Menare il can per l'aia: differenze tra le versioni

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Essa compare già nel Dizionario della Crusca con la seguente definizione: "Mandare le cose in lungo per non venirne a conclusione. Lat. ''Tempus ducere''"<ref>[http://books.google.it/books?id=wBylsA7QbUcC&pg=RA1-PA204&lpg=RA1-PA204&dq=%22can+per+l%27aja%22&source=bl&ots=1MWDNGdSyj&sig=qcxxmbT2sXMflPezlGVpDjJIsoY&hl=it&ei=2qlmTPHSGMvqOLP68bkF&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=7&ved=0CCsQ6AEwBg#v=onepage&q=%22can%20per%20l%27aja%22&f=false Dizionario degli Accademici della Crusca], Venezia 1724, vol. 1 p. 204</ref>.
 
La stessa Accademia della Crusca dà come fonte autorevole per l'inclusione della locuzione nel proprio Dizionario l’''Ercolano'' di [[Benedetto Varchi]] ([[1565]]):
 
{{Quote|Di quelli che favellano, o piuttosto cicalano assai, si dice: egli hanno la lingua in balìa; la lingua non muore, o non si rappallozzola loro in bocca, o e' non ne saranno rimandati per mutoli: come di quelli che stanno musorni: egli hanno lasciato la lingua a casa, o al beccajo; e' guardano il morto; o egli hanno fatto come i colombi del Rimbussato, cioè perduto 'l volo. '''D'uno che favella, favella, e favellando, favellando con lunghi circuiti di parole aggira sé, e altrui, senza venire a capo di conclusione nessuna, si dice: e' mena 'l can per l'aja''': e talvolta, e' dondola la mattea; e' non sa tutta la storia intera, perché non gli fu insegnato la fine; e a questi cotali si suol dire: egli è bene spedirla, finirla, liverarla, venirne a capo, toccare una parola della fine; e, volendo che si chetino, far punto, far pausa, soprassedere, indugiare, serbare il resto a un'altra volta, non dire ogni cosa a un tratto, serbare che dire.|Benedetto Varchi, ''Erc.'' 94<ref>[http://books.google.it/books?id=zLc9AAAAYAAJ&pg=PA325&lpg=PA325&dq=%22can+per+l%27aja%22&source=bl&ots=pGjoNp8-sr&sig=FWrlwUe9tf6VkMuFYpzA27Q7moU&hl=it&ei=2qlmTPHSGMvqOLP68bkF&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBUQ6AEwAA#v=onepage&q=%22can%20per%20l%27aja%22&f=false Dizionario della lingua italiana] (1565).</ref>}}
 
L'origine della locuzione non è però chiara. Nelle note al ''[[Malmantile riacquistato]]'' ([[1688]]), [[Paolo Minucci]] si limita a parafrasare la locuzione così: