Beatrice Cenci: differenze tra le versioni

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==Biografia==
Figlia <ref>Francesco ed Ersilia, nei ventuno anni di [[matrimonio]], ebbero dodici figli. Sette raggiunsero l'età adulta, cinque maschi e due femmine: Giacomo (nato nel [[1568]]), Cristoforo ([[1572]]), Antonina ([[1573]]), Rocco ([[1576]]), Beatrice ([[1577]]), Bernardo ([[1581]]), Paolo ([[1583]]).</ref> del [[conte]] [[Francesco Cenci]], uomo violento e dissoluto, e di Ersilia Santacroce, dopo la morte della madre, nel giugno del [[1584]], insieme con la sorella maggiore Antonina fu mandata, all'età di 7 anni presso le [[Monaca|monache]] [[Ordine francescano|francescane]] del [[Monastero]] di Santa Croce a Montecitorio .<ref>Mariano Armellini. ''Le chiese di Roma Dalle loro origini sino al secolo XVI''. Roma, Tipografia Editrice Romana, 1887, pag. 214.</ref>. Ritornata in famiglia, all'età di quindici anni, vi trovò un ambiente quanto mai difficile e fu costretta a subire le angherie e le insidie del padre che, poco dopo, nel [[1593]], sposò, in seconde nozze, la [[vedova]] Lucrezia Petroni dalla quale non ebbe figli.
 
===L'esilio a Petrella===
Francesco, oberato dai debiti, incarcerato e processato per delitti anche infamanti, condannato due volte per "colpe nefandissime" al versamento di somme rilevanti,<ref>Processato nel [[1594]] per [[sodomia]] nei confronti di un ragazzo, fu condannato al pagamento di centomila [[Scudo (moneta)|scudi]]. La rilevanza della somma può essere meglio apprezzata considerando che, dopo l'esecuzione capitale dei Cenci, il patrimonio familiare fu venduto all'asta per una cifra inferiore</ref> pur di non pagare la dote <ref>Suo malgrado Francesco, per esplicito intervento papale, era già stato costretto a pagare una cospicua dote per l'altra figlia Antonina, sorella maggiore di Beatrice, sposata nel [[1594]], grazie ai buoni uffici di [[Clemente VIII]], con Carlo Gabrielli, un [[nobile]] di [[Gubbio]].</ref> di Beatrice, volle impedirle di sposarsi, e decise nel [[1595]] di segregarla, insieme con la [[matrigna]] Lucrezia, a [[Petrella Salto]], in un piccolo [[castello]] del [[Cicolano]], chiamato ''la Rocca'', nel territorio del [[Regno di Napoli]], di proprietà della [[famiglia Colonna]]. In quella forzata prigionia crebbe il risentimento di Beatrice verso il padre. La ragazza tentò anche, con la complicità dei [[domestico|domestici]], di inviare richieste di aiuto ai familiari ed ai fratelli maggiori ma senza alcun risultato. Una delle lettere arrivò, anzi, nelle mani del conte provocandone la dura reazione: Beatrice fu brutalmente percossa.
 
Nel [[1597]] Francesco, malato di [[Rogna (malattia)|rogna]] e di [[Gotta (malattia)|gotta]], anche per fuggire alle richieste pressanti dei [[Creditore|creditori]], si ritirò a Petrella, portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo, e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori.
 
===L'omicidio===
Si dice che, esasperata dalle violenze e dagli [[Abuso sessuale|abusi]] paterni, Beatrice giungesse alla decisione di organizzare l'[[omicidio]] di Francesco con la complicità della [[matrigna]] Lucrezia, i fratelli Giacomo e Bernardo, il castellano Olimpio Calvetti <ref>Olimpio Calvetti, sposato con Plautilla Gasparini e padre di Prospero e Vittoria, era l'uomo di fiducia della famiglia Colonna per i [[Feudo|feudi]] della Valle del Salto. Alto e prestante, divenne confidente e probabilmente amante di Beatrice.</ref> ed il [[maniscalco]] Marzio da Fioran detto ''il Catalano''.
 
Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il [[veleno]], la seconda con una imboscata di [[Brigante|briganti]] locali. La terza, stordito dall'[[oppio]] fornito da Giacomo e mescolato ad una bevanda, fu assalito nel sonno: Marzio gli spezzò le gambe con un [[matterello]], Olimpio lo finì colpendolo al [[cranio]] ed alla [[Gola (anatomia)|gola]] con un chiodo ed un martello. Per nascondere il delitto i congiurati tentarono di simulare una morte accidentale per caduta: fu aperto un foro nelle assi marce di un [[ballatoio]] tentando di infilarci il cadavere. La cosa non riuscì: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettarlo dalla [[balaustra]].
Il [[9 settembre]] [[1598]] il corpo di Francesco fu trovato in un [[Orto (agricoltura)|orto]] ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le [[esequie]] il conte fu [[Sepoltura|sepolto]] in fretta nella locale [[Chiesa (architettura)|chiesa]] di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, Palazzo Cenci, nei pressi del [[Ghetto di Roma|Ghetto]].
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Dopo le prime due inchieste, la prima voluta dal [[feudatario]] di Petrella il [[duca]] Marzio Colonna, la seconda ordinata dal [[viceré]] del [[Regno di Napoli]] Don Enrico di Gusman, [[conte]] di Olivares, lo stesso pontefice [[Papa Clemente VIII|Clemente VIII]] volle intervenire nella vicenda.
 
La salma fu riesumata e le [[ferita|ferite]] furono attentamente esaminate da un [[medico]] e due [[chirurgo|chirurghi]] che esclusero la caduta come possibile causa delle lesioni. Fu anche interrogata una lavandaia: Beatrice le aveva chiesto di lavare lenzuola intrise di sangue dicendole che le macchie erano dovute alle sue [[Mestruazione|mestruazioni]] ma la giustificazione, dichiarò la donna, non le sembrò verosimile. Insospettì gli inquirenti, inoltre, l'assenza di sangue nel luogo ove il cadavere era stato rinvenuto.
 
I congiurati vennero scoperti ed imprigionati. Calvetti, minacciato di ''[[Tortura|tormenti]]'', rivelò il complotto. Riuscito a fuggire fu poi fatto uccidere da un conoscente dei Cenci, [[Monsignore|monsignor]] Mario Guerra, per impedirne ulteriori [[Testimonianza|testimonianze]]. Anche Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le ferite subite. Giacomo e Bernardo confessarono anch'essi. Beatrice inizialmente negò ostinatamente ogni coinvolgimento indicando Olimpio come unico colpevole, ma la tortura <ref>I nobili non erano di regola sottoposti a tortura. Clemente VIII volle privare i Cenci di tale privilegio e dispose, con il ''motu proprio'' ''"Quemadmodum paterna clementia"'' del [[15 agosto]] [[1599]], che anch'essi fossero torturati al pari degli altri accusati.</ref> della corda <ref>La tortura della corda consisteva nel sollevare l'imputato per le mani, precedentemente legate dietro la schiena, con una fune fatta passare per una carrucola appesa al soffitto (vedi Grazia Ambrosio: ''L'acqua e il fuoco prove della verità'' in Storia Illustrata, numero 232, marzo 1977, pagina 28, Editore Arnoldo Mondadori). L'infelice rimaneva sospeso a mezz'aria per il tempo necessario a recitare un'orazione. Il dolore era pressoché insostenibile e tale da indurre a rapide confessioni anche i più ostinati.</ref> ne vinse ogni resistenza e finì per ammettere il delitto.
 
