Attentato di via Rasella: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
ancora snellimento
ancora qualche ritocco
Riga 13:
<div style="font-size: 92%; text-align: justify;">L'attacco di via Rasella e l'[[eccidio delle fosse Ardeatine]], sono due degli episodi più drammatici e sanguinosi dell'[[occupazione tedesca di Roma]] della quale si fornisce qui un breve inquadramento storico.
 
Con l'armistizio dell'[[8 settembre]] [[1943]] e la [[fuga del re Vittorio Emanuele III|fuga del re e del governo]], Roma divenne teatro di una battaglia contro i tedeschi, cui era indispensabile il possesso delle sue strade e dei ponti sul [[Tevere]] per arrestare l'avanzata alleata incedente da Sud. Così, immediatamente<ref>Dalla sera dell'8 settembre fino al pomeriggio del 10</ref> le truppe di due divisioni tedesche rinforzate tentarono di impadronirsi della città.</ref> Nei [[Mancata difesa di Roma|combattimenti]] di quei giorni<ref>Sostenuti da unità e reparti del Corpo d'Armata Motocorazzato e della Difesa Capitale, cui si unirono anche manipoli di privati cittadini</ref> caddero 1.167 militari e oltre 120 civili italiani<ref>[http://www.comune.roma.it/was/repository/ContentManagement/information/P688806412/8%20settembre%20cenni%20storici.pdf Cenni Storici sull'8 settembre a Roma dal sito ufficiale del comune di Roma]</ref>. Pesanti perdite soffrirono anche ai tedeschi, che però si impadronirono in breve della capitale<ref>Il rischio non accettabile da parte tedesca di vedere le proprie forze assorbite a lungo nella battaglia per Roma, anziché essere libere di trasferirsi rapidamente verso la [[Operazione Avalanche|testa di ponte alleata a Salerno]] fu evitato abilmente dai tedeschi intavolando trattative con le autorità militari italiane ed approfittando del caos al loro interno determinato dall'abbandono dei posti di comando da parte di gran parte dei politici e dei generali, seguite da un ingannevole accordo di "pacifica coabitazione", presto tradito con la completa occupazione della capitale da parte delle forze naziste. Per la questione della difesa di Roma si vedano [[Albert Kesselring]], ''Soldato fino all’ultimo giorno'', LEG, Gorizia, 2007; Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, ''Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943'', Roma; [[Gioacchino Solinas]], ''I granatieri di Sardegna nella difesa di Roma'', E.F.C.; [[Giorgio Pisanò]], ''Storia della Guerra civile in Italia'', CED; [[Ugo Cavallero]], ''Comando Supremo'', Cappelli, 1948; [[Ruggero Zangrandi]], ''L' Italia tradita. 8 settembre 1943'', Mursia, 1971</ref>.
Roma passò nominalmente sotto il governo della [[Repubblica Sociale Italiana]], costituito il [[23 settembre]] [[1943]], ma di fatto era nelle mani delle autorità militari tedesche<ref>Che intendevano in questo modo sfruttarne in pieno politicamente e militarmente il grande valore</ref>. Il clima politico e i sentimenti della popolazione si orientarono in direzione antifascista ed antinazista<ref>Nonostante il Fascio repubblicano costituito nella capitale fosse stato uno dei più importanti numericamente (Cfr. [[Giorgio Pisanò]], ''Storia della Guerra civile in Italia'', cit.), esso rappresentò l'unico centro di raccolta dei pochi fascisti della capitale. Un segno di scollamento della città dal fascismo e dello strapotere tedesco è stato rilevato nel maggior tasso di [[renitenza alla leva]] registrato a Roma rispetto al resto della RSI. I tedeschi tentarono infatti a più riprese di sabotare ogni tentativo fascista di ricostituire forze armate autonome, preferendo gestire autonomamente le risorse umane italiane attraverso retate di uomini atti al lavoro da inviare a elevare fortificazioni sui fronti di Anzio e Cassino , in Germania o, nell'[[Organizzazione Todt]], anche in Alta Italia. Cfr. R. De Felice, ''Rosso e Nero'', a cura di P. Chessa, Baldini&Castoldi, Milano, 1995, pag. 60, e ''Mussolini l'alleato'', tomo II, Einaudi; Giorgio Pisanò, ''Storia della Guerra civile in Italia'', cit.. La renitenza alla leva era superiore del 15-20% alla media, mentre, secondo i dati dei Servizi segreti USA, solo il 2% dei cittadini romani si presentava spontaneamente alle chiamate al lavoro o alle armi imposte dai comandi del [[Terzo Reich|Reich]] (Cfr.Umberto Gentiloni Silveri, Maddalena Carli, "Bombardare Roma - Gli Alleati e la «città aperta» (1940-1944) - Il Mulino - Biblioteca storica, Bologna, 2007, ISBN 978-88-15-11546-1, pag. 13).</ref>.
 
