo territorio per parecchi chilometri. [[Immagine:Schlacht bei Zama Gemälde H P Motte.jpg|thumb|250px|left|La [[battaglia di Zama]] durante la seconda guerra punica]] Anche la [[seconda guerra punica]] vide la Sicilia tra i principali protagonisti. Tra il [[214 a.C.]] ed il [[209 a.C.]] nell'Isola furono combattute diverse battaglie nella zona compresa tra [[Palermo]], [[Agrigento]], [[Enna]] e [[Siracusa]], quest'ultima [[Assedio di Siracusa|assediata]] nel [[212 a.C.]] dalle truppe romane di [[Marco Claudio Marcello]].<br> Nel [[211 a.C.]], quando Marcello abbandonò la Sicilia, si rivoltò in favore dei [[cartaginesi]] la città di Macella, che, secondo il Sermenghi, si trovava nella zona attualmente sovrastante la città di Bivona. Già protagonista durante la prima guerra punica (espugnata a fatica dai romani nel [[260 a.C.]], venne immortalata nella [[Colonna rostrata di Gaio Duilio|colonna rostrata]] di [[Caio Duilio]]: «Macellam moenitam pugnando coepit»; secondo [[Diodoro Siculo]], i romani l'avevano assediata una prima volta senza successo; secondo [[Dione Cassio]], nel [[103 a.C.]] lo schiavo ribelle Atenione, protagonista della seconda guerra servile, la fortificò nuovamente), Macella potrebbe essere stata coinvolta anche in alcune battaglie combattute durante la seconda guerra punica, così come l'attuale territorio di Bivona, che potrebbe essere stato campo di battaglia di alcuni combattimenti, sia data l'ubicazione tra due grandi città come Palermo ed Agrigento, sia poiché, secondo Sermenghi, qui potrebbero esseri stanziati gli antichi abitanti di Ippana, fondando una nuova città (Bivona)<ref name=makbatt>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|19-23}}.</ref>.
 
=====Le guerre servili=====
{{vedi anche|Guerre servili}}
[[Immagine:Sarcophagus Battle Relief.JPG|thumb|250px|right|Soldati romani in combattimento (II secolo a.C.)]]
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Infine, si sa che nel [[104 a.C.]], durante la [[seconda guerra servile]], l’[[esercito romano]] guidato dal [[Propretore (storia romana)|propretore]] Licinio Nerva, che si trovava nella zona centro-occidentale della [[Sicilia]], oltrepassò un fiume denominato Alba: un omonimo fiume scorre attraverso Bivona, ma verosimilmente [[Diodoro Siculo]], autore della ''Bibliotheca historica'', si riferiva a qualche altro fiume che scorre ''ad ovest di [[Heraclea Minoa]]''.
 
==Toponimo=Il Bivonatoponimo===
[[Immagine:Panoramabivona5.jpg|thumb|250px|right|Panoramica della città di Bivona e del suo territorio]]
La somiglianza del nome ''Bivona'' con ''Hipponium'' (o ''Ipponio'' o ''Hippana'') era già stata constatata dagli storici dell'[[Età Moderna]], dall'Aretio fino all'Amico. Nel [[1709]] il gesuita Giovanni Andrea Massa enumerò tutte le designazioni toponomastiche di Bivona, in seguito utilizzate da molti altri storiografi. Nel [[XIX secolo]] [[Michele Amari]] inserì Bivona in una lista di città della Sicilia che, essendo state testimoniate per la prima volta nel periodo normanno, potrebbero essere state fondate dai coloni provenienti dall'Italia centro-settentrionale, giunti in Sicilia in quell'epoca, che avrebbero imposto ai nuovi centri i nomi della propria città d'origine: Bivona venne accoppiata con [[Bibbona]], città [[toscana]] in [[provincia di Livorno]]: l'ipotesi, tuttavia, appare poco veritiera, dal momento che Bivona fu sicuramente abitata da gente araba, che si stanziò in Sicilia prima della venuta dei [[Normanni]]<ref>{{cita|Antonino Marrone, 1987 I|34-40}}.</ref>. Nella seconda metà del [[XX secolo]] Cesare Sermenghi confermò la possibile derivazione del toponimo ''Bivona'' da ''Hippana''; nel suo libro ''Mondi minori scomparsi'' ([[1981]]), infatti, egli affermò<ref>{{cita|Cesare Sermenghi, 1981|20-21}}.</ref>:
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{{quote|Due distinti abitati ebbero, da tempi remotissimi, il medesimo nome d’Hippònion, l’uno sul Tirreno a sud di Vibo Marina e l’altro sulla collina retrostante, a quattro km. In linea retta, in un luogo ridente, a terrazza larga dolcemente degradante sul mare, a nord-est dell’attuale Vibo Valentia. Hippònion fu fondata da Siculi o meglio da Brezzi indigeni, come lo indica il nome osco-sabellico ''Vei'', ''Veip'', ''‘Eipon'', ''Eiponion'' tramandatoci dalle più antiche monete. I Greci convertirono il primitivo nome al gusto dell’antico idioma in ''Hippònion'' ed i Romani in ''Vibo'', ''Vibona'' e, in seguito, in ''Bibo'', ''Bibona'', ''Bivona''. Alcuni erroneamente hanno fatto derivare il nome Hippònion dal greco ἵππος, “cavallo”, per significare il valore e la generosità degli abitanti e la forma equina del fabbricato o la città stessa nutrice di ottimi cavalli; altri invece da ''Ubo'', voce orientale che vuol dire insenatura, cambiata dai Greci in ''Hippò'', ''Hippònion'', paese al centro dell’insenatura|Francesco Albanese, ''Vibo Valentia nella sua storia, [[1962]]}}
 
===Toponimo===
Il nome ''Bivona'' è ritenuto un nome di derivazione non araba<ref>{{cita|Marrone, 1987 I|47-48}}.</ref>; esso si trova in questa forma per la prima volta in un documento del [[1171]], ma la forma più frequente fino ai primi anni del [[XVI secolo|Cinquecento]] era ''Bibona''. La forma ''Bisbona'' venne usata molto probabilmente per la prima volta da [[Federico III di Sicilia|Federico III]], in una lettera del [[28 settembre]] [[1363]] spedita a [[Giovanni Chiaramonte]]. Questa variante è probabilmente dovuta ad una rielaborazione colta: in una lettera del [[1553]] viene scritto:
{{quote