Beatrice Cenci: differenze tra le versioni
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==Biografia==
Figlia
===L'esilio a Petrella===
Francesco, oberato dai debiti, incarcerato e processato per delitti anche infamanti, condannato due volte per "colpe nefandissime" al versamento di somme rilevanti,<ref>Processato nel [[1594]] per [[sodomia]] nei confronti di un ragazzo, fu condannato al pagamento di centomila [[Scudo (moneta)|scudi]]. La rilevanza della somma può essere meglio apprezzata considerando che, dopo l'esecuzione capitale dei Cenci, il patrimonio familiare fu venduto all'asta per una cifra inferiore</ref> pur di non pagare la dote
Nel [[1597]] Francesco, malato di [[Rogna (malattia)|rogna]] e di [[Gotta (malattia)|gotta]], anche per fuggire alle richieste pressanti dei [[Creditore|creditori]], si ritirò a Petrella, portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo, e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori.
===L'omicidio===
Si dice che, esasperata dalle violenze e dagli [[Abuso sessuale|abusi]] paterni, Beatrice giungesse alla decisione di organizzare l'[[omicidio]] di Francesco con la complicità della [[matrigna]] Lucrezia, i fratelli Giacomo e Bernardo, il castellano Olimpio Calvetti
Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il [[veleno]], la seconda con una imboscata di [[Brigante|briganti]] locali. La terza, stordito dall'[[oppio]] fornito da Giacomo e mescolato ad una bevanda, fu assalito nel sonno: Marzio gli spezzò le gambe con un [[matterello]], Olimpio lo finì colpendolo al [[cranio]] ed alla [[Gola (anatomia)|gola]] con un chiodo ed un martello. Per nascondere il delitto i congiurati tentarono di simulare una morte accidentale per caduta: fu aperto un foro nelle assi marce di un [[ballatoio]] tentando di infilarci il cadavere. La cosa non riuscì: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettarlo dalla [[balaustra]].
Il [[9 settembre]] [[1598]] il corpo di Francesco fu trovato in un [[Orto (agricoltura)|orto]] ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le [[esequie]] il conte fu [[Sepoltura|sepolto]] in fretta nella locale [[Chiesa (architettura)|chiesa]] di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, Palazzo Cenci, nei pressi del [[Ghetto di Roma|Ghetto]].
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Dopo le prime due inchieste, la prima voluta dal [[feudatario]] di Petrella il [[duca]] Marzio Colonna, la seconda ordinata dal [[viceré]] del [[Regno di Napoli]] Don Enrico di Gusman, [[conte]] di Olivares, lo stesso pontefice [[Papa Clemente VIII|Clemente VIII]] volle intervenire nella vicenda.
La salma fu riesumata e le [[ferita|ferite]] furono attentamente esaminate da un [[medico]] e due [[chirurgo|chirurghi]] che esclusero la caduta come possibile causa delle lesioni. Fu anche interrogata una lavandaia: Beatrice le aveva chiesto di lavare lenzuola intrise di sangue dicendole che le macchie erano dovute alle sue [[Mestruazione|mestruazioni]] ma la giustificazione, dichiarò la donna, non le sembrò verosimile. Insospettì gli inquirenti, inoltre, l'assenza di sangue nel luogo ove il cadavere era stato rinvenuto.
I congiurati vennero scoperti ed imprigionati. Calvetti, minacciato di ''[[Tortura|tormenti]]'', rivelò il complotto. Riuscito a fuggire fu poi fatto uccidere da un conoscente dei Cenci, [[Monsignore|monsignor]] Mario Guerra, per impedirne ulteriori [[Testimonianza|testimonianze]]. Anche Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le ferite subite. Giacomo e Bernardo confessarono anch'essi. Beatrice inizialmente negò ostinatamente ogni coinvolgimento indicando Olimpio come unico colpevole, ma la tortura
Acquisite le prove, i due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tordinona,<ref>Il carcere di Tordinona (toponimo derivato dalla corruzione di Torre d'Annona), di cui non rimangono tracce, si trovava nei pressi di [[Ponte Sant'Angelo]], [[Ponte (rione di Roma)|Rione V - Ponte]]. L'edificio fu trasformato nell'omonimo teatro, nel [[1669]], con il permesso di [[papa Clemente IX]] (vedi Sergio Delli, ''Le strade di Roma'', Newton Compton Editori, III edizione, 1988, pag. 910 e seguenti).</ref> Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella
[[Immagine:Farinacci, Prospero (1554-1618) - da Crasso 1666.JPG|thumb|140px|left|Prospero Farinacci, difensore di Beatrice. Da Crasso, ''Ritratti d'huomini letterati'', [[1666]]]]
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Il [[Processo (diritto)|processo]] fu affidato al [[giudice]] Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel [[dibattimento]] si affrontarono due tra i più grandi [[Avvocato|avvocati]] dell'epoca: l'[[Alatri|alatrese]] [[Pompeo Molella]] per l'accusa e [[Prospero Farinacci]] per la difesa. Farinacci, nel tentativo di alleggerire la posizione della giovane, accusò Francesco di aver [[stupro|stuprato]] la figlia. Ma Beatrice nelle sue deposizioni non volle mai confermare l'affermazione del difensore. Alla fine prevalsero le tesi accusatorie di Molella e gli imputati superstiti vennero tutti giudicati colpevoli e [[Condanna a morte|condannati a morte]]. Si noti che il processo fu funestato da alcuni vizi [[procedura]]li, a danno dei Cenci, tra i quali quello di impedire all'avvocato difensore la pronuncia della sua arringa conclusiva ammettendolo in aula solo a sentenza emessa.
