Occhio di Horo: differenze tra le versioni

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La tradizione vuole che l'occhio fosse stato tolto ad Horo da [[Seth]] durante una lotta tra i due.<ref>Le due divinità, Horo e Seth, furono in competizione durante le prime dinastie egizie per il ruolo di nume tutelare del sovrano</ref> Una volta sconfitto, Seth dovette restituire l'occhio che, secondo un'altra versione del racconto, sarebbe invece ritornato da solo ad Horo. L'occhio venne poi guarito dal dio della magia [[Toth]]<ref>Lázló Kákosi, ''La magia in Egitto ai tempi dei Faraoni'', Milano 1991, pag. 82</ref>.
 
[[Immagine:Eye of Ra2Horus1.svgpng|left|200px|thumb|L'occhioAmuleto di Horus''udgiat''.]]
 
In una forma più recente del mito, forma in cui ad Horo si era sostituito Ra{{cn}}, l'occhio, smarrito per una ragione non nota, sarebbe stato lo scopo di una ricerca affidata a [[Shu]] e [[Tefnet]]. A causa del protrarsi nel tempo di tale ricerca il dio del sole si sarebbe provvisto di un nuovo occhio che al ritorno del ''rivale'' non volle cedergli il suo precedente ruolo. Allora Ra avrebbe trasformato l'occhio in un serpente posto sulla sua fronte, l'[[ureo]].
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L'amuleto era portato da uomini, divinità o animali sacri<ref>Lázló Kákosi, ''La magia in Egitto ai tempi dei Faraoni'', Milano 1991, pag. 83</ref>; poteva essere dipinto sulle navi come segno apotropaico, sui fianchi dei sarcofagi affinché il defunto potesse vedere nell'aldilà<ref>Lázló Kákosi, ''La magia in Egitto ai tempi dei Faraoni'', Milano 1991, pag. 83</ref> o sui muri come difesa dai ladri<ref>Lázló Kákosi, ''La magia in Egitto ai tempi dei Faraoni'', Milano 1991, pag. 86</ref>.
 
[[File:Oudjat.svg|right|200px|thumb|L'occhio di Horo come unità di misura.]]
Nella vita quotidiana, era usato come "traduzione grafica delle unità di misura dei cereali"<ref>Maria Carmela Betrò, ''Geroglifici'', Milano 1995, pag. 55.</ref>: ciascuna parte aveva un valore di frazione dell'intero. Se però si sommano le varie parti si ha un totale di 63/64: si riteneva che il restante 1/64 fosse stato aggiunto da Thot<ref>Maria Carmela Betrò, ''Geroglifici'', Milano 1995, pag. 55.</ref>.
 
==Note==