Microarray di DNA: differenze tra le versioni

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I microarray e i chip sono due diversi tipi di matrici; in ambedue i casi una grande quantità di sonde di Dna, con sequenze diverse, vengono fissate in un posto definito su una superficie solida, quindi è conosciuta la sequenza esatta e la posizione di ogni sonda sul vetrino o sul chip.
La differenza fra i chip e i microarray dipende essenzialmente dalla tecnica usata per la stampa delle sonde sul tipo di microarray.
 
'''Microarray''': in questo caso si tratta di acidi nucleici pre-sintetizzati, spesso derivati da una collezione di cDna amplificati per PCR. Ogni singolo clone viene posizionato nell'esatta locazione sul vetrino da un robot. È evidente che questa tecnica richiede apparecchiature robotiche molto sofisticate.
Il nucleo dell'apparecchiatura è costituito da una "gruppo scrivente" che preleva un o più campioni di cDna mediante l'utilizzo di pennini e li trasferisce su vetrini per microscopio, il movimento è ovviamente controllato da un computer. Durante la deposizione il sistema di controllo del robot registra automaticamente tutte le informazioni necessarie alla caratterizzazione ed alla completa identificazione di ciascun punto della matrice. Una volta che la sonda è sul vetrino si effettua il processing, il passaggio cioè in cui la sonda viene legata covalentemente al supporto attraverso una reazione innescata dall'irraggiamento con luce ultravioletta o incubando il vetrino a 80 °C per 2 h. Infine il cDna viene reso a singola catena attraverso una denaturazione termica o chimica. Con questa tecnica però era possibile creare solo microarray a bassa densità (ovvero con poche sonde per mm quadrati).
Inizialmente si usavano come sonde librerie di cDna, ma questo causava dei problemi, poiché molte librerie usate per i cDna erano contaminate, inoltre, i cDna essendo di lunghezza variabile legavano in maniera diversa i filamenti dando vita a segnali diversi. Per questo oggi è possibile comprare vetrini ad alta densità, dalle ditte specializzate, con qualsiasi parte di tutto il genoma. Questi microarray presentano oligonucleotidi della lunghezza ideale, cioè 60 nucleotidi e per questo sono detti sessantimeri e solitamente presentano l'analogia col 3' del gene da analizzare.
 
'''Chip''': in questo caso gli oligonucleotidi sono sintetizzati in situ, questa tecnica è stata utilizzata per prima ed è stata brevettata dall'Affymetrix, utilizzando una tecnica detta fotolitografia, con la quale è possibile sintetizzare molte migliaia di differenti oligonucleotidi sulla superficie di un vetrino.
I nucleotidi che formeranno gli oligonucleotidi sono degli nucleotidi modificati che presentano un gruppo protettivo fotolabile, che finché è presente non permette loro di legarsi all'oligonucleotide in crescita. Questo gruppo può essere distrutto con una fonte luminosa e permette quindi ai nucleotidi di reagire. Si usa una "maschera" per determinare quale nucleotidi in quale posizione devono essere attivati dalla luce. In questa maniera sequenze oligonucleotidiche specifiche possono essere costruite in posizioni predeterminate. Questa tecnica permette di preparare microarray ad alta densità.
Anche se questa tecnica di sintesi è molto accurata, la massima lunghezza degli oligonucleotidi che è possibile raggiungere è di 25 nucleotidi, ma oligonucleotidi di queste dimensioni non sono sufficienti a dare specificità al microarray, per questo servono almeno 3 oligonucleotidi che legano un gene, e altri 3 oligonucleotidi che presentano un mismatch che serviranno da controllo negativo. Per cui le analisi di un singolo gene richiedono lo studio di sei spot che devono avere come risultato: i tre oligonucleotidi corretti, positivi, mentre i tre oligonucleotidi con il mismatch, negativi.