La città era stretta fra l'offesa dal cielo da parte alleata<ref>Concentrata soprattutto sulle vie d'accesso periferiche, in particolare le Vie Consolari</ref>, e l'oppressione dell'occupante germanico e fascista. Fin dall'armistizio si erano formati gruppi antifascisti armati<ref>Secondo Gioacchino Solinas le armi furono fatte distribuire dal generale Carboni direttamente il 9 e 10 settembre a nuclei comunisti. Cfr. Solinas, ''I granatieri..." cit.</ref>, in particolare quelli di ispirazione troskista ("[[Bandiera Rossa Roma|Bandiera Rossa]]") e militare ("Centro X") agli ordini del [[Alfeo Brandimarte|maggiore Brandimarte]] e del colonnello [[Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo|Montezemolo]]. La città inoltre era un crocevia al quale tutte le principali organizzazioni di spionaggio dei belligeranti.<ref>Sulla "guerra segreta" condotta a Roma e dai contorni tutt'ora oggetto di studio, vedere [[Peter Tompkins]], ''L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista'', Il Saggiatore - 2005</ref>.
 
I tedeschi, ben consci del valore politico di Roma, con la presenza del [[Città del Vaticano|Vaticano]], tentarono di far fruttare propagandisticamente la pur solo formale e mai riconosciuta dichiarazione di "città aperta"<ref>Il governo [[Pietro Badoglio|Badoglio]] dichiarò unilateralmente Roma "città aperta" trenta ore dopo il secondo bombardamento alleato della capitale, il [[13 agosto]] [[1943]] (Cfr. Giorgio Bonacina, ''Obiettivo Italia - I bombardamenti aerei delle città italiane dal 1940 al 1945'', Mursia, 1970, pag. 236.). L'attacco, eseguito da bombardieri [[Stati Uniti d'America|statunitensi]], aveva causato danni forse ancora maggiori del primo, che l'aveva colpita il [[19 luglio]] (bombardamento di [[San Lorenzo (zona di Roma)|San Lorenzo]]): nei due bombardamenti morirono oltre 2.000 civili innocenti e parecchie altre migliaia rimasero feriti, senza casa e lavoro. In città venivano così a mancare servizi essenziali, mentre la fame si diffondeva e la capitale si faceva invivibile. Gli [[Alleati]] avevano già dichiarato, prima ancora del "25 luglio", che una eventuale dichiarazione di "città aperta" del governo italiano - ove non accompagnata da smilitarizzazione con possibilità di verifica da parte di osservatori neutrali - non avrebbe avuto alcun valore. ("Roma potrebbe venire considerata una città aperta soltanto nel caso in cui l'esercito, le installazioni militari, gli armamenti e le industrie di guerra venissero rimossi [...] Qualora il regime fascista decidesse di salvare Roma facendone una città aperta, dovrebbe rilasciare una precisa dichiarazione in modo da consentire agli Alleati, agendo attraverso rappresentanti neutrali,di determinare quando la necessaria smilitarizzazione abbia avuto luogo", H. Callender, ''Open City Status by Rome Doubted. Washington feels. Capital is Too important for Axis to Demilitarize it. Rail Lines Called Vital. Vast Shifting of Italian War Plants Involved - Sicilian Resistence Expected'' in "The New York Times del 21 luglio 1943, citato (pag. 31) in Umberto Gentiloni Silveri, Maddalena Carli, "Bombardare Roma - Gli Alleati e la «città aperta» (1940-1944) - Il Mulino - Biblioteca storica, Bologna, 2007, ISBN 978-88-15-11546-1); dopo i grandi bombardamenti dell'estate 1943, la città fu nuovamente bombardata altre 51 volte, sino alla liberazione il [[4 giugno]] [[1944]] (cfr. Cesare De Simone, "Venti Angeli sopra Roma - I bombardamenti aerei sulla Città Eterna 19 luglio e 13 agosto 1943", Mursia, Milano, 1993, ISBN 88-425-1450-0, pag. 310)</ref>. emessa da quel governo (Badoglio) che, dall'ottobre 1943, era in guerra contro di loro. Allo scopo, fu evitata un'intensa militarizzazione, facendo passare il grosso dei rifornimenti destinati al fronte ai margini dell'Urbe<ref>Di fondamentale importanza fu per questo il ponte della [[Magliana]] (oggi non più esistente), all'altezza della "collina dell'Esposizione", oggi [[EUR]], che univa la consolare [[via Aurelia]] - tramite la strada di [[Ponte Galeria]] - all'Appia e alla [[via Casilina]] tramite le vie suburbane del [[Divino Amore]] e della [[via Laurentina]]</ref>, mantenendo all'interno della cerchia cittadina solo reparti di polizia, [[polizia militare]] (''[[Feldgendarmerie]]'') e SS-Polizei (Abt. IV e VI), nonché truppe di comando e servizi.
 