[[Cardinale|Cardinali]] e difensori inoltrarono richieste di clemenza al pontefice ma Clemente VIII, preoccupato per i numerosi e ripetuti episodi di violenza verificatisi nel territorio dello stato, volle dare un severo ammonimento
Bernardo, il fratello minore di soli diciotto anni, pur non avendo partecipato attivamente all'omicidio, era stato anch'esso condannato per non aver denunciato il complotto ma, per la sua giovane età, ebbe risparmiata la vita: gli fu imposta la pena dei ''remi perpetui'', cioè [[Remo (attrezzo)|remare]] per tutta la vita sulle [[Galera (nave)|galere]] pontificie, e fu obbligato, inoltre, ad assistere all'esecuzione dei congiunti legato a una sedia. In aggiunta, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poche ore prima della scampata esecuzione.
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La decapitazione delle due donne fu eseguita con la [[Spada (arma)|spada]]<ref>Alla fine dell'[[XIX secolo|Ottocento]], durante i lavori di scavo per la costruzione degli [[argine|argini]] del [[Tevere]], sul greto del fiume, in corrispondenza del palco delle esecuzioni, fu rinvenuta una "spada di giustizia" del [[XVI secolo]]. L'arma è ora custodita nel [[Museo criminologico MUCRI|Museo criminologico di Roma]]. Secondo quanto è riportato nel sito del museo, l'arma potrebbe essere quella utilizzata per decapitare le due donne. Vedi Collegamenti esterni.</ref>. La prima ad essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice ed infine Giacomo: seviziato durante il tragitto con [[Tenaglia|tenaglie]] roventi, [[Mazzolatura|mazzolato]] e infine [[Squartamento|squartato]].
Alcuni dettagli relativi ai momenti cruciali dell'esecuzione sono contenuti nelle "[http://www.liberliber.it/biblioteca/m/mastro_titta_il_boia_di_roma_memorie_di_un_carnefice_scr_etc/index.htm Memorie romanzate di Giambattista Bugatti]" detto ''Mastro Titta'', [[boia]] dello [[Stato Pontificio]] dal [[1796]] al [[1864]]. Nel testo si fa riferimento ad una non meglio precisata ''Relazione del supplizio dei Cenci'', dalla quale emergerebbe che, con riferimento a Lucrezia Petroni, "''Non sapendo come dovesse accomodarsi domandò ad Alessandro primo boia cosa avesse da fare, e dicendole che cavalcasse la tavoletta del ceppo e si stendesse sopra di quella, nel che fare per la mole del corpo, ma più per la vergogna durò grandissima fatica, ma molto maggiore fu quella di accomodarsi con il collo sotto la mannaia, perché aveva il petto tanto rilevato che non poteva arrivare a porre la gola sopra quel legnetto in cui cade il ferro della mannaia, a cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per l’appoggio delle mammelle"''.
Con riferimento agli ultimi attimi di vita di Beatrice, un altro testo [[XIX secolo|ottocentesco]], in conformità a quanto risulta dalla fonte citata in precedenza (probabilmente attingendo al resoconto contenuto nella Relazione), riporta gli episodi successivi all'esecuzione di Lucrezia Petroni, inseriti nel rituale che accompagna Beatrice Cenci verso il palco dell'esecuzione. V'è da notare che ci furono vari tentativi di alterare il corso degli eventi mediante tumulti e risse, segno di una profonda disapprovazione popolare nei confronti della sentenza di morte ratificata dal papa Clemente VIII.
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Per tali motivi, gli artisti delle arti figurative come di quelle letterarie, particolarmente in [[Romanticismo|epoca romantica]], trovarono numerosi elementi di ispirazione per le loro opere. Un presunto ritratto di Beatrice, attribuito a [[Guido Reni]] o ai suoi allievi, forse [[Elisabetta Sirani]], è conservato nella [[Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini]], in Roma. Tra quelle letterarie possiamo citare:
* ''The Cenci'', [[tragedia]] di [[Percy Bysshe Shelley]], scritta e conclusa a Roma nel maggio [[1819]].
* ''Les Cenci'', [[racconto]] di [[Stendhal]], inserito nelle ''Chroniques Italiennes'', [[1829]].
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=== Cinema ===
Nel [[XX secolo|Novecento]] è l'[[Cinema|arte cinematografica]], [[arte]] popolare per eccellenza, ad interessarsi della figura di Beatrice con numerose trasposizioni cinematografiche:
* ''[[Beatrice Cenci (film 1909)|Beatrice Cenci]]'', di [[Mario Caserini]] ([[1909]])
* ''[[Beatrice Cenci (film 1910)|Beatrice Cenci]]'', di [[Ugo Falena]] ([[1910]])
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