Canicattì: differenze tra le versioni

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== Storia ==
=== Profilo storico ===
I resti archeologici ritrovati nella città e nelle zone adiacenti testimoniano l'estistenza di un abitato già in epoca pre-romana.
Il nome di Canicattì è di origine araba. Deriva da Handaq-attin, che vuol dire fossato di argilla, toponimo che troviamo in una carta geografica della Sicilia sotto i [[Saraceni]].<ref>Da abbandonare l'etimologia proposta da M. Amari , Bibl. ar-sic.I, 96, di Ayin al-qattà, cioè Fonte del tagliatore di pietra. - Ignazio Scaturro, ''Storia della città di Sciacca'', p. 195 - 1924</ref>
 
Dopo la conquista della [[Sicilia]] da parte dei [[Normanni]], il signore del luogo, probabilmente l'Emiro Melciabile Mulè, fu assediato e sconfitto dal barone Salvatore Palmeri ([[1087]]), che era al seguito del [[conte Ruggero]] e questi per ricompensa gli offrì la spada e il dominio del feudo. Sotto la signoria dei Palmeri, la fortezza araba venne ampliata e prese l'aspetto di un vero e proprio castello con una torre.
 
Ai normanni successero i Francesi, cacciati poi dagli [[Aragonesi]]. Nel 1448 il feudo di Canicattì venne ceduto da Antonio Palmeri, che non aveva figli, al nipote Andrea De Crescenzio. Questi ottenne dal re [[Giovanni d'Aragona]] la "[[Licentia populandi]]", cioè la facoltà di ampliare i confini del feudo, di incrementare gli abitanti e di amministrare la giustizia.
Sotto il De Crescenzio, Canicattì era una comunità rurale che contava da mille a millecinquecento abitanti, insediati nella parte alta della città. Ad Andrea succedette il figlio Giovanni, che non avendo figli maschi, lasciò la baronia al genero Francesco Calogero Bonanno, nel [[1507]].
 
Con il casato Bonanno la città conobbe un considerevole incremento demografico; i feudatari, prima baroni, poi duchi e infine principi della Cattolica, fecero costruire splendidi edifici e fontane.
La signoria dei Bonanno durò fino a tutto il [[XVIII secolo|'700]], ma verso la fine del secolo iniziò il suo declino; la società feudale si avviava a scomparire.
L'ultimo dei Bonanno, nel [[1819]], cedette la signoria di Canicattì al barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro.
[[Immagine:Canicatti centro6.jpg|thumb|left|315px|Canicattì - Panorama centro storico]]
 
Dopo le sommosse e rivoluzioni del [[1848]] e [[1859]]/[[1861|61]], raggiunta l'unità d'Italia a Canicattì sorsero banche, mulini e stabilimenti che incrementarono il commercio. Per tutto il corso del novecento l'economia della città si è basata fondamentalmente sull'agricoltura (uva da tavola soprattutto), commercio e settore terziario.
 
Per la sua prosperità agricola, fondata soprattutto sulla coltura dei vigneti di uva da tavola, Canicattì è stata annoverata nel [[1987]] tra i ''Cento Comuni della Piccola-Grande Italia''.
 
È stata centro (seppur minore rispetto alle grandi città dell'isola) di laboratori politici sia di centro-destra che di sinistra ed è stata vittima, a volte, di gravi episodi, come le stragi naziste e americane del [[1943]] e quella del [[1947]].
La città è da secoli il centro più importante lungo la direttrice di comunicazioni - oggi stradali e ferroviarie - fra Agrigento e Caltanissetta (e da qui verso [[Catania]] e [[Palermo]]).
 
Nel 2004 il Comune di Canicattì è stato sciolto per infiltrazioni mafiose ed è stato retto, fino al 2006, da una Commissione straordinaria di nomina governativa, che ha ripristinato la legalità e l'efficenza della macchina amministrativa, realizzando anche importanti opere pubbliche: restauro del [[Teatro Sociale]], Palasport "Saetta e Livatino", Piscina comunale, rifacimento di Largo Aosta, realizzazione della nuova Via Giglia.
 
Il dialetto di Canicattì, essendo la città tra le province di Agrigento e Caltanissetta, ha sue peculiarità che non si trovano in altre parti dell'isola e che influenzano il circondario. Degni di nota sono gli studi sulla parlata, sulla sintassi e sulla grammatica canicattinese del salesiano don Fausto Curto D'Andrea.
 
=== Ricorrenze===