Lo [[Operazione Shingle|sbarco di Anzio]], tuttavia, cambiò il quadro tattico; il [[22 gennaio]] 1944, l'intera [[provincia di Roma]] fu dichiarata "zona di operazioni"<ref>Sotto la responsabilità del generale [[Eberhard von Mackensen|von Mackensen]], comandante della 14a Armata, reduce dal fronte russo. Alle sue dipendenze era il comandante della piazza di Roma, tenente generale della [[Luftwaffe (Wehrmacht)|Luftwaffe]] [[Kurt Mältzer]]. Kesselring, comandante del fronte meridionale, considera i due incapaci della «durezza brutale, forse anche ingiusta, ma necessaria nel quinto anno di guerra». Cfr. Joachim Staron, ''Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche'', Il Mulino, Bologna, 2007, pag. 36.</ref> e capo della [[Gestapo]] di Roma, gestore dell'[[ordine pubblico]], divenne l'ufficiale delle [[SS]] [[Herbert Kappler]]<ref>[[Gianni Oliva]], "L'ombra nera: le stragi nazifasciste che non ricordiamo più", Mondadori, Milano, 2007, ISBN 978-88-04-56788-3, pag. 117</ref><ref>Già protagonista nella capitale della pianificazione della liberazione di [[Benito Mussolini]], della razzia del [[Ghetto di Roma|ghetto]] ebraico e della successiva deportazione, il [[15 ottobre]] [[1943]] di 1.023 ebrei romani verso i [[Campi di sterminio]]</ref>. Kappler pianificò frequenti rastrellamenti, arrestò numerosi sospetti antifascisti, organizzò in [[Carcere di via Tasso|Via Tasso]] un centro di detenzione e tortura, creò nella città un clima di terrore. Nonostante ciò i [[Gruppi di azione patriottica|GAP]], formati per la maggior parte da partigiani del partito comunista, attaccarono i tedeschi numerose volte<ref>Di rilievo tra le altre l'azione del [[19 dicembre]] 1943, quando penetrarono in zona di alta sicurezza e fecero esplodere ordigni contro l'Hotel Flora, sede del Tribunale Militare germanico.</ref>. Le forze di polizia tedesche, italiane e le "bande"<ref>O "polizie private", formate da personale italiano ma al comando esclusivo dei tedeschi</ref>, reagirono lanciando in fasi successive una campagna di rastrellamento della città, talora violando le [[extraterritorialità]] vaticane in cui avevano trovato ospitalità centinaia di esponenti dell'antifascismo ed ebrei. Furono decapitate le formazioni partigiane romane, in particolare "Bandiera Rossa" e il "[[Fronte Militare Clandestino]]", i cui esponenti<ref>Primo fra tutti il colonnello [[Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo|Montezemolo]], catturato il 10 gennaio 1944</ref>, furono rinchiusi in diverse prigioni.
 
Dopo tali operazioni nazifasciste, i [[Gruppi di azione patriottica|GAP]]<ref>Anche se raccoglievano intellettuali e studenti precedentemente non policitizzati ed esponenti socialisti, i GAP, formalmente inquadrati entro il [[Corpo Volontari della Libertà|CVL]] e sotto il controllo politico del [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]], erano egemonizzati dal Partito Comunista che, sin dagli ultimi mesi del 1943, li aveva organizzati in una efficiente struttura militare clandestina a Roma, dividendo la città in otto settori, ciascuno dei quali affidato ad un [[Gruppi di azione patriottica|Gruppo di Azione Patriottica]]</ref> rimasero l'unica formazione del [[Comitato di Liberazione Nazionale|CNL]] ad avere ancora capacità operative a Roma e, continuando la guerra parallela e coordinata con lo sforzo alleato, intensificarono i propri sforzi per attaccare militarmente l'occupante. I due comandanti dei GAP centrali, dai quali dipendeva la rete clandestina, [[Franco Calamandrei]] detto "Cola" e [[Carlo Salinari]] detto "Spartaco", ebbero così un ruolo decisivo nella preparazione dell'attacco che si decise di condurre a via Rasella contro un numeroso reparto tedesco.
</div>
}}