Acquisite le prove, i due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tordinona,<ref>Il carcere di Tordinona (toponimo derivato dalla corruzione di Torre d'Annona), di cui non rimangono tracce, si trovava nei pressi di [[Ponte Sant'Angelo]], [[Ponte (rione di Roma)|Rione V - Ponte]]. L'edificio fu trasformato nell'omonimo teatro, nel [[1669]], con il permesso di [[papa Clemente IX]] (vedi Sergio Delli, ''Le strade di Roma'', Newton Compton Editori, III edizione, 1988, pag. 910 e seguenti).</ref> Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella .<ref>Del carcere di Corte Savella, ormai demolito, rimane qualche manufatto, incorporato in un edificio del [[XVIII secolo]], in via di Monserrato, allo sbocco con Piazza di Santa Caterina della Rota, [[Regola (rione di Roma)|Rione VII - Regola]] (vedi Touring Club Italiano, ''Guida di Roma'', VIII edizione, 1993, pag 368). Sull'altro lato della medesima via, sulle mura del Collegio Inglese, una lapide posta dal Comune nel [[1999]], quarto centenario della morte, ricorda che in quel luogo si ergeva Corte Savella onde fu prelevata per l'esecuzione Beatrice, definita "vittima esemplare di una giustizia ingiusta". Altri resti, alcune finestrelle con inferriate, si troverebbero anche nell'adiacente via dei Cappellari, all'interno di un cortiletto, peraltro di difficile accesso (vedi Georgina Masson, Guida di Roma, edizione Oscar Mondadori, 1973, pag. 148). È necessario ricordare che ambedue gli edifici, Tordinona e Corte Savella, vennero sostituiti dalle Carceri Nuove di [[via Giulia]], volute da [[papa Innocenzo X]] e terminate di costruire nel [[1655]].</ref>.
 
[[Immagine:Farinacci, Prospero (1554-1618) - da Crasso 1666.JPG|thumb|140px|left|Prospero Farinacci, difensore di Beatrice. Da Crasso, ''Ritratti d'huomini letterati'', [[1666]]]]
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Il [[Processo (diritto)|processo]] fu affidato al [[giudice]] Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel [[dibattimento]] si affrontarono due tra i più grandi [[Avvocato|avvocati]] dell'epoca: l'[[Alatri|alatrese]] [[Pompeo Molella]] per l'accusa e [[Prospero Farinacci]] per la difesa. Farinacci, nel tentativo di alleggerire la posizione della giovane, accusò Francesco di aver [[stupro|stuprato]] la figlia. Ma Beatrice nelle sue deposizioni non volle mai confermare l'affermazione del difensore. Alla fine prevalsero le tesi accusatorie di Molella e gli imputati superstiti vennero tutti giudicati colpevoli e [[Condanna a morte|condannati a morte]]. Si noti che il processo fu funestato da alcuni vizi [[procedura]]li, a danno dei Cenci, tra i quali quello di impedire all'avvocato difensore la pronuncia della sua arringa conclusiva ammettendolo in aula solo a sentenza emessa.
 
[[Cardinale|Cardinali]] e difensori inoltrarono richieste di clemenza al pontefice ma Clemente VIII, preoccupato per i numerosi e ripetuti episodi di violenza verificatisi nel territorio dello stato, volle dare un severo ammonimento <ref>Qualche mese dopo, il [[17 febbraio]] [[1600]], lo stesso pontefice Clemente XII condannò al rogo, in [[Campo de' Fiori]] a Roma, il filosofo [[Giordano Bruno]] quale "eretico impenitente".</ref> e le respinse: Beatrice e Lucrezia, furono condannate alla [[decapitazione]], Giacomo allo [[squartamento]]. Solo per Bernardo il pontefice acconsentì alla commutazione della pena.
 
Bernardo, il fratello minore di soli diciotto anni, pur non avendo partecipato attivamente all'omicidio, era stato anch'esso condannato per non aver denunciato il complotto ma, per la sua giovane età, ebbe risparmiata la vita: gli fu imposta la pena dei ''remi perpetui'', cioè [[Remo (attrezzo)|remare]] per tutta la vita sulle [[Galera (nave)|galere]] pontificie, e fu obbligato, inoltre, ad assistere all'esecuzione dei congiunti legato a una sedia. In aggiunta, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poche ore prima della scampata esecuzione.
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La decapitazione delle due donne fu eseguita con la [[Spada (arma)|spada]]<ref>Alla fine dell'[[XIX secolo|Ottocento]], durante i lavori di scavo per la costruzione degli [[argine|argini]] del [[Tevere]], sul greto del fiume, in corrispondenza del palco delle esecuzioni, fu rinvenuta una "spada di giustizia" del [[XVI secolo]]. L'arma è ora custodita nel [[Museo criminologico MUCRI|Museo criminologico di Roma]]. Secondo quanto è riportato nel sito del museo, l'arma potrebbe essere quella utilizzata per decapitare le due donne. Vedi Collegamenti esterni.</ref>. La prima ad essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice ed infine Giacomo: seviziato durante il tragitto con [[Tenaglia|tenaglie]] roventi, [[Mazzolatura|mazzolato]] e infine [[Squartamento|squartato]].
 
