Principio di falsificabilità: differenze tra le versioni

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La '''falsificabilità''' (termine ricalcato sul tedesco ''FalschungmöglichkheitFälschungsmöglichkeit'') è il criterio formulato da [[Karl Popper]] per demarcare l'ambito delle teorie controllabili, che pertiene alla [[scienza]], da quello delle teorie non controllabili, da Popper stesso identificato con la [[metafisica]]. La metafisica, per Popper, dunque non è più un insieme di teorie e fedi prive di senso, come per il [[neopositivismo]]; non è nemmeno la filosofia prima di [[Aristotele]] o in generale (come la si intende volgarmente) lo studio delle verità ultime e trascendenti. Essa è semplicemente ogni teoria (dotata di senso e significato) che non è scienza (ma che può, all'occasione, venire in aiuto alla scienza e al ricercatore, fornendogli idee e prospettive per inquadrare i problemi, o può addirittura, col crescere del sapere di sfondo, diventare scienza) perché è sempre verificabile. Il concetto popperiano di falsificabilità (che definisce appunto un criterio di scientificità) si oppone nettamente a quello neopositivista di [[verificabilità]], inteso a definire un criterio di senso (sono significative, cioè dicono qualcosa, solo le asserzioni verificabili induttivamente; le asserzioni delle metafisiche, che non lo sono, non sono significative).
 
Il ''criterio di falsificabilità'' afferma dunque che una [[teoria]], per essere controllabile, e perciò scientifica, deve essere “falsificabile”: in termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che la possa dimostrare integralmente falsa alla prova dei fatti, secondo il procedimento logico del ''[[modus tollens]]'' (in base a cui, se da A si deduce B, se B è falso, è falso anche A). Se una teoria non possiede questa proprietà, è impossibile controllare la validità del suo contenuto informativo relativamente alla realtà che essa presume di descrivere.