Volontà: differenze tra le versioni
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La buona volontà, e non più la razionalità, è quella che consente di volgersi alla realizzazione del Bene. Ma non è possibile ottenere quest'ultimo senza l'intervento divino elargitore della [[grazia divina|grazia]], mezzo essenziale di liberazione dell'uomo. La volontà non potrebbe indirizzarsi al bene, corrotta com'è dalla schiavitù delle passioni corporee, se non ci fosse la rinascita dell'uomo operata da [[Cristo]].
Permase tuttavia l'aspetto conoscitivo della volontà, che si verifica attraverso un'illuminazione dell'intelletto per opera dello [[Spirito Santo]]. Volontà e conoscenza rimasero così per [[Sant'Agostino d'Ippona|Agostino]] indissolubilmente legati: non si può credere senza capire, e non si può capire senza credere.<ref>Questo è il senso della celebre affermazione agostiniana ''[[credo ut intelligam]]'', e ''[[
In polemica contro [[Pelagio]], Agostino aggiunse che la volontà umana è stata irrimediabilmente corrotta dal [[peccato originale]], che ha inficiato la nostra capacità di compiere delle scelte, e quindi la nostra stessa libertà. A causa del peccato originale dunque nessun uomo sarebbe degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare, illuminandolo su cosa è bene, e infondendogli anche la volontà effettiva di perseguirlo, volontà che altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni malvagie. Ciò non toglie che l'uomo possegga un [[libero arbitrio]], ossia la capacità razionale di scegliere tra il bene e il male, ma senza l'intervento divino una tale scelta non avrebbe alcuna efficacia realizzativa, sarebbe cioè preda dell'arrendevolezza.
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Il connubio tra intelletto e volontà permase nelle opere di [[Scoto Eriugena]], e soprattutto di [[Tommaso d'Aquino]], secondo cui il libero arbitrio non è in contraddizione con la [[predestinazione]] alla salvezza, poiché la libertà umana e l'azione divina della Grazia tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. Tommaso, come [[Bonaventura da Bagnoregio]], sostenne inoltre che l'uomo ha [[sinderesi]], ovvero la naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Per Bonaventura tuttavia la volontà ha il primato sull'intelletto.
All'interno della scuola francescana di cui Bonaventura era stato il capostipite, [[Duns Scoto]] si spinse più in là, diventando assertore della dottrina del volontarismo, secondo cui Dio sarebbe animato da una volontà incomprensibile e arbitraria, in gran parte slegata da criteri razionali che altrimenti ne limiterebbero la libertà d'azione. Questa posizione ebbe come conseguenza un crescente [[fideismo]], ossia una fiducia cieca in Dio, non motivata da argomenti.
Al fideismo aderì il francescano [[Guglielmo di Ockham]], esponente della corrente [[nominalismo|nominalista]], il quale radicalizzò la teologia di Scoto, affermando che Dio non ha creato il mondo per «intelletto e volontà» come sosteneva Tommaso d'Aquino, ma per sola volontà, e dunque in modo arbitrario, senza né regole né leggi. Come Dio, anche l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano.
Con l'avvento della [[Riforma]], [[Martin Lutero]] fece propria la teoria della [[predestinazione]] negando alla radice l'esistenza del libero arbitrio: non è la buona volontà che consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla grazia divina.
Alla concezione volontaristica di Dio aderì tra gli altri [[Giovanni Calvino]], che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a interpretarlo in un senso rigorosamente [[determinismo|determinista]]. È la [[Provvidenza]] a guidare gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della [[prescienza]] e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni "segni" del proprio destino ultraterreno in base al successo o meno ottenuto nella propria vita politica ed economica.
Anche all'interno della [[Chiesa Cattolica]], che pure si era schierata contro le tesi di Lutero e Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di volontà. Secondo [[Luis de Molina]] la salvezza era sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà
*la prescienza di Dio e la
*questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato originale ha spento l'aspirazione dell'uomo alla salvezza.
A lui si contrappose [[Giansenio]], fautore di un ritorno ad [[Agostino d'Ippona|Agostino]]: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i [[giansenismo|giansenisti]] nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di [[Adamo]]. All'atto della creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.
===Nel pensiero moderno===
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