Alcuni dettagli relativi ai momenti cruciali dell'esecuzione sono contenuti nelle "[http://www.liberliber.it/biblioteca/m/mastro_titta_il_boia_di_roma_memorie_di_un_carnefice_scr_etc/index.htm Memorie romanzate di Giambattista Bugatti]" detto ''Mastro Titta'', [[boia]] dello [[Stato Pontificio]] dal [[1796]] al [[1864]]. Nel testo si fa riferimento ad una non meglio precisata ''Relazione del supplizio dei Cenci'', dalla quale emergerebbe che, con riferimento a Lucrezia Petroni, "''Non sapendo come dovesse accomodarsi domandò ad Alessandro primo boia cosa avesse da fare, e dicendole che cavalcasse la tavoletta del ceppo e si stendesse sopra di quella, nel che fare per la mole del corpo, ma più per la vergogna durò grandissima fatica, ma molto maggiore fu quella di accomodarsi con il collo sotto la mannaia, perché aveva il petto tanto rilevato che non poteva arrivare a porre la gola sopra quel legnetto in cui cade il ferro della mannaia, a cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per l’appoggio delle mammelle"''.
detto ''Mastro Titta'', [[boia]] dello [[Stato Pontificio]] dal [[1796]] al [[1864]]. Nel testo si fa riferimento ad una non meglio precisata ''Relazione del supplizio dei Cenci'', dalla quale emergerebbe che, con riferimento a Lucrezia Petroni, "''Non sapendo come dovesse accomodarsi domandò ad Alessandro primo boia cosa avesse da fare, e dicendole che cavalcasse la tavoletta del ceppo e si stendesse sopra di quella, nel che fare per la mole del corpo, ma più per la vergogna durò grandissima fatica, ma molto maggiore fu quella di accomodarsi con il collo sotto la mannaia, perché aveva il petto tanto rilevato che non poteva arrivare a porre la gola sopra quel legnetto in cui cade il ferro della mannaia, a cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per l’appoggio delle mammelle"''.
 
Con riferimento agli ultimi attimi di vita di Beatrice, un altro testo [[XIX secolo|ottocentesco]], in conformità a quanto risulta dalla fonte citata in precedenza (probabilmente attingendo al resoconto contenuto nella Relazione), riporta gli episodi successivi all'esecuzione di Lucrezia Petroni, inseriti nel rituale che accompagna Beatrice Cenci verso il palco dell'esecuzione. V'è da notare che ci furono vari tentativi di alterare il corso degli eventi mediante tumulti e risse, segno di una profonda disapprovazione popolare nei confronti della sentenza di morte ratificata dal papa Clemente VIII.
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Per tali motivi, gli artisti delle arti figurative come di quelle letterarie, particolarmente in [[Romanticismo|epoca romantica]], trovarono numerosi elementi di ispirazione per le loro opere. Un presunto ritratto di Beatrice, attribuito a [[Guido Reni]] o ai suoi allievi, forse [[Elisabetta Sirani]], è conservato nella [[Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini]], in Roma. Tra quelle letterarie possiamo citare:
 
* ''The Cenci'', [[tragedia]] di [[Percy Bysshe Shelley]], scritta e conclusa a Roma nel maggio [[1819]].
* ''Les Cenci'', [[racconto]] di [[Stendhal]], inserito nelle ''Chroniques Italiennes'', [[1829]].
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=== Cinema ===
Nel [[XX secolo|Novecento]] è l'[[Cinema|arte cinematografica]], [[arte]] popolare per eccellenza, ad interessarsi della figura di Beatrice con numerose trasposizioni cinematografiche:
 
* ''[[Beatrice Cenci (film 1909)|Beatrice Cenci]]'', di [[Mario Caserini]] ([[1909]])
* ''[[Beatrice Cenci (film 1910)|Beatrice Cenci]]'', di [[Ugo Falena]] ([[1910]])