Antonio Tari: differenze tra le versioni

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[[Benedetto Croce]], nei saggi critici della ''Letteratura della Nuova Italia'', definì Tari «giullare di Dio», vale a dire, per riprendere le parole dello stesso Croce, il «lieto giullare della filosofia». Il pensatore abruzzese spiegava, al riguardo, che Tari non ebbe mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che «prendeva a braccetto, e li menava a spasso con sé, divertendosi a contradirli e a sentirsi contradetto».
 
Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, il [[Benedetto Croce|pensatore abruzzese]] ebbe anche a rilevare che la bizzarra genialità di Tari «gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l’aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col [[vernacolo]] napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali» <ref>[[Benedetto Croce|B. Croce]], ''La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici'', vol. I, Laterza, Bari 1967, pp. 403-409.</ref>.
 
A proposito dell'opera "''Manuale di estetica''" del Tari (inedita), il Croce disse: